IL SACCO DI ROMA, LA SPECULAZIONE NEI PALAZZI STORICI.

Palazzo Odescalchi, splendida costruzione barocca del XVII secolo, fu realizzato dai più grandi architetti seicenteschi: Gian Lorenzo Bernini, Nicola Salvi, Luigi Vanvitelli. La facciata infatti, parte originaria dell’edificio, fu ideata e costruita dal grande Maestro Gian Lorenzo Bernini vero e proprio modello per i prospetti dei Palazzi barocchi italiani ed europei.

Oggi Palazzo Odescalchi una delle espressioni più significative della città di Roma, patrimonio architettonico e artistico di valore inestimabile, rischia di essere svenduto e smembrato. Nello storico Palazzo a piazza Santi Apostoli 80 attualmente si possono fare veri affari: gli appartamenti berniniani sono in vendita a prezzi irrisori, appartamenti di 150 mq dai soffitti a volta con armadiature d’epoca in vendita a poco più di un milione di euro. L’int. 3 scala A al piano II infatti, con soffitti a cassettoni dipinti e dorati, 260 mq più terrazzo mq 180 con splendidi affacci sui giardini Colonna, si può acquistare per un milione e seicentomila euro. Insomma, con gli stessi soldi con cui a Roma si può comprare un appartamento in condominio in zona Eur-Tintoretto. A Palazzo Odescalchi si sono conclusi i lavori per essere riapprontati ciclicamente secondo le esigenze abitative o commerciali del momento. Così l’impianto distributivo berniniano, veniva dotato di comodi corridoi tagliando soffitti a cassettoni dipinti e dorati, cancellando gli emblemi primari: monti e stelle chigiane. Le mura portanti sventrate per creare più comodi passaggi così come quelli perimetrali aperti per accogliere vasche da bagno ed idromassaggi, tutti i solai ricostruiti con travi in ferro che hanno soppiantato le vecchie travi in legno senza alcuna verifica dei tecnici del Genio Civile, le fasce d’affreschi sotto i soffitti eliminati dai soppalchi e gli appartamenti frazionati moltiplicano le unità, cancellando l’identità spaziale originaria. Nuovi appartamenti più appetibili per il mercato da vendere, in un inedito programma che vede il Palazzo del Bernini, unico con Montecitorio, trasformato in condominio commerciale pronto a far cassa.

Gli appartamenti raccoglievano molte opere, tra cui la collezione Balbi, che annovera tra i tanti dipinti anche la “Conversione di Saulo” di Caravaggio, commissionata per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, l’opera privata più importante della Capitale, disperse per poter commerciare le unità abitative.

Ancora il Palazzo progettato da Gian Lorenzo Bernini con il cortile porticato dell’architetto Carlo Maderno con le 10 colossali statue romane, custodiva le famosissime raccolte acquistate dagli eredi di Cristina di Svezia, tra cui disegni di Michelangelo e 21 di Raffaello, disegni rilegati in 31 taccuini spariti nel nulla.

Certo che Livio Odescalchi (1652-1713) nipote di Papa Innocenzo XI, Duca di Bracciano, si starà rivoltando nella tomba a vedere il suo Palazzo e le sue collezioni, tesori architettonici, artistici, archeologici, smembrati, mercificati e dispersi. Beni culturali identitari nazionali, custoditi per 4 secoli dai discendenti e trasmessi responsabilmente, con lo stesso spirito con il quale li avevano ricevuti, alle generazioni successive fino ad oggi.

Altri casi “all’italiana” per le collezioni romane è stato quello di Palazzo Sacchetti, edificio rinascimentale di via Giulia progettato e costruito da Antonio da Sangallo nel 1542-1546, decorato nella Galleria con dipinti di Pietro da Cortona, i cui arredi sono finiti a Londra. 460 opere venivano disperse sul mercato internazionale il 17 gennaio 2018, tra queste nella sala omonima il Baldacchino.

Nel 2016 la Soprintendenza autorizza lo smantellamento di Palazzo Sacchetti in via Giulia progettato dal Sangallo nel 1542, affrescato da Salviati e la dispersione degli arredi e pertinenze a Londra in asta Sotheby’s  (Of Royal And Noble Descent Including Works Of Art From Palazzo Sacchetti, Rome, 19 January 2016). Cancellate le testimonianze dell’erudita cultura classica del cardinale Giulio e suo fratello Marcello che li commissionarono proprio per questi ambienti.  La biblioteca boiserie sdradicata e perfino il “baldacchino” simbolo identificativo di cultura secolare dei “Marchesi di Baldacchino” “4  al mondo:  Sacchetti, Patrizi, Theodoli, Serlupi) finito sul mercato inglese con la benedizione della Soprintendenza.

Sono stati approvati 11 anni fa dalla Soprintendenza di Stato stravolgimenti strutturali anche nello splendido Palazzo Pecci Blunt, palazzo che l’architetto Giacomo della Porta ristrutturò alla fine del 500. Si prevedono infatti, tra le altre assurdità, nella cappella gentilizia affrescata, un gabinetto ed i nuovi servizi igienici soppianteranno l’altare, ancora oggi centrato alla parete, fiancheggiato da due angeli-cariatidi: ecco dove spunterà una toilette sovrastata dai putti, nel vano decorato con affreschi barocchi. Il progetto contemplava una enorme parete nel salone Ruspoli con pitture murali, tagliando in due gli affreschi di Taddeo e Federico Zuccari per ricavare “master bedroom” e “corridor”, la trasformazione della loggia affrescata da Raffaellino da Reggio in “kitchen”, la Galleria dei Paesaggi divisa in “bathroom” e “dressing room” e lo smantellamento della scala di pietra per ampliare “bathroom” sul “cour yard”. I lavori per fortuna non sono mai effettivamente cominciati.

Oggi è la volta di Palazzo Salomoni Alberteschi e del suo piccolo cortile con finestroni ad arco che costituiscono raro esempio della corrente sintetista sangallesca nell’architettura rinascimentale cinquecentesca romana. Questi fino ad oggi davano luce alla scala e consentivano di vedere gli elementi caratterizzanti quali i portali in pietra, le volte a crociera capitelli e stemmi che vengono occultati dal progetto scellerato approvato dalla Soprintendenza Speciale di Roma.  Anche il lapideo romano nel cortile non ha migliore fortuna tra ascensore e condizionatori.

Continua il “Sacco di Roma” in barba ai decreti di tutela emessi a suo tempo dal Ministero dei Beni Culturali per tutelare i palazzi romani. Il 24 maggio 1955 il Palazzo Salomoni Alberteschi veniva dichiarato d’importante interesse culturale e sottoponeva a tutela le sue componenti architettoniche con apposito Decreto ministeriale n° 48534 del 24 maggio 1955 – trascritto a Roma il 12 dic. 1955 che oggi la Soprintendenza rinnega come già avvenuto per i palazzi Pecci e Sacchetti.

La legge 13 del 1989 sul superamento delle barriere architettoniche consente ai portatori di handicap la possibilità di installare in qualsiasi edificio condominiale un ascensore o altra apparecchiatura per disabili quali il servoscala e ogni altra struttura mobile facilmente removibile che ne faciliti i movimenti art. 2, comma 3, legge 13/1989. L’applicazione della legge incontra il limite normativo nel rispetto dell’edificio della sua identità storica architettonica e l’intervento non può recare pregiudizio al fabbricato né alterarne il decoro architettonico né l’operazione può rendere inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino ma a via dei Pettinari sta avvenendo proprio questo.

Il palazzo  nel ‘400 era appartenuto ai Paloni vecchia famiglia romana estinta con sepoltura in S. Maria in Publicolis  è passato nel ‘500 ai Salomoni Alberteschi, di origine longobarda, con senatori e conservatori in Campidoglio dal XII sec., estinti nel ‘700. Ad essi si deve l’impianto rinascimentale con doppio portale architravato con gli emblemi araldici, i nodi di Salomone e teste leonine, fregio con iscrizione D (omus) SALOMONIA ALBERTISCORUM cornicione a guscio con simboli araldici, finestre con cornici in travertino su marcapiano.

La collocazione dell’ascensore avrebbe dovuto, almeno, essere preceduto da un intervento di riordino delle preesistenze per renderlo meno invasivo. Rimangono invece, sull’unica parete che avrebbe consentito una maggiore aderenza gli enormi vecchi condizionatori aggettanti posizionati a suo tempo disordinatamente, e alcuni contatori, che hanno fatto perdere circa un metro dalla parete da dove inizia lo scavo nel piccolo cortile rinascimentale. La Soprintendenza ha preferito essere sbrigativa, autorizzando la collocazione centrale sorvolando sulla rimozione-spostamento degli elementi non consentendo l’aderenza dell’ascensore alla parete.

 

Alche la Soprintendenza Archeologica sembra non curante della tutela delle presenze archeologiche, eppure, l’articolo 11 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, D.lg 42/04 prevede particolare attenzione. all’art 11 “assoggetta alle disposizioni espressamente richiamate le seguenti lapidi e iscrizioni al punto a), in via prioritaria, ma in via dei Pettinari rimane teoria. L’epigrafe in pietra dovrebbe rivestire particolare importanza scientifica per la storia la conoscenza della società antica, dei suoi usi e costumi, della religione, dei rapporti tra i vari strati della popolazione, per la prosopografia, per la comprensione di determinati eventi anche sotto il profilo grafico che in questo caso è stata ignorata e subordinata ad un atto amministrativo.

L’ascensore invade tutto il cortile, lo spazio aperto che dovrebbe essere di uso di tutti i condomini non c’è più, buttate le piante, il verde che rendeva umano il palazzo. Un progetto predatorio che strumentalizza a proprio uso interpretativo la legge facendo lega sull’ignavia delle istituzioni preposte alla vigilanza del territorio.

L’Italia si afferma ancora una volta come il Paese dei furbetti, si afferma il detto “fatta la legge trovato l’inganno” atti astuti a danno di altri e della collettività la richiedente dell’ascensore invece “deambula” in giro senza accompagno. La soluzione per arrivare più comodamente nel suo appartamento poteva essere il montascale, servoscala, che consiste in un impianto per il sollevamento e il trasporto delle persone con difficoltà di movimento. Lo scopo del montascale è quello di permettere alla persona di superare una scala, un dislivello o una barriera architettonica. Certamente con l’ascensore l’appartamento al terzo piano acquisterà notevole più valore a danno degli altri comproprietari e della storicità del palazzo.  Una vera truffa sulla quale ci sarà battaglia in Tribunale e dove la Soprintendenza dovrà spiegare perché ha approvato un progetto che cancella la storia a danno del patrimonio culturale della Capitale.

Queste modalità della Soprintendenza cancellano l’identità architettonica, storica, culturale del palazzo, occultano gli archi quattrocenteschi sovrapposti della scala, l’iscrizione romana lapidea e rendono ancora più buie ed invivibili le stanze che affacciano sul cortile creando un grave danno ai proprietari contro il dettato normativo. I condomini stanno per presentare interrogazione a risposta scritta al Ministro Sangiuliano per tentare di tutelare la culturalità del PALAZZO.

Nel Palazzo ODESCALCHI – GIUSTINIANI A BASSANO ROMANO, il palazzo villa e rocca apparivano integre nei loro apparati decorativi in particolare la straordinaria statuaria romana restaurata da Bernini e Algardi, per la cui importanza nel 2003 lo Stato italiano decideva di acquisirlo con una spesa pubblica di circa 6 miliardi di lire più altri 3 milioni e mezzo di euro per i primi restauri. Però prima di essere consegnato il complesso monumentale, è stato spogliato di tutto dai proprietari Odescalchi e lo Stato ha acquisito un contenitore vuoto.

L’interrogazione parlamentare dell’on Marzia Ferraioli di Forza Italia n. 639 del 16.02.2022 chiedeva chiarimenti al ministro precedente sulla contraddizione, da una parte la statuaria Giustiniani passata ai Torlonia nell’800 viene oggi celebrata al Campidoglio, Villa Caffarelli, con grande enfasi nelle sale dedicate 6, 7, 8, 9 mentre la porzione Giustiniani passata nell’800 agli Odescalchi è stata dispersa fatta a pezzi e commercializzata brutalmente. La genesi dei due nuclei è legata alla illustre personalità del Marchese Vincenzo Giustiniani (1564-1637), protettore di Caravaggio, alla sua attività collezionistica e vocazione al mecenatismo che contribuì alla teoria delle arti figurative alla base della grande cultura italiana barocca calpestata dagli Odescalchi e fatta letteralmente a pezzi.

Due pesi e due misure: Il primo nucleo, 40 milioni per collocare a palazzo Rivaldi le statue, come aveva dichiarato il ministro Franceschini all’inaugurazione della mostra «I marmi Torlonia. Collezionare capolavori» ha dichiarato:”Lo Stato italiano è pronto a mettere a disposizione luoghi e risorse per creare a Roma il Museo Torlonia che siamo sicuri arricchirebbe sia l’Italia che Roma Capitale.

Mentre l’Italia si “arricchisce” di parte collezione Giustiniani passata ai Torlonia, l’altra parte passata agli Odescalchi fatta a pezzi ed esportata rimane nell’oblio, nascosta, forse in autotutela delle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare sul territorio.

Pertanto, l’interrogazione chiedeva al ministro come era possibile che gli Odescalchi avevano sdradicato tutte le statue romane e seicentesche per essere portate nelle residente private dei castelli di Bracciano, Palo e Santa Marinella, mentre altre sono state vendute clandestinamente all’estero come l’importantissimo “Mitra tauroctono”, il “Gladiatore che uccide un leone” finito al Getty Museum mutilato del leone, testa e braccia per non essere individuato. Riconosciuto casualmente dallo studioso tedesco Rainer Vollkommer, è stato sequestrato nel 1999 e riportato in Italia. La testa ruggente del leone, appartenente allo stesso gruppo è stata staccata e venduta sul mercato antiquario riconosciuta in occasione della mostra “Archaeology&ME”, le statue più colossali sono state decapitate e le teste più commerciali vendute. Altre statue portate clandestinamente nel palazzo Odescalchi romano di Piazza Santi Apostoli, e da qui vendute come molti dei capolavori pittorici finiti clandestinamente sui mercati internazionali nelle aste di New York, Londra con false provenienze per non essere individuati. Poco è stato recuperato come il celebre taccuino di disegni di Pietro da Cortona, sequestrato dalla guardia di finanza a fiumicino a seguito di un tentativo di esportazione clandestina. Il Taccuino era uno dei tanti appartenuto alla Regina Cristina di Svezia, ed acquistato con tutta la sua straordinaria collezione nel ‘600 da Livio Odescalchi, dispersa ed annientata dai discendenti.

L’occultamento delle raccolte Odescalchi, preclude la vigilanza sul territorio delle soprintendenze, continua ad essere il trampolino verso il traffico internazionale illecito di beni culturali senza lasciare alcuna traccia creando gravissime perdite al Paese e, nel caso del palazzo Odescalchi di Bassano, vanificando la spesa pubblica a danni ai beni demaniali e all’ interesse pubblico a danno della cultura dell’Italia.

Già in passato dal Castello Odescalchi di Santa Marinella importanti statue romane sono finite all’estero, tra le quali, Dionisio e Pan, a Copenaghen; Meleagro, in marmo pario, a Cambridge, una statua attribuita a Skopas a Berlino, una testa di Athena Parthenos a Parigi. La famosa Athena Parthenos di Fidia del V sec. a.C. ed Apollo, furono salvate con il sequestro e poste al sicuro nel Museo Nazionale di Civitavecchia.

La dispersione incontrollata e la dispersione delle collezioni nobiliari italiane crea un grave danno alla nostra nazione.

Le singole peculiarità ha condannato alla distribuzione e all’abbandono dei palazzi più fragili meno appetibili ed in cattive condizioni. L’incapacità della percezione del valore dei beni storici, architettonici frantuma e cancella l’identità culturale italiana che forse solo il sequestro preventivo potrebbe tutelare salvando dalla dispersione, garantendo l’unità delle grandi collezioni italiane e favorendone la fruizione. E probabilmente il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano dovrebbe intervenire per preservare i beni privati che rivestono interesse particolarmente importante perché riferiti alla storia dell’arte e alla cultura del nostro Paese.

E’ attualissimo il dibattito per cui l’Italia potrebbe, grazie alle sue bellezze, centrare la propria economia sul turismo grazie alla rivalutazione culturale. Ma purtroppo c’è da stare poco allegri sulla valorizzazione e tutela del nostro patrimonio artistico.

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