Le parole magiche per convincere.

Le parole magiche per convincere.

Ossia, la comunicazione persuasiva fra aspetti razionali e relazionali e come viene impiegata nella vita di tutti i giorni

di Tiziana Luise

Cos’è la comunicazione?

Cosa avviene quando comunichiamo? In che modo il fatto di comunicare influisce sulle persone in interazione e, allo stesso tempo, è influenzato dal contesto in cui avviene l’interazione?

Uno stesso messaggio o una stessa “risposta” risentono del contesto ambientale, culturale e sociale in cui vengono espressi e producono determinate “reazioni”. Risentono anche della presenza o meno di altre persone. La domanda è: quanto siamo consapevoli di questi processi?

Ogni comunicazione, infatti, è sempre a due livelli: un livello di contenuto e un livello di relazione. Infatti, nel corso della comunicazione non solo trasmettiamo informazioni, ma proponiamo anche un determinato comportamento. Il messaggio come relazione è una modalità di comunicazione che consiste nell’offrire all’altro/a una definizione della relazione fra i/le due comunicanti e, conseguentemente, di se stesso/a, prima ancora di trasmettere un messaggio.

Ci esprimiamo attraverso il nostro comportamento e la relazione con l’altro/a. Questa interazione è talmente pervasiva che una qualsiasi modificazione di ciascuna/o comporta una modificazione degli altri/delle altre.

Vediamo allora cosa avviene durante l’atto comunicativo perché si produca una “comunicazione persuasiva”, vale a dire una comunicazione che riesca a determinare un cambiamento di credenze e/o di comportamento da parte di uno o più interlocutori/ici.

Partendo dalla comunicazione, in generale, vediamo qual è il suo ruolo in due ordini di eventi:

  • in termini di natura interazionale e collaborativa del nostro agire, che implica uno scambio con una o con altre persone. Coinvolgendo quindi anche la sfera emotivo/affettivo,

  • in termini di espressione e di presentazione del sé ad altri/e e quindi a livello sociale.

Partiamo dall’approccio dell’economia comportamentale e dagli aspetti cognitivi, per incrementarne la comprensione con l’apporto di ulteriori teorie psicologiche.

La comunicazione nell’economia comportamentale: aspetti cognitivi.

L’economia comportamentale ha iniziato a svilupparsi già dagli Anni ’50, ma solo negli Anni ’70 ha trovato maggiore possibilità di produrre un proprio apporto sul tema dell’economia e della finanza. Colui che ha dato un contributo fondamentale a questo filone di studi è stato Herbert Simon, con la sua teoria basata sul modello delle scelte razionali, ma al perfezionamento di questo approccio hanno contribuito molto gli apporti di Daniel Kahneman e Amos Tversky. A questi vanno aggiunti gli apporti teorici di Paul Slovic, che studiò l’errata percezione del rischio da parte delle persone, e di Robert Shiller, che mise in evidenza l’esistenza di eventi incoerenti con le norme della finanza tradizionale.

Il contributo di Kahneman e Tversky (1974 e 1979) parte dal cosiddetto “paradosso di Allais”, secondo il quale l’utilità di un evento rischioso non è dato dalla combinazione lineare delle probabilità associate a ciascun possibile risultato e criticando, quindi, la teoria delle scelte attese e sviluppando al suo posto la prospect theory. Il filone di studi che inaugurano apre la strada a una importante analisi che vede il contributo congiunto della psicologia e dell’economia, avendo come oggetto di studio il comportamento e le scelte delle persone, il giudizio umano e la teoria delle scelte in condizioni di incertezza. Il risultato di questo contributo mostra che gli esseri umani, nelle scelte che effettuano in campo economico-finanziario non seguono criteri di razionalità, ma sono condizionati dal contesto, dalle esperienze pregresse (proprie o dei pari), dalle credenze, dalla modalità di presentazione delle informazioni, dalla tendenza a completare le informazioni utilizzando le conoscenze personali (secondo il contributo della Gestalt). Rilevano cioè elementi che sono relativi a componenti emotive, piuttosto che a scelte relative all’utilità attesa. Dunque a componenti irrazionali. Nell’analisi che segue analizzeremo ampiamente l’influenza di queste componenti nella comunicazione persuasiva esaminando il contributo delle diverse teorie e di un approccio, insieme, psicologico, economico e sociologico.

Questo approccio rappresenta un cambio di paradigma significativo rispetto alla teoria economica classica, secondo la quale l’homo oeconomicus è una persona razionale, che è in possesso di tutte le informazioni necessarie per operare delle scelte e che queste scelte sono effettuate per massimizzare le proprie utilità (conoscendole ovviamente!). L’esperienza dimostra che questi presupposti non corrispondono sempre al comportamento osservato: le persone spesso agiscono in modo irrazionale e non associano bene le probabilità di rischio-rendimento.

Il primo punto da mettere in evidenza, infatti, è che la mente umana non ha una capacità illimitata di acquisizione, elaborazione e immagazzinamento delle informazioni. Opera, piuttosto, come un “filtro” che seleziona le informazioni in entrata e trattiene solo quelle informazioni che ritiene utili. Questo a livello conscio e secondo il cosiddetto “magico numero 7 di Miller”, in base al quale la mente umana (corteccia prefrontale) può gestire contemporaneamente un numero di informazioni comprese fra 5 e 9. Tutto il resto viene delegato a livello inconscio o preconscio e gestito dal sistema limbico o dal cervello rettiliano. Questo “filtro” è parziale, sia nel senso di che considera un numero limitato di fattori sia nel senso di essere poco obiettivo, in quanto le informazioni che vengono scelte sono basate sulle euristiche, sulle emozioni, sulle credenze, sulle passate esperienze della persona e sulla fallacia della memoria umana. Recenti contributi teorici e sperimentali mostrano infatti che la memoria non è una “fotografia” degli eventi passati che si ripropone “in blocco” all’attenzione presente, quanto una ricostruzione operata dalla mente e suscettibile di influenza da parte delle condizioni del contesto personale (es. umore, stato d’animo) e sociale (es. influenza del gruppo).

Kahneman e Tversky, utilizzando esperimenti diversi, hanno mostrato che le persone, quando si trovano a dover effettuare delle scelte in condizioni di incertezze, fanno uso di euristiche, regole e filtri cognitivi che possono portare a errori di valutazione (bias). Queste distorsioni cognitive portano a conseguenze diverse:

  • errori nelle scelte personali (per es. un investimento poco redditizio e molto rischioso)

  • l’influenza sociale esercitata verso gli altri oppure verso la persona (es. scelta di un investimento fatta in base al “passaparola”) che può causare effetti a catena,

  • inefficienze del mercato dovute a informazioni non colte o male interpretate (per es. rallentamenti nel collocamento di titoli finanziari o nell’acquisizione di informazioni relative a strumenti innovativi e ancora poco conosciuti).

L’economia comportamentale studia e utilizza queste distorsioni per mettere in campo approcci comunicativi che tengano conto di questi meccanismi di funzionamento della mente umana. L’approccio che si è andato consolidando non ha tuttavia un aspetto definito o definitivo, ma si basa sui contributi di diversi autori e su una struttura ancora in corso di completamento. Barberis e Tahler (2001) classificano la finanza comportamentale in due classi: le credenze (che includono la rappresentatività, la disponibilità l’ancoraggio, l’overconfidence, l’ottimismo, conservatorismo) e le performance (che includono l’avversione per l’ambiguità e la teoria dei prospetti). Vediamoli in breve:

  • rappresentatività – secondo il quale le persone valutano la probabilità di un evento in base a stereotipi e a conoscenze personali. Sicché la probabilità del verificarsi di un evento non viene considerata in base alla probabilità e alla frequenza effettiva del fenomeno, ma in base alla conoscenza, diretta o indiretta, che se ne ha e quindi in base a una distorsione legata a ciò che è più familiare. Pensiamo a una persona che ha investito in un certo titolo azionario: poiché la sua esperienza è che esso produca un alto rendimento, quella persona continua a investire in quello stesso titolo senza cogliere gli indizi che il suo rendimento stia per diminuire o senza valutare possibili investimenti altrettanto (se non più) remunerativi. L’errore sta in questo caso nel prendere le decisioni su un numero limitato di casi statisticamente poco rilevanti. Kahneman e Tverscky hanno coniato il termine di “legge dei piccoli numeri” per riferirsi a questa distorsione che attribuisce a una popolazione più grande le caratteristiche di un campione più piccolo,

  • ancoraggio – si basa sull’utilizzo di un’informazione iniziale (àncora, appunto), partendo dalla quale vengono poi formulate previsioni e aspettative per gradi successivi. L’errore sta nella scelta del punto di ancoraggio che condiziona poi lo sviluppo successivo del processo cognitivo. Immaginiamo, nel caso di un acquisto di un titolo finanziario, un’analisi che parta da una certa data X e studia l’andamento rispetto al comportamento passato: il trend crescente registrato nel tempo X-1 non è detto che continui anche nel periodo X+1….X+T, perché nel periodo precedente potrebbe aver seguito un trend discontinuo. L’errore sta nel fare delle previsioni considerando un periodo di tempo poco esteso e non dando spazio alle informazioni passate o presenti che vengono “lette” secondo la lente distorta dell’àncora iniziale,

  • disponibilità – fa riferimento a un errore di questo tipo: la facilità con la quale richiamiamo alla mente degli esempi (esperienze personali, di pari o lette su un quotidiano), porta a pensare che quelle casistiche siano più frequenti o probabili di altre. Il rischio, in questo caso, è che le informazioni richiamate alla memoria non siano quelle più statisticamente significative, ma quelle che hanno una maggiore valenza emotiva per la persona. Nelle scelte finanziarie questo può avvenire per i marchi più noti sia in senso positivo (es. per effettuare delle scelte di investimento o per accordare la propria fiducia per aprire un conto corrente) sia in senso negativo (es. riguadagnare la fiducia dopo un episodio negativo). La distorsione può avvenire anche in base alla disponibilità o al richiamo alla mente delle notizie più recenti, in ordine temporale, che non significa che siano anche quelle più rilevanti o probabili nel prendere una certa decisione,

  • overconfidence o underconfidence – si parla di overconfidence quando una persona riconosce a se stessa una capacità di effettuare previsioni superiori a quelle effettive. Underconfidence nel caso inverso. E’ un comportamento che si osserva spesso nel mondo finanziario, quando le persone mostrano di ritenersi eccessivamente sicure delle scelte che effettuano nell’acquisto o nella vendita di titoli. Gli studi di psicologia mostrano che le persone sono spesso overconfident e questo aspetto mette in rilievo quanto sia errata la presunzione di un essere umano di essere perfettamente razionale nelle proprie scelte. Le persone, infatti, tendono a sottostimare la rischiosità o la variabilità delle proprie previsioni, effettuando una selezione a favore delle informazioni congruenti con le proprie aspettative e sottostimando o rifiutando le informazioni contrarie alle proprie aspettative/previsioni. Questo comportamento generale riguarda sia gli investitori professionisti sia le persone comuni. Dà una spiegazione alla tendenza eccessiva all’assunzione di rischi. Il tema dell’overconfidence è molto studiato in psicologia e si lega alla questione della comunicazione persuasiva: in che modo cioè la disponibilità di informazioni chiare, comprensibili, complete può restringere la tendenza all’assunzione di rischi eccessivi e all’elaborazione di scelte più ponderate e attente. In sostanza, sulla capacità della maggiore disponibilità di informazioni a correggere questo bias, che porta ad attribuire le perdite a fattori esterni (locus of control esterno) e i guadagni alla propria abilità (locus of control interno). Quest’ultima, fungendo da rinforzo accresce la sovrastima delle proprie capacità, alimentando ancor più la tendenza ad assumere rischi eccessivi,

  • conservatorismoè la tendenza delle persone a rimanere ferme nelle proprie convinzioni oppure a cambiarle in modo molto lento, anche davanti a prove contrarie. Questo spiega perché, quando iniziano a diffondersi informazioni o esperienze che offrono nuovi input sull’andamento, per esempio, di un titolo, le persone tendono a reagire dopo un certo intervallo di tempo. Oppure, facendo riferimento agli studi di Tversky e Griffin (1992), che parlano di “forza” (potere evocativo delle informazioni) e di “peso” (contenuto dell’informazione), si verificano reazioni spropositate rispetto all’informazione: troppo esagerate quando prevale l’elemento “forza” e poco l’elemento “peso” e viceversa. Per esempio, quando si paragona la caduta di un titolo a un evento catastrofico del passato, tracciando un parallelismo nominale e rievocativo con esso, invece di valutare i dati concreti della situazione,

  • overreaction e underreaction – questo fenomeno ha molti aspetti in comune con quelli visti fino a ora e riguarda la lentezza con la quale i mercati reagiscono all’andamento, positivo o negativo, del prezzo dei titoli. Nel primo caso (overreaction), si ha una reazione eccessiva rispetto a un notizia, nel lungo periodo, rispetto al valore della notizia stessa; nel secondo caso (underreaction), la reazione è inversa con una reazione più lenta rispetto all’informazione. Sicché, se di recente vi è stato un aumento del prezzo di un titolo, tale aumento si protrarrà anche nel periodo successivo. Riprendendo quello che abbiamo detto a proposito di ancoraggio e disponibilità, ma anche rispetto al fenomeno del priming, ossia, l’influenza degli eventi più recenti rispetto a un comportamento o a una decisione da prendere. I due fenomeni, di overreaction e di underreaction, tendono a compensarsi nel corso del tempo. Tale andamento, tuttavia, influisce sull’efficienza dei mercati in un determinato periodo, sicché, chi ha esperienza di questo comportamento, può adeguarsi e seguire l’andamento nei momenti di crescita dei prezzi ottenendo un profitto da un’inefficienza del mercato,

  • avversione per l’ambiguità – questa euristica riguarda l’avversione delle persone per i rischi sconosciuti rispetto ai rischi conosciuti (deriva da un esperimento di Ellsberg conosciuto anche come “paradosso di Ellsberg” dell’economia sperimentale, che mostra l’avversione delle persone per le ambiguità). Pertanto, le persone tendono a rifiutare situazioni dubbie in cui non sono a conoscenza dei rischi che corrono. Tale fenomeno è collegato alla preferenza delle persone per ciò pensano di poter fronteggiare (capacità di coping) rispetto a qualcosa verso la quale avvertono di avere minore competenza (minore capacità di coping),

  • teoria dei prospetti (prospect theory) – secondo questo approccio, le persone individuano un punto di riferimento cognitivo dal quale partire per effettuare una serie di confronti, valutazioni, scarti e arrivare, attraverso un processo di approssimazioni successive, a prendere una decisione su una certa questione. In questo, si comportano diversamente dal principio dell’utilità attesa, secondo il quale l’utilità di un evento è dato dalla combinazione lineare delle probabilità di ciascun evento. Questo perché, come abbiamo detto, le persone preferiscono gli eventi certi a quelli incerti. Inoltre:

    • le persone preferiscono gli eventi positivi di minore valore ma dall’esito certo, rispetto agli eventi di valore maggiore ma dall’esito incerto,

    • le persone preferiscono evitare le perdite piuttosto che conseguire guadagni,

    • le persone, davanti a fenomeni complessi, tendono a suddividere la questione e a prendere in considerazione solo alcuni punti, tralasciandone altri. In questo modo, perdono di vista il quadro completo della situazione.

Per ovviare a queste limitazioni, la teoria di Kahneman e Tversky si propone appunto di offrire una “prospettiva”: ogni processo decisionale si articola in due fasi, una di strutturazione del problema e una fase di valutazione delle possibili alternative. La prima fase consiste in una riformulazione del problema attraverso i “filtri” cognitivi che aiutano ad alleggerire il carico di informazioni gestibili (suddiviso in 6 fasi), la seconda che consiste in una comparazione fra le diverse opzioni e nella scelta di quella che presenta un valore maggiore per il/la decidente. Valutando, per esempio, il guadagno/utilità che può derivare partendo da un certo livello di ricchezza; tenendo conto del peso e della probabilità di ciascuna possibile scelte in relazione al valore che ritiene massimo per sé.

Rispetto alla teoria dell’utilità attesa, vediamo infatti che il concetto di “utilità” è sostituito da quello di “valore”, che indica una preferenza rispetto a un punto di riferimento iniziale (aspetto inoltre legato anche alle credenze e alle preferenze personali di chi assume la decisione), rispetto al termine “utilità” che corrisponde a quello di massimo guadagno conseguibile. Inoltre, le probabilità hanno un “peso” diverso nei due approcci: in quella delle utilità si tratta di una valutazione oggettivo-statistica, mentre nella teoria dei prospetti la probabilità va “ponderata” in base al fatto che le persone attribuiscono probabilità più positive o negative rispetto a quelle oggettive (overconfidence e underconfidence). Altro aspetto saliente della teoria dei prospetti è che la configurazione del problema dipende dal modo in cui esso è stato inquadrato nella mente della persona (effetto di framing): se un determinato esito è considerato come un “guadagno” allora la persona tenderà a correre meno rischi (avversione al rischio); se invece assume contorni di perdita allora prenderà decisioni più rischiose (propensione alle perdite). Tenendo conto sempre del criterio generale che abbiamo detto caratterizzare il comportamento umano, ossia, quello di avversione al rischio.

Aspetti cognitivi (e non) della “comunicazione persuasiva”.

La comunicazione persuasiva è una comunicazione che prende avvio e che tesse i rapporti interpersonali e comunitari. Presuppone, pertanto, una visione del parlare non solo come strumento per il raggiungimento delle proprie finalità o per l’esplicitazione delle proprie esigenze, ma anche come manifestazione e interpretazione delle nostre stesse azioni, pensieri, conoscenze, e quindi come comprensione e negoziazione del significato stesso delle proprie credenze. L’interesse per i sistemi comunicativi viene dunque integrato con l’interesse per gli atti storicamente e culturalmente determinati.

L’approccio dell’analisi del discorso, dunque, non considera la comunicazione come uno “specchio” dei pensieri, delle credenze, delle intenzioni etc delle persone, quanto un processo di co-costruzione della realtà attraverso il linguaggio. La comunicazione è un’azione sociale, ossia, noi parliamo di quello che facciamo (o che stiamo facendo) come modo per compiere delle azioni in un mondo socialmente significativo. Contano quindi la circolarità della comunicazione, ossia, la comunicazione come sequenza continua di scambi, secondo i diversi interventi degli interlocutori/delle interlocutrici, e la punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i/le comunicanti. Questo perché, qualunque messaggio è ambiguo e tutti/e devono ricorrere a uno sforzo interpretativo quando comunicano. Qualsiasi scambio, infatti, è caratterizzato sempre da un aspetto palese e da un aspetto nascosto del parlato e, pertanto, le parole non sono sempre quello che appaiono nell’immediato. Sicché, ogni comunicazione persuasiva necessita di un esercizio di analisi che parte dall’argomento trattato nello scambio e, ciascuno/a, facendo uso degli strumenti di analisi di cui dispone, porta alla luce tutto quello che non è esplicitato. La realtà sociale si esprime quindi attraverso le varie sfumature del linguaggio che le persone adoperano per esprimersi.

Consciamente o inconsciamente mettiamo in atto tecniche diverse per stabilire un rapporto di fiducia e di influenzamento dell’interlocutore/ice nella comunicazione persuasiva. Queste tecniche riguardano sia l’aspetto pre-persuasivo, in cui le persone costruiscono un rapporto, sia le modalità impiegate per cogliere e utilizzare, nel corso di una comunicazione persuasiva, gli argomenti, le esperienze, i convincimenti etc capaci di influenzare l’altro/a.

I sistemi umani sono sistemi aperti che comunicano in modo costante con il proprio ambiente. Pertanto, se si vuole cogliere la dinamica di uno scambio di interazioni occorre porsi a livello della totalità delle interazioni e non della singola persona. Tenendo quindi conto del concetto di “retroazione” (feedback), che porta al superamento della concezione lineare di casualità nelle relazioni umane (per es. nel corso di un dibattito, gli intervenienti si pongono in una logica di sfida reciproca, in cui la difesa della propria posizione porta l’altro/a a esacerbare il proprio comportamento avversativo).

A questo proposito, ricordiamo i 5 assiomi della comunicazione (Paul Watzlawick, 1967):

  1. non si può non comunicare

  2. ogni comunicazione ha un aspetto di relazione e uno di contenuto, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta comunicazione

  3. la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti

  4. gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico sia con quello analogico

  5. tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.

Ma, in questo senso, il contributo di Watzlawick non è il solo.

Importante è anche l’apporto dell’etnopragmatica (Alessandro Duranti, 2007). Per etnopragmatica si intende uno studio della comunicazione che, integrando metodi etnografici con metodi d’analisi del discorso, mette in evidenza i diversi modi in cui il linguaggio “fa la differenza” tra le persone e rende possibile un particolare tipo di scambio comunicativo, proprio perché la collocazione avviene all’interno dell’agire sociale di gruppi particolari.

Il primo a porre l’attenzione su questo approccio era stato Goffman, che aveva inventato lo studio della quotidianità.

I parlanti in quanto esseri sociali devono sempre avere a che fare con dei sistemi di significazione che li precedono sia storicamente sia in relazione alle condizioni in cui avviene la conoscenza. Allo stesso tempo, ci può anche far scoprire quello che un sistema può fare a prescindere dalle intenzioni dei suoi utenti. Attraverso per esempio lo studio del contesto in cui avvengono specifici atti comunicativi e, da lì, fare ipotesi sul come e sul perché certi atti hanno la forza di creare determinate situazioni, rapporti e identità sociali. Considera cioè:

  • il carattere intersoggettivo del contesto – già Goffman (1959) si chiedeva in che modo un attore sociale potesse dare senso a quello che gli succede intorno,

  • l’elasticità del contesto – il contesto da una parte si evolve e cambia con il modificarsi delle nostre conoscenze e dei nostri dubbi e, dall’altro, si restringe attraverso le categorizzazioni che facciamo e le direzioni predefinite che diamo all’interpretazione del contesto stesso escludendone altre,

  • il “punto di vista” – il punto di vista (point of view) indica delle sfumature da attribuire ad alcuni significati e per i quali solo i parlanti possono dare delle indicazioni su come interpretarli. I parlanti offrono in continuazione indicazioni (contextualization)che possono essere usati dagli ascoltatori per interpretare quello che viene detto.

Ogni comunicazione è sempre a due livelli: un livello di contenuto e un livello di relazione. Inoltre, ogni comunicazione non solo trasmette informazione ma, allo stesso tempo, impone un comportamento.

Un altro aspetto importante è la circolarità della comunicazione, ossia, la comunicazione è una sequenza ininterrotta di scambi, anche se punteggiati in modo diverso dagli interlocutori/dalle interlocutrici e la natura di una relazione dipende proprio dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i/le comunicanti. E questo comporta delle conseguenze ricche di significati e implicazioni.

Un utile strumento per avvicinarci alla comprensione del fenomeno della comunicazione persuasiva e della dinamica delle relazioni interpersonali è la “Finestra di Johary” (Luft e Ingham 1955). Tale modello contempla una finestra in cui sono presenti 4 diversi tipi di comunicazione che emettiamo:

1 – io aperto (quello che comunico facilmente: idee, dati, progetti etc)

2 – io cieco (quello che gli altri/le altre non vedono di me e delle mie esigenze)

3 – io occulto (quello che comunico con difficoltà e quello che non voglio far sapere)

4 – Io sconosciuto (quello che né noi, né gli altri/ le altre sono in grado di vedere).

Questo modello cerca di descrivere come funziona lo scambio comunicativo. Anche se ovviamente la persona si esprime come un’“unità”, al fine di comprenderne le motivazioni e il modo di elaborazione è più semplice distinguere quattro diverse parti. I confini di questi quadranti sono determinati dal fatto che i suoi contenuti sono più o meno noti agli altri/alle altre. Nel quotidiano, sappiamo che vi sono una serie di cose che appartengono alla nostra esperienza, pensieri, opinioni, attività, dati che comunichiamo agli altri/alle altre e che quindi sono chiari. Nel contempo, abbiamo una serie di esigenze, esperienza personali, comportamenti, situazioni della nostra vita che emergono con difficoltà o che non comunichiamo (sufficientemente bene). Altre volte, sono gli altri/le altre che ci informano di cose di noi stessi/e di cui non siamo o non eravamo a conoscenza. Queste quattro aree non sono rigidamente delimitate e sono in relazione reciproca.

Da questo punto di vista, sono interessanti gli studi effettuati da Michael Billig (1980) in tema di Analisi del discorso (Discursive Psychology). Per Billig qualunque messaggio è ambiguo e quindi tutti/e devono ricorrere all’interpretazione quando comunicano. L’approccio di Billig è quello di sollecitare il riconoscimento che, in ogni interazione umana, vi è sempre un aspetto “nascosto” di quello che si dice: ossia, che le parole non sono sempre quello che sembrano. Pertanto, in ogni comunicazione persuasiva vi è un esercizio di analisi che parte dall’argomento trattato nello scambio fra le persone e ciascuno/a, utilizzando tutte le armi analitiche di cui dispone, deve portare alla luce quello che non è esplicito.

L’approccio dell’analisi del discorso, dunque, non considera la comunicazione come uno “specchio” dei pensieri, delle credenze, delle intenzioni etc delle persone, quanto un processo di co-costruzione della realtà attraverso il linguaggio: la comunicazione è un’azione sociale, il che significa che noi parliamo di quello che facciamo (o che stiamo facendo) come modo per compiere delle azioni in un mondo socialmente significativo. Secondo Billig, infatti, quando una persona esprime una richiesta o assume un comportamento, non lo fa in base a uno schema, ma in relazione a una particolare situazione e quindi acquista significato in relazione a qualcosa-qualcuno/a e a ciò che viene detto (per es. in uno scambio comunicativo aggiustiamo le nostre argomentazioni sulla base delle contro-argomentazioni che stiamo contrastando o cercando di cambiare). Quello che affermiamo, infatti, acquista significato in base a ciò che è stato detto prima e in base a quello che verrà detto in seguito. Sicché è importante vedere in che modo le persone comunicano seguendo i turni di parola e in che modo formulano le proprie argomentazioni e rispondono a quelle degli altri/delle altre.

In comune, i diversi approcci hanno quello di un approccio “concreto” del linguaggio: esso è cioè radicato nella pratica di ciò che le persone dicono e fanno. Non si tratta quindi di esaminare la linguistica, nel senso di un insieme di norme e di regole grammaticali (che quindi danno l’idea di un aspetto strutturale e predefinito degli scambi), quanto quello di osservare ciò che effettivamente le persone fanno e dicono.

Quali competenze occorrono nel processo di comunicazione persuasiva?

L’abilità comunicativa e persuasiva consiste nel comprendere “cosa sta accadendo” e saper modulare la comunicazione di conseguenza. Il “rumore”, invece, può essere sia fisico-ambientale sia di tipo psicofisico (es. stanchezza, ansia, timore etc).

La comunicazione è, nel complesso, un processo sistemico (ossia, le persone coinvolte fanno parte di un sistema di influenzamento reciproco), pragmatico (ciò che conta sono gli effetti del comunicare, quello che viene recepito e come, per esempio), strategico (per cui la persona ha obiettivi precisi da raggiungere e si adopera per raggiungerli).

Nella comunicazione occorre considerare che la persona è influenzata dalla:

  • identità personale, sociale, professionale (es. genere, età, status, ruolo, cultura etc)

  • relazione con chi comunica (es. collaborativa, competitiva, paritaria, formale, gerarchica, amicale etc)

  • contenuto, che può essere nuovo, originale, banale, ripetitivo, pubblico, privato etc

  • dalla scelta del linguaggio (verbale, paraverbale, non verbale).

La scelta delle parole e delle frasi deve tener conto del:

  • registro linguistico (per es. familiare, informale, formale, tecnico, specialistico etc)

  • obiettivo che si intende conseguire (es. informativa, esplicativa etc).

Pertanto, nel corso dell’interazione occorre verificare continuamente che il feedback proveniente dal ricevente sia in linea con quello che abbiamo voluto comunicare e, se necessario, (ri)calibrare la comunicazione verso l’obiettivo desiderato. Infatti, la comunicazione persuasiva consiste nel saper analizzare i dati del contesto e nel saper adottare lo stile più opportuno per il conseguimento della finalità desiderata.

Occorre quindi diventare più coscienti dell’intera dinamica della comunicazione, in modo da cogliere i messaggi provenienti dagli interlocutori/dalle interlocutrici e ottenere la massima corrispondenza nella comunicazione con particolare attenzione ai tre livelli affinché siano congruenti fra loro. Per ottenere questi risultati, è necessario:

  • utilizzare un codice comunicativo comune, mantenendo l’attenzione al contesto socio-culturale ed emotivo dell’interlocutore/ice,

  • osservare ogni feedback, anche non verbale

  • essere disponibili a modificare l’interazione, quando ci rendiamo conto che non siamo riusciti/e a creare raport o quando ci rendiamo conto che non siamo riusciti a farci comprendere

  • essere consapevoli dei meccanismi di difesa e dalle percezioni che abbiamo come persone.

Nella comunicazione persuasiva, quindi, un aspetto importante è dato dalla capacità di ascoltare. L’ascolto comporta l’utilizzo di capacità intuitive, intellettive, interpretative, percettive, di controllo (interno ed esterno), empatiche e valutative. Attraverso l’ascolto attivo, ossia, la riflessione del sentimento e del contenuto e quindi della comprensione, è possibile esprimere empatia. Quella che Adler definì “vedere con gli occhi di un altro, ascoltare con le orecchie di un altro, sentire con il cuore di un altro”.

E questo significa che, nella verifica della comprensione, occorre procedere a: riformulazioni, ridefinizioni, sintesi, utilizzare i turni di parola, tecniche proiettive, usare l’analogia.

Ma, prima ancora dell’ascolto, occorre creare le condizioni favorevoli e preliminari per rendere la comunicazione persuasiva più efficace, come quella di far precedere il messaggio inquadrandolo in una cornice interpretativa; porre delle clausole su come si intenda trattare l’argomento; attribuire un ruolo all’ascoltatore/ice; esplicitare perché si desideri essere ascoltati; negoziare il tipo di ascolto per chiarire disponibilità, aspettative e ruoli reciproci.

Gli studi sulla comunicazione persuasiva hanno subito interessanti sviluppi e notevoli applicazioni pratiche. Lo studio dei processi che permettono ai “flussi di messaggi” di passare da una persona all’altra in modo che da una parte ne sia rispettato il contenuto e dall’altra ci sia un contributo al miglioramento dello scambio, è diventata una branca di studio molto interessante.

Una breve analisi delle teorie psicologiche più recenti.

Esaminando l’origine, le modalità e i destinatari della comunicazione persuasiva è possibile organizzare l’analisi sul cambiamento degli atteggiamenti e sulle modalità in cui attuarlo, considerando la persuasione in termini di: chi dice cosa a chi, quando. Infatti, la ricerca classica sulla persuasione considerava essenzialmente queste categorie come la “3 W” della persuasione (who, what, when). Negli anni ’50, quando la persuasione è diventata un focus centrale della ricerca sociale, questa è stata la visione prevalente circa i fattori che determinano il probabile successo o il fallimento di un messaggio. Da allora, abbiamo appreso molto di più sui meccanismi psicologici sottostanti che determinano la persuasione e le interazioni tra l’origine, il messaggio e i benefici.

Sui molteplici caratteri delle fonti dei messaggi e sul ruolo che svolgono nella persuasione esiste una copiosa letteratura (Pablo Brifiol e Richard E. Petty, 2003). Queste dimensioni includono la credibilità della fonte, l’attrattività, la numerosità etc. La visione classica di queste dimensioni sottolinea che esse si valorizzano reciprocamente, per cui la loro associazione (per es. credibilità e attrattività) favorisce una maggiore persuasione. Così come l’aumento delle fonti che veicolano argomentazioni concordanti e favorevoli sull’argomento al centro del target persuasivo. Probabilmente, il fattore più studiato è quello relativo alla credibilità della fonte.

La credibilità della fonte di origine del messaggio è un costrutto “ombrello” che comprende sia l’esperienza che se ne ha sia la fiducia che si nutre verso di essa. L’esperienza si riferisce generalmente alla quantità di conoscenze che una persona ha o alla capacità percepita di fornire informazioni accurate e veritiere. La fiducia invece descrive l’onestà percepita o la motivazione a fornire informazioni accurate e veritiere. In generale, se la credibilità, in termini di competenza e in termini di affidabilità è elevata, il messaggio sarà più persuasivo. Anche l’attrattività è una caratteristica importante: più il pubblico è affezionato alla fonte, più la persuasione tende a crescere. Per esempio, quando chi parla ha un aspetto piacevole, il messaggio è considerato più persuasivo, rispetto a quando la fonte non è avvenente (Mark Snyder e Mary Rothbart, 2006). Oppure, i messaggi provenienti da una fonte conosciuta sono ritenuti più veritieri rispetto a quelli provenienti da una fonte sconosciuta (Richard E. Petty, John Cacioppo e David Schumann, 1983). Inoltre, in linea con il principio di somiglianza, per cui le persone tendono preferire i propri simili e a diffidare di chi è diverso da loro (Richard Byrne, 2003), si ha una maggiore persuasione quando la fonte di un messaggio è più simile al pubblico. Mentre, dunque, la credibilità della fonte contribuisce a creare accordo attraverso il positivo accoglimento degli argomenti dei messaggi, l’attrattività fa aumentare la persuasione attraverso l’identificazione con la fonte del messaggio (Herbert Kelman, 2006). Potenzialmente legata alle dimensioni della credibilità e dell’attrattiva, è anche la numerosità che esiste intorno a un certo argomento: avere una maggioranza o una minoranza su un certo argomento svolge un ruolo importante nella persuasione: un messaggio persuasivo condiviso dal 75 per cento dei consumatori intervistati tende a essere più efficace e a indurre un cambiamento di atteggiamento, rispetto a un messaggio condiviso solo dal 25 per cento dei consumatori. Le maggioranze sono ritenute più persuasive perché le persone cercano di appartenere e di essere accettate dal gruppo di maggioranza: principio di appartenenza (Serge Moscovici, 1989). Infine, è importante anche il potere che ha la fonte d’origine del messaggio. La potenza, in genere, coinvolge la capacità percepita dagli individui, secondo cui la fonte può dispensare premi o punizioni. In generale, le fonti più potenti producono un cambiamento di atteggiamento più rapido e una persuasione maggiore rispetto alle fonti meno potenti. Questo effetto deriva dalla propensione alla conformità e si attenua in assenza della fonte di potere.

Oltre ai fattori relativi all’origine, nella persuasione sono importanti anche i fattori relativi al messaggio. Questi ultimi si riferiscono alle caratteristiche del messaggio stesso (per es. ciò che viene scritto o detto in pubblico, le caratteristiche di un prodotto, la recensione da parte di altri/e etc). I fattori legati al messaggio riguardano i contenuti degli stessi. In linea di massima, corrispondono a quello che dice la fonte (per es. quale posizione assume, quanto sono convincenti gli argomenti etc), quanto viene detto (per es. il numero degli argomenti), quanto spesso vengono detti (per es. la ripetizione degli argomenti.) Forse l’aspetto più importante di un messaggio persuasivo è la sua posizione o la sua direzione. Cioè, quanto il messaggio veicolato è concordante o discordante rispetto all’atteggiamento della persona che lo riceve. Oppure, quanto il messaggio è proattivo o non proattivo: in generale, i messaggi proattivi tendono a essere più convincenti e persuasivi rispetto ai messaggi inversi (Charles Lord, Lee Ross, Mark Lepper, 1979). La spiegazione che viene data di questo fenomeno sta nel fatto che i messaggi proattivi rientrano nel campo di accettazione del destinatario (Muzfer Sherif e Carl Hovland, 1961) e pertanto sono valutati in modo più favorevole.

Un’altra distinzione importante riguarda i messaggi unilaterali e quelli bilaterali (o multilaterali). Mentre i messaggi unilaterali contengono esclusivamente argomenti a favore della posizione di chi parla, i messaggi bilaterali (o multilaterali) contengono argomenti sia contro sia a favore del messaggio che viene proposto. Una considerevole quantità di ricerche ha dimostrato che i messaggi bilaterali sono più persuasivi dei messaggi unilaterali, perché aumenta la fiducia percepita della fonte (A.E. Crowley e W.D. Hoyer, 1994). Altri elementi che svolgono un ruolo importante nella persuasione sono la qualità dell’argomentazione, vale a dire quanto sono convincenti gli argomenti addotti in un messaggio. Le ricerche suggeriscono che le persone tendono ad essere più persuase da argomenti forti perché queste le inducono a riflettere più attentamente sui contenuti dei messaggi. In particolare, i messaggi contenenti più argomentazioni portano a una maggiore persuasione rispetto ai messaggi con meno argomentazioni (Richard Petty e John Cacioppo, 1984).

Allo stesso modo, sembra confermata l’euristica circa la generica numerosità dei messaggi, in base alla quale le persone operano secondo la regola del “più è meglio”: semplicemente ripetendo un messaggio si può aumentarne la persuasione (B.W. Pelham, T. Sumarta, T. Myaskovsky, 1994). Questo effetto è stato spiegato con il fatto che la ripetizione, entro un certo numero, facilita la spiegazione degli argomenti dei messaggi. La logica è simile a quella descritta nella letteratura sull’esposizione ripetuta (Robert Zajonc, 1984), in cui la ripetizione iniziale aumenta le associazioni positive, ma oltre un certo numero di esposizioni l’effetto si attenua.

Si tratta delle caratteristiche del pubblico di destinazione, che possono essere stabili o situazionali (per es. rispettivamente, attenzione e stato umorale) e possono variare per dimensioni e per numero. Questi fattori influenzano la motivazione e la capacità di elaborazione e comprensione dei messaggi persuasivi e incidono direttamente sull’interpretazione dello stesso. Per es. le ricerche mostrano che quanto più aumenta l’intelligenza di una persona, tanto più difficile diventa persuaderla (N. Rhodes e . W. Wood, 1992). La spiegazione sta nel fatto che l’intelligenza fornisce agli individui la capacità di valutare la persuasività di un messaggio e di disporre di contro-argomentazioni rispetto al contenuto presentato. Naturalmente, altri fattori sono determinanti a parte l’intelligenza, come l’autostima, la personalità, le conoscenze generali e molti altri. Forse la variabile relativa ai destinatari che viene più studiata è quella riferita allo stato emotivo nel tentativo di persuasione (Petty e Brifiol). Per esempio, la felicità è stata associata a un aumento della persuasione, poiché le persone felici associano la loro felicità attuale con il messaggio o l’oggetto dell’atteggiamento. Un altro fattore rilevante che ha ricevuto notevole attenzione riguarda la postura e il linguaggio del corpo del destinatario (Pety e Brifiol). Per esempio, Gary Wells e Richard Petty (2009) hanno scoperto che il semplice annuire con la testa durante la lettura di un testo influenza l’accordo con il messaggio. Come nel condizionamento classico, questi comportamenti infatti vengono associati all’oggetto dell’atteggiamento.

Un altro fattore importante, come detto, è quello relativo alla facilità di elaborazione e alla fluidità del contenuto, secondo cui la facilità è associata positivamente alla persuasione. Le persone cioè formano atteggiamenti più favorevoli verso stimoli che sentono facili da elaborare e sono più persuasi quando possono facilmente generare motivi a sostegno di quell’atteggiamento. L’origine di questo effetto è da ricercare nell’euristica delle disponibilità, per cui la gente deduce che esistono più ragioni favorevoli quanto più è facile generare esempi.

Dopo alcuni decenni di ricerche mirate alla comprensione della fonte, dei messaggi e dei fattori relativi ai destinatari, nello studio della comunicazione persuasiva i ricercatori hanno, in tempi più recenti, spostato la loro attenzione dal chiedersi “se” queste variabili influenzano la persuasione, a “quando”, “come” e “perché” la influenzano.

Questa nuova ondata di ricerca ha fornito una visione approfondita di un certo numero di questioni disturbanti, compreso il motivo per cui alcuni fattori (ad esempio, una fonte esperta) a volte aumentano mentre altre volte diminuiscono la persuasione, nonché perché il cambiamento dell’atteggiamento a volte sembra durevole e dotato di un rilevante impatto, mentre altre volte sembrava piuttosto transitoria. Il risultato di questo spostamento è stato lo sviluppo di nuove teorie capaci di rappresentare contemporaneamente più effetti, processi e conseguenze della comunicazione persuasiva. Di particolare importanza sono il ​​modello di probabilità di elaborazione (ELM, Richard Petty e John Cacioppo, 1984) e il modello sistematico euristico (HSM, Shelley Chaiken e Alison Ledgerwood, 2007). Questi modelli hanno contribuito a far luce sui molteplici modi in cui una determinata variabile può influire sul cambiamento dell’atteggiamento in diversi tipi di contesti. Un’innovazione fondamentale di questi modelli è che i processi psicologici che mediano gli effetti delle variabili di persuasione sul cambiamento dell’atteggiamento potrebbero essere organizzati in un set finito che opera in punti differenziali di un continuum di elaborazione. Cioè il processo che guida l’effetto di una determinata variabile sulla comunicazione persuasiva – determinando la presenza o l’assenza dell’effetto, la direzione dell’effetto, l’impatto e la durata – dipende criticamente dalla quantità di elaborazione che il destinatario dovrebbe impegnare nel processo. In condizioni di riflessione ridotta, le variabili possono influenzare la persuasione operando come semplice euristica. Nelle condizioni di riflessione relativamente elevata, invece, le stesse variabili potrebbero influenzare la persuasione attraverso mezzi più accurati, come per esempio influenzando la direzione dei pensieri che vengono alla mente o mettendo a disposizione altri argomenti da esaminare. Nel linguaggio del sistema ELM, i processi impegnati nella bassa estremità del continuum di elaborazione sono definiti Percorso Periferico, mentre i processi attivi impegnati nella parte più elevata del continuum sono definiti Percorso Centrale. Più la persuasione si basa su una elaborazione profonda, cioè più il percorso è affinato, più tende a persistere nel tempo, a resistere ai tentativi di cambiamento e ad avere conseguenze sui giudizi e sui comportamenti. Per offrire un esempio dell’utilità organizzativa e predittiva di questo framework multi-processo, possiamo considerare la credibilità della fonte. L’approccio classico afferma che le fonti credibili sono più persuasive perché le persone sono convinte che “se lo dice un esperto, deve essere vero” (Chaiken). Coerentemente con questa prospettiva, la ricerca iniziale ha rivelato che gli effetti della credibilità della fonte sulla persuasione sono più importanti quando le persone non sono molto motivate o in grado di pensare con attenzione (Petty e Cacioppo). Tuttavia, gli studi successivi hanno suggerito che la credibilità della fonte non sempre funziona in base a una semplice considerazione euristica. Inoltre, più credibilità non sempre favorisce un maggior livello di persuasione. La credibilità della fonte del messaggio può cioè produrre effetti diversi in circostanze diverse. Ad esempio, quando il pensiero non è inizialmente impegnato in ragionamenti, elevati o meno, la credibilità della fonte può influenzare la persuasione condizionando la quantità di elaborazione relativa ai contenuti del messaggio. Quando le persone sono insicure se un messaggio sia credibile o meno o se necessiti di un ulteriore approfondimento, possono utilizzare la credibilità della fonte come guida per pensare di investigare di più e meglio circa il messaggio che hanno ricevuto. Inoltre, se la credibilità aumenta l’intenzione di qualcuno/a di pensare di più a un messaggio che ha ricevuto, ma quel messaggio presenta argomenti deboli, allora l’elevata credibilità può essere associata a una persuasione ridotta. Coerentemente con questa logica, avere una fonte esperta a volte aumenta la persuasione quando gli argomenti dei messaggi sono forti, ma diminuisce quando gli argomenti dei messaggi sono deboli. Tuttavia, questo pensiero può essere viziato, per es. dalla credibilità della fonte. Shelley Chaiken e Durairaj Maheswaran (1994) hanno scoperto che quando l’argomento del messaggio è importante per la persona, ma formulato in modo ambiguo, una fonte esperta produce una maggiore persuasione riuscendo a by-passare il pensiero comune delle persone. In simili condizioni, Zakary Tormala, Pablo Brifiol e Richard Petty (2004) hanno scoperto che le fonti credibili possono aumentare la persuasione enfatizzando la valenza dei pensieri significativi dei destinatari.

Il concetto fondamentale alla base dell’atteggiamento delle persone è quello secondo il quale esso è stabile nel tempo, nel contesto e nell’oggetto. Prove empiriche di questa affermazione sono emerse negli anni più recenti come risultato di una maggiore comprensione delle determinanti della coerenza negli atteggiamenti. Tuttavia, sta anche emergendo che le persone hanno atteggiamenti plurimi verso lo stesso oggetto e questa molteplicità è stata spesso spiegata come dipendente dal contesto o dalla presenza di convinzioni non molto forti. Oppure può derivare da effetti di più lunga durata (es. dal contesto oppure, da tendenze interiorizzate etc).

Gli studi sono ancora a livello iniziale, ma sono in aumento le ricerche tese a comprendere meglio e a predire sia la coerenza sia la pluralità o il cambiamento di atteggiamento. Il filo comune che lega queste ricerche è che le risposte delle persone a un determinato oggetto può riflettere diverse valutazioni, rappresentazioni cognitive, interpretazioni e reazioni di carattere emotivo. Una delle fonti della dissociazione, infatti, è la varietà delle motivazioni che sono sottostanti agli atteggiamenti. È il caso di coloro che danno particolare rilevanza all’influenza sociale e che considerano preponderante nelle decisioni individuali l’atteggiamento del gruppo di riferimento (per es. mettono al primo posto le scelte fatte da altri/e per quanto riguarda l’acquisto di un titolo o di un paniere di titoli pur conoscendone poco le caratteristiche).

Ciò dipende dalla misura in cui l’appartenenza e l’identità del gruppo sono salienti e significativi per la persona (Herbert Kelman e John C. Turner, 2013). Pertanto, le persone possono avere atteggiamenti diversi relativamente a un oggetto specifico a causa dell’appartenenza multipla e contemporanea a più gruppi (per es. scelgo il piano d’investimenti per giovani o per donna? Apro il conto corrente come persona fisica o a nome della mia attività?).

Le strategie di comunicazione persuasiva attribuiscono rilevanza agli atteggiamenti multipli. Asch, negli Anni 40, aveva sottolineato che il processo di influenzamento non è quello di portare a un cambio degli atteggiamenti, ma quello di provocare un cambio della definizione e del significato di un oggetto. Quando cambia il significato, cambia anche l’atteggiamento. Prova di questa affermazione è stata mostrata da W. Bosveld (2000), secondo il quale le persone sono più favorevoli verso le “azioni positive” quando altri riferiscono che si tratta di azioni volte a garantire uguali opportunità e non atti di discriminazione inversa (per es. pensiamo a investimenti legati a finalità etiche).

Il modo in cui un argomento è presentato, quando si hanno atteggiamenti multipli, ha un’influenza strategica sulle modalità in cui verrà interpretato. Ossia, basta porre l’accento su diversi aspetti e attributi della questione affinché produca determinati risultati (per es. pensiamo agli investimenti e alle loro diverse caratteristiche: risparmio per figli/e o titoli speculativi e quindi rischiosi? In quale direzione va la scelta di chi investe? Sono in grado di capire solo dopo uno scambio comunicativo che mi consente di inquadrare meglio la persona, i suoi valori, le esigenze etc).

Le ricerche di Nelson mettono in evidenza che gli effetti di framing sono più forti quando la persona ha già una conoscenza dell’argomento, rispetto a chi non ne sa niente. Il meccanismo del framing dipende probabilmente dalla motivazione e dalla capacità del ricevente di elaborare l’informazione e altri aspetti rilevanti.

Ricordiamo quanto detto a proposito del modello della comunicazione a due vie (Chaiken) e del modello della probabilità di elaborazione (Petty e Cacioppo): quando le persone non sono altamente motivate (per es. perché la questione non le coinvolge personalmente) oppure hanno scarse abilità (es. sono distratte o hanno poca conoscenza dell’argomento), l’atteggiamento si basa su aspetti secondari e facilmente disponibili (es. la fonte del messaggio, le caratteristiche della fonte, l’approvazione da parte della maggioranza, la reputazione etc). Quando invece le persone sono sia motivate sia in grado di svolgere un’analisi più accurata della questione, gli atteggiamenti sono basati su informazioni più accurate e la formulazione è più sistematica. I fattori che accrescono una valutazione più approfondita di un argomento sono: il desiderio di acquisire un maggior livello di “confidenza” con la questione, la rilevanza del messaggio per chi ascolta, la formulazione del messaggio in una maniera insolita, l’uso di frasi o di formulazioni che richiamano altri e più alti valori (es. il risparmio, prendersi cura della famiglia etc), quando hanno già una conoscenza approfondita dell’argomento o hanno un elevato grado di ambivalenza, quando credono nella propria abilità e indipendenza di giudizio, quando il messaggio è presentato in maniera semplice etc.

Gli esperimenti di Robert A. Baron (1996) mostrano che l’influenza sociale degli altri componenti di un gruppo sul giudizio di una persona è inversamente proporzionale al livello delle motivazioni della persona stessa e alla sua abilità di elaborare sulla questione in modo indipendente. L’influenza degli altri dipende non solo dall’opinione che esprimono, ma anche da altri aspetti dell’interazione sociale e dal modo in cui l’altro/a si presenta (es. le persone che approfondiscono di più l’argomento ricevono maggiore ascolto da parte degli altri e appaiono più persuasive).

Anche la sensazione di incertezza delle persone influenza il modo in cui assumono le proprie decisioni. Un’applicazione specifica di questa “capacità previsiva” è data dalla prospect theory di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo e all’euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento (Amos Tversky e Daniel Kahneman, 1974).

Conclusioni.

Gli studi teorici e le evidenze empiriche mettono l’accento sui motivi sottesi alle risposte, verbali e comportamentali, dei riceventi e sulla varietà dei processi cognitivi ed emotivi che sono coinvolti in un processo di comunicazione persuasiva.

Lo studio dei contenuti dei messaggi fa riferimento all’elaborazione del messaggio stesso e, allo stesso tempo, alla complessità dei fenomeni coinvolti: il messaggio cioè non è solo testo, ma è contesto, regole linguistiche, processi sociali e condivisione di questi elementi da parte dei parlanti, rapporto fra le parti, sottintendendo una meta-comunicazione implicita e condivisa da parte delle persone in interazione.

Questo approccio comporta la possibilità di individuare degli “schemi prevedibili di risposta” (verbale o comportamentale) a determinati input comunicativi che tengono conto dell’influenza del contesto condiviso e dell’identità della (per es. nella diversa propensione al rischio di un investimento).

Aspetti che devono essere integrati perché sono importanti nella comunicazione persuasiva.

Consideriamo lo scambio comunicativo come inserito in un preciso setting, con diversi interlocutori, e quindi avendo come riferimento un patrimonio di esperienze, interpretazioni, associazioni, ricordi, bisogni delle singole persone; ma anche come influsso di fattori sociali nell’interpretazione del messaggio, che non consiste solo nel testo scritto o parlato e nel rispetto di regole linguistiche e dei dati empirici, ma in una serie di valori, credenze, circostanze, modalità, veicoli, relazioni, riferimenti, associazioni legate alla rete delle interazioni e al modo in cui influenza il vissuto della persona e la sua identità “in relazione a”.

L’approccio proposto prende in considerazione le interazioni reali fra le persone, piuttosto che una riflessione teorica sulle modalità di scambio e quindi uno schema semplificato e valevole in via generale. Considera i bias cognitivi che ciascuna/o di noi ha e che portano a prendere decisioni non sempre razionali o pienamente consapevoli dei diversi aspetti sottesi (es. rischiosità di un investimento; sovradeterminazione dei guadagni attesi etc).

Inoltre, la costruzione di una comunicazione persuasiva avviene predisponendo condizioni favorevoli al processo stesso, sia nel momento iniziale, che durante e poi nella fase successiva. L’accento, pertanto, è posto sull’“attenzione guidata” che caratterizza il momento iniziale della comunicazione persuasiva, quando vengono predisposte le condizioni necessarie per persuadere l’interlocutore/ice: le premesse di fiducia, di associazione di idee e di argomentazione a sostegno di quelle che vogliamo trasmettere. La constatazione che il processo persuasivo avviene non solo con riferimento al contenuto del messaggio trasmesso, ma anche delle circostanze che riguardano il contesto e lo stato emotivo della persona, perfino il suo calo di attenzione e di “presenza mentale” (attentional blinck) e i bias della razionalità. Argomentare e fare dei collegamenti con quanto la persona che ascolta già conosce, le esperienze passate, le aspettative relative alle scelte, crea un legame con l’altra/o.

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