L’efficacia della conoscenza nella crescita personale

Parafrasando una celeberrima espressione aristotelica direi che la conoscenza si dice in tanti modi. Le forme che essa può assumere determinano una maggiore o minore incidenza nell’esistenza dell’uomo. Questa tesi, apparentemente banale, offre in realtà l’occasione per riflettere criticamente sulla natura della conoscenza e sulla sua importanza che, lungi dall’essere assoluta (vale a dire indipendente dalle forme concrete nelle quali si declina) dipende invece da una serie di fattori che ne determinano la natura. Vi sono forme che si potrebbero definire di conoscenza operativa, finalizzate ad un saper fare. Questa tipologia di conoscenza, se coltivata isolatamente senza aperture ulteriori, diventa sì efficace sotto il profilo procedurale, ma rischia da indisporsi verso riflessioni finalizzate alla ricerca di sensi e significati più ampi rispetto a quelli vigenti nel ristretto settore dove proceduralmente si realizza. È questo il pericolo concreto che corrono le diverse specializzazioni eccessivamente settoriali, spesso improduttivamente isolate le une rispetto alle altre. In questo caso siamo di fronte un’efficacia assai limitata della conoscenza per fini antropologicamente più fondamentali.

D’altra parte anche le aperture eccessivamente ampie della conoscenza corrono il rischio di trasformarsi in un vacuo peregrinare dell’intelletto, privato così di coordinate stabili e riferimenti precisi. In questi casi la conoscenza assume la forma dell’erudizione, vale a dire di un sapere vasto e di mole elefantiaca, e perciò pericolosamente improduttivo e statico. Sui limiti dell’erudizione ha scritto riflessioni taglienti e assai critiche Schopenhauer. Il grande filosofo paragona l’erudizione alla parrucca, poiché essa è un ornamento del capo costituita da una gran massa di cappelli altrui. Anche l’erudizione, infatti, altro non è che l’insieme delle conoscenze prodotte da altri e immagazzinate mnemonicamente dall’erudito: «l’erudizione consiste nel provvedere il capo d’una gran massa di pensieri altrui che, per la verità, non lo coprono in modo sufficiente e naturale, né sono adatti a tutti i casi gli scopi, né hanno radici abbastanza salde». Ancora Schopenhauer paragona la conoscenza autentica alla salita su di una scala. In effetti, quando saliamo una scala poggiamo i piedi sui pioli, essendo questi soltanto un punto d’appoggio, ma mai sogneremmo di portare con noi gli stessi pioli che, nella salita, non farebbero altro che appesantirci. Ecco, l’erudizione è tanto disfunzionale quanto lo sarebbe il portare i pioli nel nostro zaino durante una lunga salita, anziché utilizzarli soltanto come punti d’appoggio provvisori. Anche per l’erudizione, pertanto, è impossibile parlare di un’efficacia davvero produttiva e incisiva nel percorso di crescita personale.

La conoscenza acquisita per fini particolari, senza ulteriori sollecitazioni, solitamente non si apre mai a dimensioni realmente universali ed esistenzialmente significative. È questo, purtroppo, ciò che avviene quando lo studio e la conoscenza si strutturano come momenti propedeutici al conseguimento di fini specifici, come il superamento di una prova di concorso, la riuscita in un’interrogazione scolastica, il buon esito di un esame universitario, il conseguimento di un titolo specifico, ecc. In questi scenari la conoscenza si degrada ad insieme di nozioni funzionali in vista di uno scopo scolastico-professionale. In questo caso la conoscenza funzionale può trasformarsi in conoscenza esistenzialmente significativa se lo scopo da raggiungere (interrogazione, compito, prova di concorso) viene inquadrato in un orizzonte che trascende il piano dell’utilità e si attesta sul piano del senso. Per passare dal piano dell’utilità a quello del senso la domanda fondamentale non dovrà essere più “a cosa mi serve?” ma “che significato può avere nell’economia totale della mia vita?”

Un’altra forma di conoscenza è quella che sviluppiamo per esperienza. L’esperienza è un aspetto fondamentale ed imprescindibile della crescita personale ma essa da sola non ha la forza per potersi imporre come reale occasione di maturazione interiore. I fatti che costituiscono la trama profonda dell’esperienza umana, infatti, portano a maturazione il soggetto soltanto quando da mera collezione di vissuti diventano un magma vivo di riflessioni e meditazioni. L’esperienza, cioè, è una materia inerte che da sola non è affatto sufficiente a consentire quelle trasformazioni esistenziali, psicologiche e caratteriali che determinano la maturazione reale e profonda della persona. Affinché ciò accada è necessario interrogare l’esperienza, renderla capace di trasmettere al soggetto che ne è protagonista messaggi e significati che trascendono l’esperienza stessa e che perciò siano in grado di ammaestrarlo per tutto il prosieguo del cammino di vita.

La conoscenza diventa dunque efficace per un’autentica maturazione dell’esistenza della persona soltanto quando non è troppo settoriale al punto da conchiudersi in uno spazio isolato dalle infinite diramazioni della realtà e quando non diventa troppo estesa al punto da perdere gli agganci con l’esperienza concreta. Diventa efficace quando non rimane prigioniera della collezione dei nudi fatti e quando non si perde nell’astrattezza di riflessioni distanti infinitamente dall’orizzonte esistenziale umano. La conoscenza di cui parlo origina nella vita della persona e, mediante lo studio, trova intellezione e comprensione nei concetti che, per quanto astratti, esibiscono (e devono esibire) sempre un’evidente collegamento con la vita stessa. La conoscenza autentica parte dalla vita e ritorna – consapevolmente – alla vita, creando un circolo virtuoso ed ermeneutico significativo, trasformativo e arricchente.

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