CHO- Chief Happiness Officer, il management della felicità sul posto di lavoro

È un’”americanata”!

No, non lo è!

Sul posto di lavoro si lavora, cosa c’entra la “felicità”?

C’entra, se si vogliono aumentare produttività, benessere organizzativo, clima aziendale positivo.

Queste, alcune delle possibili reazioni alla notizia che, a breve, nelle aziende e nelle istituzioni potrebbe farsi largo la figura del/della Chief Happiness Officer (CHO), il/la manager che dovrebbe occuparsi della felicità/positività dell’ambiente di lavoro.

Si sa che, in un ambiente di lavoro armonioso, rispettoso, empatico si lavora meglio, ma non sempre ritmi, scadenze, struttura gerarchica e desiderio di visibilità rendono possibile un ambiente improntato alla “felicità”. Anzi, spesso “felicità” appare difficilmente compatibile con “performance”, “meritocrazia”, “leadership”. Eppure, stare bene sul posto di lavoro è utile non solo per chi ci lavora, ma anche per chi dirige l’azienda, l’organizzazione, l’ufficio. Sicuramente, rende meno facile il burn out di chi si sente drenata/o di energia, prosciugata/o di rispetto e considerazione, spossessata di capacità decisionali, di intervento, di apprezzamento per il proprio contributo. Il CHO dovrebbe rendere l’ambiente di lavoro più “a misura umana”, empatico, rispettoso di relazioni collaborative, di responsabilità condivise, di una struttura meno gerarchica e verticistica.

Nei manuali di organizzazione aziendale, al momento, questa figura è ancora poco menzionata.

È vero, però, che da qualche decennio hanno fatto il proprio ingresso concetti più attenti al modo in cui si vive il posto di lavoro. La comunicazione interna nelle aziende/organizzazioni tende a dare più spazio alla formazione, alla motivazione, all’empowerment, ai sondaggi sul clima aziendale, ai bisogni delle persone (dalla palestra, ai nidi, dalle mense con prodotti bio e per celiaci, alla consulenza psicologica passando per i fringe benefit). Si parla più spesso di Welfare aziendale, di Diversity Management, di Comitato per la Pari Opportunità, di Volontariato aziendale, di interventi nel sociale con la CSR – Corporate Social Responsibility.

Ora, questa nuova figura, per lo più dislocata a Milano e a breve a Torino, fa il proprio ingresso sul posto di lavoro. Si affiancherà al management delle risorse umane o alla funzione di comunicazione interna e/o di organizzazione aziendale. Si tratta di figure specializzate presso l’Istituto delle organizzazioni positive. Già presenti in multinazionali estere come Google, Amazon, McDonalds e, in Italia, con testi scritti presso la Olivetti.

Il/la Manager della felicità potrà essere utile?

Tutto sta a vedere come verrà incorporata questa figura a livello organizzativo, quanto il suo ruolo verrà sostenuto dai vertici delle aziende, se il personale riconoscerà nella sua presenza un sostegno al proprio benessere o vedrà invece la sua funzione come una sorta di “accomodatore/ice” dei rapporti fra la parte datoriale e quella dei lavoratori e delle lavoratrici. Una sorta di figura per stemperare le potenziali conflittualità interne, per trasmettere un messaggio di riappacificazione e di collaborazione aperta, senza particolari pretese o rivendicazioni ora che, economicamente, ci troviamo bisognosi/e di una ripresa rapida e basata sul contributo di tutte/i. Lavoro prima, meglio se sereno e collaborativo, senza contrapposizioni fra colleghi/e, dirigenti/collaboratori, datori/ici e dipendenti, richieste dopo.

Potete leggere l’analisi che ne fa il giornalista Christian Benna su “Il Corriere della Sera” del 2 gennaio 2021 a questo link: https://torino.corriere.it/piemonte/20_dicembre_30/happy-days-azienda-basta-colleghi-serpenti-torino-arrivano-manager-felicita-abcb5384-4ac9-11eb-bb9d-71fd23fa6a98.shtml

L’autore ricorda come, nella Costituzione statunitense, fra i diritti inviolabili del cittadino/a vi siano quelli alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Molto comprensibile, molto adatto a una cultura nata dallo spirito delle e dei pionieri che arrivavano nella terra promessa e vedevano dischiudersi opportunità praticamente infinite per le loro esistenze. Più complessa vederla e collocarla nella “Vecchia Europa”: la domanda, come dire, sorge spontanea “Felicità con o felicità da…?”. Dopo quel “con” e quel “da” ognuno/a può inserire il termine che per primo gli/le viene in mente o quello che più lo/la ispira, che maggiormente appartiene al proprio vissuto.

Vedremo come evolverà questo esperimento. Se lo stesso/la stessa Chief Happiness Officer sarà poi contenta/o, o addirittura “felice”, del proprio ruolo, accoglienza, considerazione, insomma del successo del proprio ruolo.

 

 

 

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