“Utilità e danno” della filosofia per la scuola

Pochi giorni prima che la comunità dei filosofi si dividesse sulla proposta del Ministro Bianchi circa l’introduzione della filosofia anche negli istituti tecnici un mio brillante studente del primo anno (Istituto Tecnico Industriale, settore tecnologico con indirizzo specifico in meccanica, meccatronica ed energia) scriveva sul suo quaderno queste parole: «[…] il sistema scolastico potrebbe inserire una materia come filosofia già dal primo anno scolastico? Oppure perché non inserire un’ora per pensare noi stessi, al nostro essere, o magari un’ora dove si confronta, dove si dialoga delle cose più essenziali nella vita?».

Inutile dire che quel foglio, a seguito di una mia bizzarra richiesta, lo studente l’ha strappato e ora lo conservo gelosamente come una reliquia nel mio studio. Questo foglio non è soltanto il risultato finale del compito che avevo assegnato, ma una conferma empirica della validità della proposta del Ministro che, per quanto possa valere, ho accolto con grande entusiasmo e profonda speranza. In quanto insegnante specializzato in attività di sostegno trascorro in classe più tempo rispetto a quello previsto per i docenti curriculari (ben diciotto ore settimanali). Dal punto di vista relazionale e antropologico questo tempo trascorso insieme è più che prezioso in quanto mi permette di entrare nelle dinamiche adolescenziali in modo più pregnante e consapevole e mi consente inoltre di intessere rapporti più significativi con gli studenti rispetto a quanto potrei fare con molto meno della metà delle ore. Osservo sempre con tanto stupore la maggiore disponibilità all’apprendimento e alla conoscenza manifestata dagli studenti quando la lezione, anziché degradarsi a mero trasferimento di informazioni, crea un ponte con la vita stessa (su questo punto i lettori di questa rivista leggeranno presto un mio contributo a partire da L’ora di lezione di Massimo Recalcati). È importante però evitare un grosso fraintendimento: l’introduzione dell’ora di filosofia non deve essere pensata come un mero inserimento estrinseco dell’ennesima materia nell’offerta formativa, ma come l’iniezione di una nuova potente linfa vitale nel piano di studi degli istituti tecnici e professionali in grado di innescare meccanismi di pensiero e di azione altrimenti irraggiungibili. Giusto per fare qualche esempio, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza: la consapevolezza circa l’interconnessione dei saperi, lo sviluppo e l’affinamento del pensiero critico, la cura per la formazione umana e personale, la capacità di porre domande di senso, la disponibilità all’ascolto dell’altro, la capacità di decentrarsi rispetto al proprio sistema valoriale di riferimento sono solo alcune delle possibilità che l’introduzione della filosofia potrebbe

dispiegare a tutti gli studenti, non solo della scuola secondaria di secondo grado. Vorrei precisare che la filosofia alla quale faccio riferimento io non è quella delle rigide dinamiche accademiche, alla quale è sottratta ogni vitalità e originalità. Per questo genere di (storia della) filosofia ha espresso parole durissime – ma giuste, ritengo – Schopenhauer in uno dei suoi agili e taglienti trattatelli (L’arte di insultare e anche su questo punto a breve mi pronuncerò con un altro intervento). Molto spesso non si ha una chiara idea di cosa sia la filosofia e sovente la si scambia per una certa forma di erudizione o per una sensibilità più raffinata, o semplicemente per una conoscenza dettagliata degli scritti dei cosiddetti classici della storia del pensiero. Niente di tutto questo, però, entra nella reale definizione di filosofia. Un meccanico, un ingegnere o un progettista non saranno più bravi se avranno letto le Enneadi di Plotino, la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino o il De rerum natura iuxta propria principia di Telesio. Il meccanico, l’ingegnere e il progettista saranno però decisamente più bravi se, anziché rimanere intrappolati nelle rispettive specializzazioni professionali, sapranno agire tenendo presente la contestualizzazione dei saperi particolari all’interno di una visione esistenzialmente più ampia, più umanamente significativa e più autenticamente riflessiva. Pertanto, non sarà il singolo docente di filosofia nella singola ora settimanale che salverà la scuola dalla deriva sfornando, per usare un gergo platonico, nuovi professionisti-filosofi. Allo stesso modo, per fare un’analogia, non è l’insegnante specializzato che da solo può condurre a termine la missione educativa dei soggetti con bisogni educativi speciali. L’inclusione, al pari della mentalità filosofica (si, perché la filosofia è una disposizione della mente, non un’altra disciplina) è – o dovrebbe essere – un patrimonio dell’intero corpo docente. Ogni insegnante, infatti, grazie a quella formazione continua auspicata e fortemente voluta dallo stesso Ministro Bianchi, dovrebbe preoccuparsi di costruire con gli studenti un tipo di comunicazione dialogica in grado di trascendere le misere dinamiche della lezione frontale, puntando perciò ad un’educazione che con forza vorrei definire paideutica. L’insegnante specializzato, come il futuro “docente di filosofia” non saranno altro che catalizzatori di un’azione che, per essere davvero efficace, dovrà coinvolgere tutti e ciascuno nel vasto universo scolastico. E poi, se qualcuno fosse ancora in dubbio circa l’utilità della filosofia in campi – apparentemente – ad essa estranei perché troppo astratta o troppo cervellotica, due esempi basteranno forse a convincere del contrario.

Si pensi a Gerd Achenbach e alla consulenza filosofica che ad oggi, più che una mera proposta teorica, è nei fatti una reale alternativa alla psicoterapia. Com’è possibile, vorrei domandare agli scettici, che la filosofia, “nell’astrattezza dei suoi ragionamenti”, sia in grado di porsi come alternativa efficace ai percorsi psicoterapeutici? Se è ne è capace, allora forse l’idea di filosofia alla quale troppo frettolosamente si pensa (cioè quella accademica, nel senso certo più negativo del termine) non è l’unica possibile. Un altro esempio, un po’ più antico, mostra invece una chiara consapevolezza dell’utilità della filosofia in campo politico. È ancora in dubbio se sia stato davvero Aristotele l’autore del trattato dal quale ho tratto la citazione che fra breve si leggerà, ma poco importa in questa sede. Ciò che importa è mostrare come spesso la filosofia, uscendo dai suoi stessi orizzonti, è in grado davvero di porsi come orientamento, guida e sollecitazione per ‘professioni’ apparentemente distanti da essa. Nel caso specifico l’autore del trattato si rivolge nientemeno che ad Alessandro Magno….:

«Conviene infatti, io credo, anche a te che sei il più nobile dei conduttori, perseguire la conoscenza delle cose più grandi, e in nessun modo avere un’idea riduttiva della filosofia, ma accogliere

generosamente coloro che eccellono mediante i doni della filosofia», Sul cosmo per Alessandro, I, 391 b 6 e sgg.

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