LA STRAGE DEGLI INN0CENTI

Uno dei grandi pittori napoletani fu Vincenzo Caprile (1856-1936), allievo all’Accademia di Belle di Napoli e dei maggiori maestri dell’epoca. Magnifici e dolcissimi i suoi volti di giovani ragazze del popolo, le scene di genere, anche i suoi numerosi soggetti con personaggi ciociari: la sua epoca, dopo l’avvenuta unificazione del Paese, si realizzò e si manifestò sotto la specie della fame, della miseria, del sopruso, di una calamitosa speculazione edilizia, enormi ingiustizie sociali, privilegi di pochi, una emigrazione gigantesca al di là degli oceani, senza contare perfino il colera. E Caprile visse questa epoca dappresso e ne ritrasse quello che di buono ancora era possibile godere: il mare, la natura, il paesaggio, la campagna, i personaggi del commercio minuto e della campagna…ma con un occhio anche alla società. Un suo quadro è intitolato “Il commercio degli stracci”: una scena tipica: una serie di cinque/sei donne sedute in fila l’una affianco all’altra e davanti ad ognuna per terra un mucchietto di ‘abiti’ in vendita. Ma il suo quadro più terribile e più commovente (pur se non per tutti) è da lui stesso intitolato ‘La strage degli innocenti’: non si riferisce all’episodio narrato dagli Evangelisti. Ci troviamo davanti alla ‘Piazza Mercato’ di Napoli qualche giorno prima della Pasqua e distesi per terra, nelle posizioni più inimmaginabili legati e imprigionati e sofferenti sono un gran numero di… agnelli e capretti: tutti, immaginiamo, belano per la sofferenza, per la sete, per la fame, per il terrore…in primo piano una quantità, stesi per terra, uno affianco all’altro, già sgozzati, pronti per il sacrificio! Un prete ben nutrito guarda… Nel quadro i vari proprietari, indifferenti, in attesa del compratore, che non mancherà.

E si torna sempre alla origine: con quale coraggio si può ammazzare e poi divorare, un agnellino, un vitelluccio, una gallina, un maiale, queste creature che al solo vederle suscitano, è vero, non in tutti, tenerezza e commozione e ammirazione: grazie al Creato e gratitudine. Come si può così normalmente ritenere che gli ammazzamenti debbano ancora oggi essere considerati atteggiamenti normali dell’essere umano bipede che in tutta la sua storia non ha fatto altro e solamente che ammazzare e devastare e opprimere. Che nella televisione si debba regolarmente e normalmente decantare il galletto e il prosciutto e la carne italiana, il salame e il tonno, equivale a educare alla normalità, quasi alla ‘banalità, dell’ammazzamento dei poveri innocui indifesi animali, per farne bistecche e polpette. Per non parlare del plauso alla caccia e ai cacciatori nei loro ridicoli paludamenti e alle altre forme di predazione, per divertirsi, uccidendo, cancellando quasi ogni traccia di volatili e non solo, come i turpi bracconieri. In realtà significa pervertire e guastare e perciò, nei fatti, perpetuare ferocia e spietatezza e insensibilità. Imperdonabile a dir poco che messaggera di tali notizie sia soprattutto la televisione di Stato. Ma di siffatta a dir poco letale imprevidenza hanno già detto con parole cocenti scrittori quali Moravia, Pasolini, Siciliano, Sciascia e non solo, tenendo a mente anche la scuola, che pure nulla trasmette.

Si direbbe che l’essere umano per saziare la sua ferocia e crudeltà innate, quando non à riversarle sui propri simili, si rivolge ai poveri e innocui animali. Ma si guardi un gatto, una scimmia, un cane, un’oca. Chi mai è in grado di dare all’uomo bipede tanto amore e tanto affetto autentici, con disinteresse, fino alla morte, come un cane, senza nulla pretendere e chiedere se non un tozzo di pane e un po’ d’acqua? Chi dà all’uomo tanto affetto e tanta continua disponibilità senza mai negare o indugiare, come un cane? Eppure è l’essere che più risente della ferocia e della crudeltà proprio dal maggiormente beneficato, dal bipede: quale nemesi, sicuramente per troppo amore offerto, indegnamente, all’uomo o a certi uomini.

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