“Navigare noluerat”: Tiridate Mago e la sacralità del mare

Nell’anno 66, un enorme corteggio accompagnò in Italia Tiridate, fratello del re di Partia Vologase I, perché ricevesse da Nerone l’investitura del regno d’Armenia. Infatti, dopo una guerra durata dieci anni e innumerevoli negoziati, era finalmente stata ristabilita la pace tra Corbulone, il generale romano che conquistò la capitale armena Artaxata per conto di Nerone, e i Parti, popolazione iranica storicamente avversa all’egemonia romana.

Di questo avvenimento raccontarono diversi storici, e soprattutto Tacito, il quale ne rimase colpito più di ogni altro; eppure sembrava un fatto minoritario della storia romana. Ancora oggi gli studiosi lo considerano un evento estremamente significativo per comprendere la cultura orientale del I secolo dopo Cristo: ma perché tanto interesse?

La risposta la si può rintracciare nell’opera “Naturalis Historia” (letteralmente “Storia naturale”) di Plinio il Vecchio, che nel trentesimo capitolo narra questa stessa vicenda, soffermandosi sul motivo per il quale Tiridate preferì spostarsi via terra nonostante l’itinerario marittimo gli avrebbe diminuito notevolmente i giorni di viaggio. Plinio scrive che colui che sarebbe diventato re d’Armenia “navigare noluerat”, ossia “si rifiutò di navigare” poiché, se lo avesse fatto, avrebbe violato e inquinato l’acqua del “Mare divino”: ciò lo avrebbe posto in contrasto con i princìpi della religione mazdeista. Questa stessa interpretazione dell’avvenimento che vide Tiridate protagonista viene confermata anche da Tacito, il quale narra di come il re d’Armenia, che era anche sacerdote, abbia escluso la possibilità di recarsi in Italia via mare per rispettare i vincoli del proprio credo. Il mazdeismo, infatti, fa del rispetto degli elementi il proprio tratto caratterizzante: come ben spiega Franz Cumont ne “L’iniziazione di Nerone da parte di Tiridate d’Armenia” traducendo Strabone, “i seguaci di questa religione “erano ossessionati dal timore di contaminare gli elementi: il fuoco col fiato del sacerdote sacrificante, la terra deponendovi i cadaveri, l’acqua infine, che consideravano sacra, fosse quella del mare o quella delle fonti, dei fiumi e dei laghi. Quando facevano delle offerte a questi ultimi, essi prendevano precauzioni minuziose perché nessuna miscela impura portasse nocumento alla loro santità”.

Tiridate si presenta pertanto quale fedele attento ai dogmi religiosi ancora prima che come re, offrendo un esempio di coerenza ai propri principi etici e morali che non sa esaurirsi col passare del tempo. Quando si pensa alle lezioni che le letterature classiche possono impartire ancora oggi, ma soprattutto quando si sostiene che la lontananza cronologica renda vano lo sforzo di fare propri gli insegnamenti che propongono, sarebbe opportuno ricordarsi di questa scelta compiuta quasi mille anni fa, e che ebbe un’enorme risonanza a causa dei motivi che la animarono: una scelta d’immortale rivoluzione.

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