Una Vita: Italo Svevo

A cavallo fra ‘800 e ‘900 si affaccia nel panorama italiano della letteratura uno scrittore e drammaturgo: Italo Svevo. Scrittore dalle grandi doti, Svevo è stato in grado di percepire un mutamento sociale latente che è l’emergere dell’inetto. Questa intuizione è stato filo conduttore di molti dei suoi testi, fra questi Una vita.

In origine “Un inetto”, il romanzo è il capostipite dei testi dell’autore che presentano un vero e proprio viaggio nella psiche di Svevo, in un’assidua ricerca partendo dalla propria coscienza, volta a dare senso al proprio indecifrabile destino.

L’influenza europea di artisti come Joyce e dotti come Freud sul panorama culturale del continente è così forte da dare quei presupposti che condizionano e caratterizzano la scrittura di Svevo: lunghi monologhi interiori e corposi flussi di coscienza.

Il decadimento dei valori nazionali, l’instabilità sociale ed economica, la tensione latente in costante crescita pronta a sfociare nei moti della Prima Guerra Mondiale. Questa è la cornice storica in cui Svevo pubblica Una vita nel 1892. L’idea dell’autore è analizzare e comprendere quale sia il destino di tutte quelle persone “sconfitte” dalla società in decadenza e che non trovano il loro destino.

La storia è ambientata per le vie di Trieste, il protagonista, Alfonso Nitti vi si è appena trasferito per lavorare presso una banca. Dipendente insoddisfatto, Alfonso cercherà presto di evadere dal lavoro ripetitivo e monotono tramite la letteratura. Comincia a prendere parte ai salotti letterari, in particolare nella casa del banchiere Maller, possessore della banca presso cui lavora. Fra quei salotti incontra la figlia del banchiere, Annetta, con cui intraprende una relazione amorosa.

La vita di Alfonso è al suo apice: ha un lavoro ben retribuito, si avvicina l’idea del matrimonio con Annetta, e con esso il riscatto sociale tanto atteso. Eppure, colto dalla paura, Alfonso cede all’impulso della fuga e fa ritorno al paese di origine dove trova la madre malata da accudire. La sua fuga si tramuta dunque in costrizione nel paese natale al servizio della madre. Tornato in fine a Trieste gli equilibri sociali saranno definitivamente mutati. Il lavoro abbandonato gli viene ridato con uno stipendio inferiore, la ragazza amata si è oramai fidanzata con un altro uomo. Il desiderio di rivalsa di Alfonso si sgretola nelle sue mani, e tanto più tenta di recuperarlo, tanto più affonda nella vergogna e nello scherno.

Il cocente insuccesso sarà così pesante da portare Alfonso a rifiutarne la stessa esistenza, rinnegandolo e considerando ogni fallimento un passo verso il suo riscatto. La sconfitta diviene per lui illusoria vittoria, finché giunto all’esasperazione dovrà accettare l’amara realtà: che è un inetto.

A renderlo tale sono l’incapacità di agire, il pessimismo irreversibile e la totale incapacità di confrontarsi con la vita. Tutti questi elementi vietano ad Alfonso di gustare i successi che comunque ha raggiunto.

Alfonso incarna l’ideale più intenso di uomo inappagato ed inappagabile. Un comportamento sociale nato ai primi del ‘900 che giungerà fino ad oggi, trovando dibattito, spazio ed attualità.

Con questa opera secolare Svevo ha delineato lo stato psicologico degli individui inseriti nella società moderna. Oltre ad una impressionante opera intellettuale si rivela un manoscritto di sofisticato linguaggio, tutt’oggi apprezzabile, accompagnandoci in un’avventura senza tempo.

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