La comunicazione social(e) ai tempi dello storytelling e del Branded Content.

Alzi la mano chi trova interessante la pubblicità che interrompe il film o lo spettacolo che si sta gustando in TV!

E quando succede, com’è la vostra disponibilità all’ascolto di quella pubblicità? Alta o scarsina?

Ma perché tanto fastidio? Le ragioni risiedono: nell’imposizione di una sospensione forzosa (da parte di altri) della visione della trasmissione preferita, nella sensazione di subire un processo di convincimento da parte del marchio, nella percezione di venire “bersagliati/e” da informazioni non richieste, unidirezionali, di parte.

Oggi, prima di tutto, scegliamo quando e su cosa desideriamo essere intrattenuti/e o edotti/e; soprattutto, confrontiamo molti canali e risorse informative, consultiamo fonti accreditate, partecipiamo direttamente alle conversazione online (user-generated-content) o ne parliamo con le persone direttamente (word of mouth).

Insomma, funziona meglio un marketing di attrazione, ossia, essere lì dove e quando il consumatore/la consumatrice cerca notizie, ha bisogno di sapere, insegue informazioni corrette, specifiche, utili e magari anche presentate in modo attraente. Insomma, l’informazione non deve essere proposta in maniera forzata, ma come consumo possibile e fruibile liberamente da parte del pubblico, quando la sua situazione di vita e le sue esigenze correnti lo rendano necessario. Gli adulti, si sa, imparano in particolari condizioni, quando: devono cercare di risolvere un problema concreto; hanno un interesse diretto; la questione riguarda la sfera della propria esperienza diretta; emerge il desiderio di trasmetterla al gruppo dei pari; desiderano accrescere la propria autonomia.

La sfida per le aziende, e per le autorità (eh si, bisogna adeguarsi anche noi!), sta nel saper produrre contenuti in grado di attrarre il pubblico su tematiche che riguardano il proprio core business, ma senza necessariamente investirlo unidirezionalmente con la descrizione tecnica delle caratteristiche e della specificità del proprio prodotto e di ciò che a noi interessa. Piuttosto, focalizzandosi su ciò che interessa l’altro/a. Insomma, c’è differenza fra farsi pubblicità e veicolare utilità, valori, finalità condivise.

Un esempio vale a illustrare lo spirito di questa nuova azione comunicativa: Illycaffè e gli “Artisti del Gusto”.

La Illy ha sviluppato, nel 2013, la produzione di 10 film di 10 minuti ciascuno trasmessi sul canale televisivo di National Geographic. I 10 film sono stati girati in 10 diverse città italiane e ogni film descrive un particolare bar e un particolare barista che lo anima con la preparazione del suo caffè, la personalità, il rapporto con i/le clienti e lo scambio umano che si crea. Nei filmati appaiono anche gli esperti dell’Università del caffè che offrono spiegazioni tecniche e approfondimenti sulla cultura del caffè o i contorni storici e sociali della bevanda e del contesto. I film trasmettono, con il marchio che è presente ma che rimane discretamente in sottofondo, un’informazione, una sostanza educativa, un intrattenimento che è un vero e proprio contenuto editoriale. E’ un tipo di informazione – che in “gergo” si chiama “Branded Content” o “Content Marketing” – che fa leva su alcuni aspetti come: l’individuazione degli interessi dell’audience; la trasmissione dei valori dell’azienda; l’elaborazione dei contenuti rilevanti per il pubblico; la transmedialità dell’informazione (ossia, la possibilità di veicolarla attraverso più canali); un piano editoriale mirato; la costruzione di filoni tematici riconoscibili; la presenza del punto di vista dell’“esperto/a”; la sollecitazione di user-generated content o co-creation, vale a dire la partecipazione dei fruitori/delle fruitrici alla produzione di contenuti propri; la presa di parola sulla realtà circostante; la creazione di engagement, e quindi della capacità di interessare e stimolare il pubblico.

In sostanza, si utilizza lo storytelling, la narrazione di storie, perché non c’è nulla di più appassionante e attrattivo del sentire raccontare la storia di altri/e e ciò che è stata la loro avventura/esperienza. Per un naturale processo di rispecchiamento e di empatia che i nostri neuroni specchio rendono possibile. La magia delle storie sta nel fatto di assistere a una narrazione a partire da un irrisolto che crea suspense e angoscia, come molte cose della vita reale, e di essere condotti/e, attraverso un’esperienza di trasformazione e di presa di coscienza, a una soluzione e quindi al rilascio della tensione iniziale. Si verifica quella che in psicologia si chiama la “sospensione dell’incredulità” durante la lettura o la visione di una storia: ci lasciamo trasportare dalle suggestioni che ci vengono trasmesse, ci identifichiamo nel personaggio principale e siamo avvinti/e dal racconto e dal suo esito. Comportamento che trova fondamento, psicologicamente, in alcuni schemi di difesa primitivi (proiezione e identificazione proiettiva), nel modellamento e nell’apprendimento per imitazione, nella costruzione sociale etc.

La comunicazione di oggi si basa sulla trasmissione di contenuti mediante l’intrattenimento e la diffusione anche attraverso canali propri (per es. i social media). Diventando così argomento di conversazione fra le persone e rendendole partecipi del progetto anche attraverso la voglia di contribuire narrando le proprie esperienze (social currency). A differenza della comunicazione tradizionale, fatta di contenuti che fanno appello alla “razionalità” e a un approccio di tipo cognitivo ed elaborativo, la comunicazione attuale è di tipo “emozionale” e di “coinvolgimento diretto” del pubblico.

I social media hanno completamente cambiato il nostro modo di fare comunicazione: hanno reso lo storytelling immediato, veicolando contemporaneamente contenuti ed emozioni. Per funzionare, infatti, la storia deve essere autentica perché questo le consente di raggiungere due risultati: ampliare la relazione e la fiducia con il fruitore/la fruitrice dell’informazione e sviluppare l’immagine della società o dell’autorità come produttrice di contenuti a beneficio della comunità allargata (Corporate Citizenship). Il valore aggiunto dei social media è dato dalla loro diffusione a livello generale e quindi dalla capacità di raggiungere rapidamente un numero elevato di persone (outreach) e dalla sua natura intrinsecamente bidirezionale e multidirezionale. Il tutto, a costi contenuti. Ma, soprattutto, sono in grado di stimolare la partecipazione da parte del pubblico quando viene messa in campo una buona idea e vengono toccate le corde emotive giuste. Per le aziende e le autorità la “risposta” del pubblico diventa una preziosa fonte di informazioni e di sviluppo dell’insight. Non c’è niente che interessi di più un pubblico adulto della possibilità di far conoscere le proprie capacità, problematiche, esperienze di vita e trasmetterla ad altri/e.

L’idea che viene trasmessa quindi non è quella che si sta “vendendo” qualcosa, ma quella di parlare e di trasmettere competenza ed empowerment a chi ascolta. E mettere noi stesse/i nella modalità di ascolto di chi partecipa.

Provate a sdraiarvi sul divano di casa, a stendervi nel letto, a stare sedute/i in poltrona e a guardare la pubblicità (comunque già lo fate quindi perché non investirci un po’ di attenzione in più?) e a distinguete la pubblicità classica, quella di chi sta vendendo un prodotto, e la pubblicità branded content, ossia quella di chi trasmette una storia e delle emozioni per invogliare a comprare un prodotto.

Riferimenti tratti da:

* Paolo Bonsignore e Joseph Sasoon “Branded Content. La nuova frontiera della comunicazione d’impresa”, Franco Angeli 2014

** per gli studi sull’apprendimento degli adulti (Andragogia), consultare gli scritti di Savicevic e Knowels

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