Quota 100? No, per le Donne quota 37!

Sono anni che si discute di pensioni. Lo strumento di previdenza obbligatorio, istituito nel 1919 e fortemente integrato con la riforma del 1939, costituzionalmente garantito (art.38), che consiste in una rendita vitalizia atta ad assicurare il rispetto di una vita dignitosa, anche se versano in una situazione di bisogno o di impossibilità a svolgere attività lavorativa, per raggiunti limiti anagrafici o condizione di salute non idonee.

Motivata dalla necessità di rivedere i conti pubblici, le pensioni sono state oggetto di tagli e revisioni dalla riforma Fornero, dal nome della ministra che modificò il funzionamento del sistema pensionistico italiano in termini di età pensionabile e di criterio di attribuzione (passaggio dal metodo di calcolo retributivo al contributivo, che tenesse conto dei contributi effettivamente versati). Ancora in dibattito la revisione delle pensioni d’oro, mentre nelle ultime settimane, in occasione dell’approvazione della legge di bilancio, al centro delle politiche economiche del governo sono state le correzioni da apportare al sistema in modo da consentire il pensionamento a chi abbia un mix di età anagrafica e contributiva pari a 100.

La c.d. ‘quota cento’ consente, quindi, ai nati negli anni dal 1953 al 1959 di andare in pensione con il requisito minimo di 38 anni di anzianità contributiva e 62 anni di età.

Il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) Tito Boeri, nell’audizione del 4 febbraio scorso, ha spiegato che i principali beneficiari della misura, saranno i lavoratori con lunghe carriere contributive che appartengono alle classi 1957, 1958 e 1959. Questi potranno andare in pensione “fino a 5 anni prima di quanto previsto dalle norme precedenti vedendosi solo in parte ridurre l’importo della pensione in virtù dell’allungamento del periodo di percezione della stessa” dove questo aggiustamento opera solo sulla quota contributiva della pensione, mediamente del 33%. Più di un quinto dei beneficiari, ha spiegato inoltre Boeri, è rappresentato da lavoratori dipendenti o autonomi di sesso maschile residenti nelle regioni del Nord. Con una particolare concentrazione tra i dipendenti pubblici, e una concentrazione dei beneficiari del settore privato a Nord. Tra le persone che beneficieranno di quota cento, ci saranno poche donne (il 37,4%) che raggiungeranno il minimo al Centro (9,2%), e poche persone residenti al sud e nelle isole (33,1%).

Politica, secondo me, dovrebbe conciliare tutte le esigenze della popolazione. Praticare, invece, manovre che già nelle proiezioni manifestano un vulnus sessista o, quanto meno, discriminatorio, significa non perseguire il bene della Nazione.

È vero che la pensione riguarda la parte di popolazione attiva, che ha maturato il diritto a godere di questa rendita, frutto di accantonamenti nella vita lavorativa, ma non si può pensare di escludere quella parte di persone che hanno dovuto frammentare il proprio percorso professionale, o, peggio, chi nel mondo del lavoro, regolare e tutelato, non riesce neppure ad entrare.

E col passare degli anni si ingrosserà la fila di contribuenti saltuari, a progetto, discontinui, minimi, etc…non è forse il caso di programmare preventivamente forme alternative di sostegno all’età matura, magari arricchendo l’offerta di strutture e forme di assistenza?

Sarà la mia giovane età, ma, francamente mi sento alquanto preoccupato….

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