Una mano sporca l’altra…

Una pratica che ho sempre osteggiato, sin da quando ho raggiunto un minimo vitale di razionalità, è la stretta di mano. Tale gesto, che normalmente si attua tra due persone che pervengono a una distanza abbastanza compromettente dal punto di vista sociale, trova non solo mille testimonianze nel corso della storia dei tempi ma anche mille motivazioni. L’interpretazione più attendibile risale alla forma di saluto che non solo sia dimostrazione di pace, impegnando un arto che storicamente serviva per colpire l’avversario, ma che anche rassicuri che non si celino armi nella manica corrispondente (tradizione risalente al periodo dell’antica Roma). Descritta, più o meno efficacemente, l’origine e l’azione fisica della stretta di mano, volendo ora indagare sull’aspetto semantico, troviamo tanti motivi per cui si è soliti ricorrere a un istituto prevalentemente medievale, allorquando, più allora che mai, le controversie di qualunque genere erano risolte con le armi e non con il dialogo.

Quindi, già da questa idea, la stretta di mano andrebbe concettualmente a sanare la mancanza di disponibilità al dialogo tra due persone, cosa che potrebbe essere giustificabile per i secoli passati ma non per il mondo attuale, caratterizzato, anzi, da una grande facilità di comunicazione. Mail, PEC, chat, social media, telefono fisso, cellulare, citofono ma anche una bella lettera (qualche decennio fa, ricordo, era emozionante ricevere i saluti scritti dietro delle cartoline fantastiche, che rappresentavano ogni città del mondo) sono modi per comunicare che suppliscono al dialogo in presenza che, ovviamente, resta il mio preferito, soprattutto con le persone simpatiche e interessanti.

Se questo era il mio parere prima dell’avvento del Covid 19, non oso indagare ora, nei meandri della mia contorta mente, che sensazione possa suscitare la stretta di mano… Mi sovvengono, a tal proposito, le Linee guida sull’igiene delle mani nell’assistenza sanitaria pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2007, non già negli ultimi virati (mi si passi il banale neologismo!) giorni, laddove recitavano: “Alla metà del 1800 gli studi di Ignaz Semmelweis, a Vienna, e di Oliver Wendell Holmes, a Boston, stabilirono che le infezioni contratte in ospedale, che ora sappiamo essere causate da agenti infettivi, venivano trasmesse attraverso le mani del personale sanitario”. Se già nel XIX secolo era riconosciuta la dannosità della barbara pratica in nome di virtù profilattiche, perché poi, con pervicace radicalizzazione, la stretta di mano si è conservata, e per giunta diffusa, con ancor più vigore? Perché vietarla solo oggi, sull’onda del pericoloso virus che minaccia brillantemente certe promiscuità sociali?

Basta la stretta di mano per concludere un affare”: spesso ho sentito questa frase, oggi poco in voga, profferita con commerciale sacralità dai miei nonni e dai miei genitori. Se così funzionasse ancora, ammesso che sia mai stata efficace tale prassi, forse non avremmo bisogno né dei manuali di diritto commerciale e neppure dei tribunali corrispondenti, risolvendo ogni bega con una semplice stretta di mano, istituto sostitutivo di arringhe, sentenze e carte bollate… Invece il mondo non ha potuto fare a meno di tali complicazioni e, rinunciando all’ufficialità notarile della stretta di mano, ha dovuto costruire una realtà giuridica molto complessa e onerosa.

Infine, ma qui siamo nella soggettività pura, perché dovrei dare la mano a una persona che magari non ha lavato la propria dopo essere andato in bagno o dopo aver eseguito accurate perlustrazioni in dedali umani? E se, tale preoccupazione, fosse anche della persona che mi incontrasse?

Ci sarà pure un motivo se i giapponesi, uno tra i popoli più longevi al mondo, usano salutarsi con un inchino o con un cenno del capo anziché dandosi la mano! Non a caso un famoso detto giapponese recita proprio così: “Una mano lava l’altra e tutt’e due insieme lavano il riso!”.

P.s. Quanto alla pacificità del gesto, il mio amico Maurizio, profondo conoscitore della storia romana, mi ricorda che già nel Medioevo c’era un’abitudine che in qualche modo superava la reciproca stretta di mano. Infatti si era soliti invitare a bere una persona al primo incontro e, urtando i bicchieri in modo che fuoriuscissero e si mescolassero alcune gocce del vino contenuto in essi, si rassicuravano reciprocamente i bevitori circa l’assenza di veleno all’interno. E per tornare ai giapponesi, tale pratica è fortemente sconsigliata in loro presenza soprattutto se associata al pronunciamento della tradizionale frase “cin-cin”…

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