LE GRAVISSIME PERDITE CULTURALI E ARTISTICHE DI PALAZZO GIUSTINIANI – ODESCALCHI A BASSANO ROMANO

Il bellissimo Palazzo Giustiniani – Odescalchi, si erge grigio e maestoso fra gli stabili del centro storico di Bassano Romano in provincia di Viterbo.

La storia del palazzo ha origini antiche, iniziando dal medioevo, quando l’intero complesso era un semplice maniero feudale. La costruzione, poi diventa di appartenenza, fra il XV e il XVI secolo, della famiglia Anguillara, che vi crea le prime trasformazioni. Ma i cambiamenti più rilevanti si hanno nel XVII secolo, quando la villa muta in una vera residenza rinascimentale e vengono realizzati alcuni motivi decorativi nella loggia e nei tanti vani ubicati al piano nobile. I lavori, commissionati dal marchese Vincenzo Giustiniani, mecenate e raffinato collezionista, appartenente ad una famiglia di banchieri e mercanti, originaria della Liguria, coinvolsero anche il grandissimo parco che è collegato con gli ambienti interni mediante un ponte levatoio. Gli ultimi interventi sono, invece, della fine del XVII secolo, quando viene realizzato il famoso teatrino che si contempla al piano terra. La famiglia Giustiniani però lascia l’edificio nel 1854, per significativi problemi economici, a Livio Odescalchi. La famiglia Odescalchi, cominciò, dopo la metà del XX secolo, a non occuparsi più dell’intera struttura, lasciandola in un avvilente abbandono, la quale nel 2003, viene acquisita dallo Stato Italiano riaprendola al pubblico il 24 maggio del 2016. Attualmente il palazzo, nonostante un programma di restauro a cura della Soprintendenza per i Beni Architettonici del Lazio, che ha coinvolto soprattutto il giardino e la residenza di caccia, avrebbe ancora bisogno di altri ripristini per supplire a decenni di trascuratezza.

Il prospetto dell’edificio venne nobilitato da quattro monumentali busti antichi, ancora esistenti, che preannunciano il senso estetico e antiquario con cui furono decorati gli interni e il cortile. Esso, a doppio ordine di arcate, era impreziosito di affreschi monocromi con trionfi, fregi e stemmi eseguiti da Antonio Tempesta, 1555-1630, adesso quasi totalmente non più esistenti. Sul fondo c’è una fontana con una statua antica simbolo dell’Abbondanza. Salendo attraverso un elegante scalone si arriva al loggiato, le cui volte sono determinate da sofisticate grottesche affrescate intorno al 1570-1580, e completate con ulteriori soggetti nel decennio posteriore all’acquisizione della famiglia Giustiniani. Dalla loggia si può arrivare al giardino mediante il ponte che attraversa via Roma o alle stanze del piano nobile.

Il primo spazio è l’ampio Salone dei Cesari, anticamente destinato ad ospitare i busti di 12 imperatori romani, caratterizzato da un grande camino e sulla cui volta è presente lo stemma della famiglia Giustiniani, con le rappresentazioni allegoriche della fortezza e della giustizia.

Nell’ala meridionale, a sinistra di un grande camino attraverso una porta si accede al Salone di Amore e Psiche; il ciclo pittorico che decora la volta è riferito appunto alla favola di Amore e Psiche, tratta dalla composizione di Apuleio, prodotto dall’artista manierista Bernardo Castello, illustratore degli scritti di Torquato Tasso e presente anche nella Cappella Giustiniani nella stupenda chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva.

Continuando in senso orario, abbiamo due stanze dedicate all’estate e alla primavera, con grottesche dell’epoca degli Anguillara e da dipinti di artisti fiamminghi e due spazi con composizioni ritraenti Bacco e Vulcano.

Nella parte settentrionale del palazzo, in cui è situata una piccola cappella, sono dislocati quasi totalmente due vasti saloni e una sala più piccola, posta tra i due, le eleganti decorazioni dei tre ambienti furono commissionate da Vincenzo Giustiniani rispettivamente al Cavaliere Paolo Guidotti-Borghese, a Francesco

Albani e a Domenico Zampieri, chiamato il Domenichino. Nel primo salone vi è una volta bassa con le illustrazioni di un ciclo pittorico che descrive il tragitto indispensabile per il conseguimento della felicità. Al di là di questo spazio c’è la camera decorata da Domenichino; Domenico Zampieri creò molteplici pitture, oggi restaurate, riguardanti le storie mitologiche di Diana. L’ultimo ambiente, ospita le scenografiche e drammatiche scene riferite al mito di Fetonte, figlio di Apollo che fece precipitare il carro del sole generando l’ira degli dei e una sequenza di disastri naturali.

Importante, è un piccolo teatrino, al pian terreno e progettato alla maniera inglese: Vincenzo Giustiniani era stato infatti ospite nella residenza estiva di Enrico VII d’Inghilterra, nel Surrey. In esso si trovano dei palchi in legno, in passato rivestiti da drappi e adatti ad accogliere la nobiltà dell’epoca, ed una vasta platea nella quale si entra mediante il cortile, destinata all’intero popolo.

Il parco si estende nella zona maggiore della proprietà. Esso ha avuto, a partire dal 1605, molti interventi di riqualificazione profondamente voluti da Vincenzo Giustiniani. Egli, tramite i suoi moltissimi viaggi in Europa, fu influenzato dagli spazi verdi delle abitazioni francesi e inglesi, decidendo di far realizzare tali esempi, includendo in questo modo, al giardino di Villa Giustiniani – Odescalchi, parti di bosco e lunghi viali. Abbiamo inoltre in esso rigogliose siepi, piante sempreverdi di tutti i tipi, cioè un classico modello di giardino all’italiana e piccole piazze arredate in modo raffinato con eleganti sculture e pezzi in pietra.

Dall’edificio, infine si poteva intravedere anticamente la casina di caccia, per mezzo di un lunghissimo viale, ancora presente ma ricoperto di folta vegetazione. Architettonicamente riproduce la linea del complesso, e dotata di un’altana merlata e di una torre centrale.

Palazzo Giustiniani – Odescalchi, è stato lo stupefacente scenario di molti film storici fra cui: “La dolce vita” di Federico Fellini e “L’Avaro” con Alberto Sordi, alcune scene del “Gattopardo”, “Blaise Pascal” di Roberto Rossellini, “il Marchese del Grillo”, “Bianco, rosso e Verdone” e “Una moglie bellissima” di Leonardo Pieraccioni.

In tali riprese, palazzo, villa e rocca apparivano complete nei loro apparati decorativi, soprattutto la stupenda statuaria romana ripristinata da Gian Lorenzo Bernini e da Alessandro Algardi, per la cui rilevanza, nel 2003, come già citato, fu acquisito dallo Stato Italiano con una spesa pubblica di circa 6 miliardi di lire più altri 3 milioni e mezzo di euro per i primi restauri. Tuttavia, prima di essere dato in consegna, il complesso monumentale è stato privato di tutto dai proprietari Odescalchi e lo Stato ha comprato un contenitore vuoto. La costruzione, è stata in passato vincolata dal Ministero della Pubblica Istruzione, con provvedimento generico, come si faceva in precedenza, senza inventario. Questo, perciò, ha agevolato la spoliazione dei rilevanti apparati artistici, pertinenziali, della statuaria che era all’interno del palazzo, costituendo dubbi interpretativi che hanno permesso l’allontanamento di tutti i manufatti. Erano opere legate al sito anche sotto il profilo storico ed identitario, che caratterizzavano anche il nome degli ambienti. La statuaria, anche se non elencata specificatamente nel vincolo, è certificata nelle moltissime pubblicazioni scientifiche, che non sono state in grado però di bloccare i venditori Odescalchi, consegnando le strutture mutilate allo Stato. Le statue Giustiniani – Odescalchi di Bassano Romano, hanno la stessa matrice del nucleo Giustiniani – Torlonia a Villa Caffarelli in Roma. L’origine dei due nuclei è legata a Vincenzo Giustiniani, 1564-1637, al suo lavoro di collezionista e alla sua predisposizione al mecenatismo, coadiuvando la teoria delle arti figurative mediante l’elaborazione di tre scritti: “Discorso sopra la pittura, scultura e l’architettura”, fusione indivisibile che creò a Bassano Romano. Attualmente, mentre il nucleo Giustiniani – Torlonia è decantato come basilare per la cultura italiana, quello Giustiniani – Odescalchi è disperso, esportato nell’ombra.

L’interrogazione parlamentare dell’onorevole Marzia Ferraioli di Forza Italia, professoressa di ruolo di Procedura penale all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, n. 639 del 16 febbraio 2022, chiede che il ministro Dario Franceschini chiarisca come sia possibile che gli Odescalchi abbiano rimosse tutte le statue romane e seicentesche.

La Soprintendenza dell’Alto Lazio, ufficio periferico del Ministero della Cultura e organo di vigilanza, per l’interrogante avrebbe dovuto in modo migliore vigilare sugli elementi artistici della struttura, non autorizzando la libera disponibilità dei manufatti decorativi. Non si comprende, fra l’altro, se la dichiarazione di interesse culturale, in precedenza fisiologicamente generica, è da considerare omnicomprensiva del compendio. Così, come è dubbio, se l’assenza di dettagli dei primi vincoli, possa aver inficiato la tutela degli elementi integranti del progetto giustinianeo, permettendo la rimozione dei componenti architettonici e statuari. La statuaria, determinata da manufatti archeologici, ex articolo 10 del codice dei beni culturali, considerati ope legis “beni culturali”, dovrebbe esser compresa nella tutela e nella previsione di restauro. L’interesse culturale unitario era nell’intero inclusivo della statuaria e degli altri apparati non amovibili; l’insieme ha indotto l’acquisto da parte dello Stato. La statuaria non era elencata nel vincolo soltanto per cause tecniche di format dell’epoca, ma le statue erano ovunque documentate negli stessi Bollettini del Poligrafo dello Stato; riguardavano elementi sufficienti a consentire l’individuazione e il ripristino. Non è esplicito, inoltre, se le movimentazioni e le vendite siano eseguibili senza essere autorizzate quando la tutela dovrebbe essere ope legis in quanto di proprietà pubblica. Statue sono state ritrovate casualmente all’estero, e non si è al corrente se sia stata elaborata richiesta di esportazione agli addetti uffici, considerando di quanto previsto dall’articolo n. 174 del codice, rubricato “uscita o esportazioni illecite”.

Le statue sono state portate nelle residenze private dei castelli di Bracciano, Palo e Santa Marinella, mentre altre sono state vendute all’estero clandestinamente come il prestigioso “Mitra tauroctono”, il “Gladiatore che uccide il leone”, finito al Getty Museum mutilato del leone, testa e braccia per non essere individuato. Identificato per puro caso dallo studioso tedesco Rainer Volkommer, è stato sequestrato nel 1999 e riportato in Italia. La statua ruggente del leone, appartenente allo stesso gruppo è stata staccata e venduta sul mercato antiquario, riconosciuta nella mostra “Archaeology&ME”, le statue più importanti sono state decapitate e le teste più commerciali vendute. Altre statue portate clandestinamente nel Palazzo Odescalchi romano di Santi Apostoli e sempre messe in vendita come tanti dei capolavori pittorici finiti in modo illegale nelle aste internazionali di New York, Londra con false provenienze per non essere più trovate. Persino le palle di marmo africano sono state divelte dall’imponente camino della Sala dei Cesari e diventati arredo-trofeo su uno dei tavoli degli appartamenti privati della famiglia Odescalchi. Tutti gli elementi mercificati in arredo, usati a proprio uso e consumo. Un deturpamento gravissimo che continua e che le soprintendenze tendono a nascondere in autotutela non avendo vigilato sul territorio.

Da Bassano Romano sparite anche le statue di Venere su conchiglia, altra Venere tipo Anadiomene, Mercurio, Giove, altre due statue panneggiate femminili, ed ancora un Apollo, Minotauro, Augusto, pavone a rilievo, Unicorno. Anche la Rocca nel parco è stata privata di tutto fra cui le statue di Bacco, Venere, Pallade. Oltre la statuaria classica anche quella seicentesca nata a livello simbolico per tali architetture sono finite nelle dimore della famiglia Odescalchi. L’Imperatore loricato nel loggiato e la Dea Fortuna con cornucopia nel cortile troppo colossali per essere spostate sono state decapitate e le teste divenute oggetto di arredo. Anche i cani mastini sempre seicenteschi , collocati sul ponte levatoio a guardia del giardino pensile sono diventati arredi da giardino nel borgo di Palo. Ridotti a decorazioni fra i gerani i vasi scolpiti in peperino, le torri e aquile giustinianee strappate alle balauste e molte altre componenti artistiche tramite una visione autorefenziale e priva di cultura che le istituzioni devono bloccare. Non più presenti

anche le sfingi sdraiate, le statue dei cervi e due leoni, così come i dodici sgabelli, quattro vasi, di cui due scanalati. Fatte a pezzi e vendute le otto erme, la statua di Console, che erano parte integrante della scenografia del parco seicentesco con il quale sono stati concepiti nel 1604 quale insieme unitario.

Già in precedenza, dal Castello Odescalchi di Santa Marinella, rilevanti statue romane sono finite all’estero, fra cui: Dionisio e Pan, a Copenaghen; Melagro, in marmo pario, a Cambridge; una statua attribuita a Skopas, a Berlino; una testa di Athena Phartenos a Parigi. La celebre Athena Parthenos di Fidia del V secolo a.C. ed Apollo furono salvate con il sequestro e ubicate in sicurezza nel Museo Nazionale di Cvitavecchia.

Quasi nulla è stato recuperato, ad eccezione ad esempio del noto taccuino di disegni di Pietro da Cortona, sequestrato a Fiumicino dalla Guardia di Finanza, a seguito sempre di un tentativo di esportazione illecita. Il taccuino, era uno dei molti della regina Cristina di Svezia, comprato insieme a tutta la sua splendida collezione nel Seicento da Livio Odescalchi, dispersa e annientata dai discendenti.

Così uno dei più insigni monumenti dell’Alto Lazio, per rilevanza paragonabile a Caprarola, è stato barbaramente mutilato nella totalità dei suoi elementi, divenendo l’idioma dell’anticulturalità e vergogna italiana. E’ necessario quindi che le Istituzioni blocchino questo scempio, restituendo alla nazione tutto quello che è stato portato via da Palazzo Giustinani – Odescalchi.

L’occultamento delle raccolte Odescalchi, del palazzo di Bassano Romano, inficia la spesa pubblica con danneggiamento dei beni demaniali e dell’interesse pubblico della cultura del nostro Paese.

L’assenza di un prospetto conoscitivo completo delle raccolte Odescalchi, che impedisce la vigilanza sul territorio delle soprintendenze, continua ad essere motivo di traffico internazionale illecito di beni culturali senza lasciare traccia, determinando gravissime perdite nell’arte capitolina e italiana.

In Parlamento si stabilirà se la famiglia Odescalchi dovrà rendere ciò di cui si è appropriata illegalmente e se le opere dovranno tornare alla collettività e alla cultura del nostro Paese.

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