L’universalismo della lotta delle donne e degli uomini curdi

L’invasione del Nord della Siria da parte della Turchia rappresenta un evento dirompente per tutto il mondo. L’iniziativa del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, un tiranno a detta di molti, ha avuto l’impatto di destabilizzare ulteriormente il Medioriente, mettendo a repentaglio i risultati conseguiti nella neutralizzazione degli estremisti dell’Isis. Nella lotta contro il sedicente Stato islamico, che ha seminato il terrore dentro e fuori l’area del conflitto, si sono distinte le brigate curde, composte in maniera paritetica da uomini e da donne. Presenti in diversi Stati, i curdi hanno sempre rivendicato la propria autonomia, senza che questa rivendicazione abbia portato un reale appoggio internazionale alla causa della formazione di un Kurdistan come Stato sovrano (in foto, la bandiera). Eppure negli anni più terrificanti della guerra – si pensi all’assedio di Kobane del 2014/2015 – le milizie curde riuscirono a respingere l’offensiva militare, culturale e religiosa volta alla instaurazione di un’entità statale basata sul terrore e sulla interpretazione più retrograda dell’Islam. Tuttavia, i loro principali alleati, vale a dire gli americani, hanno scelto la strada del disimpegno militare, il che ha significato l’immediata azione militare turca che, da un lato, ha sempre osteggiato i curdi e, dall’altro, ha intrattenuto rapporti ambigui proprio con l’Isis. In pochi giorni di guerra, l’operazione militare di Erdoğan ha prodotto morte tra le milizie, definite terroriste dal Presidente turco, e anche tra i civili. Tra le vittime spicca il nome di Hevrin Khalaf, segretaria del Partito Futuro siriano, paladina della convivenza pacifica tra etnie e religioni diverse e della emancipazione femminile. È morta crivellata di colpi. Nel marasma generale causato dalla invasione turca e dalla fuga dei terroristi dell’Isis dalle prigioni curde non è stato ancora possibile identificare la mano responsabile di una simile atrocità. Di fronte alla rapida escalation militare si sono levate molte voci contro Erdoğan e anche contro la decisione di Trump, parzialmente smentita dallo stesso Presidente americano, in difesa della minoranza curda. La linea ufficiale del Governo italiano e di molti altri Paesi europei è quella di vietare la vendita di armi alla Turchia. Si sono levate e si stanno ancora levando le voci di intellettuali e artisti che chiedono l’immediata cessazione di una guerra della quale si ignorano le conseguenze. Un’intellettuale del calibro della scrittrice italiana Dacia Maraini, in una intervista concessa ad Huffington Post, spiega la propria vicinanza alla causa del popolo curdo, ed in particolare alle donne: “molte delle quali giovanissime sono un’avanguardia culturale e non solo e tanto un fatto militare. Sono un fenomeno culturale molto importante, ed è proprio questo che dà più fastidio, che fa più paura al mondo tradizionale musulmano, a società rimaste fondamentalmente patriarcali. Si parla di territori, di confini, ma, a mio avviso, si sottovaluta il fatto che queste donne stanno difendendo una idea, un modello di società fondato su una parità di genere. Stanno lottando per la libertà del loro popolo e per la difesa di diritti che non sono stati regalati loro, ma sono frutto di una lotta, anche e per certi versi soprattutto culturale, che le ha viste come protagoniste”. Maraini ricorda come, al fianco dei combattenti curdi, vi siano stati tanti giovani provenienti da altri Paesi europei, tra cui l’Italia, e come quella lotta abbia assunto una portata ben più ampia, anche perché Erdoğan “ha sequestrato il suo Paese, incarcerato migliaia di oppositori, e oggi intende dare una lezione, mortale, ai curdi. Non si tratta di mandare soldati o alimentare un’altra guerra, ma si utilizzi lo strumento delle sanzioni per fermare la mano dell’aggressore.”

Foto tratta da Google Immagini

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