La carezza del bisturi

Raggiungo il Prof. Massimo Martelli nella sua residenza romana, un appartamento arredato con molto gusto, pareti bianche e squadrate che esaltano i pochi ma efficaci quadri e i soprammobili collocati con apparente ma studiata casualità. L’algido ambiente minimalista non sopravvive molto all’istintiva passionalità del Professore che, dopo due o tre epiteti di rito (di cui fra poco spiegherò la ragione), mi fa sprofondare su un divano più comodo di una poltrona di freudiana memoria. L’ho conosciuto nel 2010, anzi, mi ha conosciuto lui, facendo la cosa che gli riesce meglio da tanti anni: salvare la vita alle persone ammalate di tumore al polmone. Nella sua quarantennale carriera al Forlanini, glorioso ospedale romano chiuso ingloriosamente nel 2015 e attualmente luogo di spaccio, di prostituzione, rifugio di senzatetto ma anche luogo di malcelate feste trendy e sagre paesane, ha operato nel suo reparto di Chirurgia Toracica circa 36.000 polmoni, 36.000 ammalati, 36.000 famiglie, una società infinita nello spazio e nel tempo…

Sa bene che sono lì per un’intervista ma non mi dà il tempo di porgli domande. È un fiume in piena, difficile da arginare con i mille quesiti che mi ero preparato. Improvvisamente attiva lo schermo di un televisore per mostrarmi un video, girato dal suo amico regista Sergio Rubini, su un’operazione tenuta anni fa, apparentemente stramba ai più. Un artista fece operare chirurgicamente dal Professore un suo quadro perché ritenuto “malato”, anziché il suo polmone affetto da tumore. Il quadro si salvò e continuò a vivere, non anche l’incosciente artista… La morale, sottintende, è che anche l’arte può poco senza la salute…

Neppure i numerosi messaggi che riceve sui social riescono a frenarlo, a concedergli una pausa nella quale io possa inserirmi. La sua occupazione e preoccupazione principale è il tentativo di riaprire l’Ospedale Forlanini, il suo Forlanini. Un tavolo enorme del tinello è completamente ricoperto di carte che riguardano la struttura che, inaugurata nel 1934 da Mussolini come sanatorio e destinato anche alla ricerca scientifica per combattere la tubercolosi, chiusa conserva la sua viva anima proprio nel Professore. Foto d’epoca, opuscoli propagandistici del Regime, articoli di giornale ma, soprattutto, il suo progetto di ristrutturazione dell’intero complesso, presentato alla Regione Lazio nel 2010. Un progetto completo e affascinante, sotto tanti punti di vista: dai finanziamenti, ottenuti da prestiti bancari e da sponsorizzazioni private, alle entrate correnti, mantenute alte da affitti di locali commerciali e dalle tariffe dei parcheggi, dalle strutture sanitarie, particolareggiate nei minimi dettagli (sale operatorie, ambulatori, terapie intensive, reparti per analisi di ogni tipo, padiglioni per le degenze, residenze sanitarie, aule per la docenza), allo svago, assicurato da un teatro preesistente, dalla sicurezza, con una palazzina destinata ai Carabinieri, alla ricerca scientifica, garantita da spazi dedicati.

Un progetto avente una portata sanitaria talmente grande da interessare istituzioni oltre confine nazionale, come era già avvenuto in passato con il coinvolgimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tanti posti letto e di terapia intensiva, moderne sale chirurgiche, medici specializzati in chirurgia toracica, infermieri professionali, ambulatori, day hospital, laboratori per analisi, macchinari di alta diagnostica… tutto per la cura della seconda malattia per numero di decessi in Italia (il tumore del polmone). Perché rinunciare a tale opportunità per la salute pubblica?

Un progetto di recupero di un complesso immobiliare avente un valore incommensurabile, con i suoi edifici, giardini, decorazioni, opere d’arte, teatro, lago sottostante, solarium. Il Razionalismo trova l’apoteosi combinandosi con il Funzionalismo più efficiente. Perché lasciar rovinare tale patrimonio storico e artistico?

Un quartiere, il Portuense, come tanti altri, segnato dal diffuso degrado urbano, immondizia mal raccolta, muri imbrattati, strade dal manto stradale incerto, segnaletica trascurata, giardini incolti, piano regolatore non rispettato se esistente. La ristrutturazione del Forlanini riqualificherebbe l’intera zona, avviando un volano di civiltà urbanistica e soprattutto accendendo il motore dell’economia. Perché respingere tale possibilità, per giunta a costo zero per il cittadino secondo il progetto del Professore?

Fumo, tutto andato in fumo, lo stesso fumo che accompagna la sigaretta tenuta nervosamente dal Professore (sa bene che non è una buona cosa fumare e noto, con piacere, che la aspira una sola volta prima che si spenga anche l’ultima residua fiammella…). Intervengo, approfittando di un suo attimo di silenziosa tristezza, chiedendogli il perché dell’insuccesso del suo progetto. La sua risposta, corredata di fotocopie di delibere regionali, messaggi di illustri mittenti, articoli dei più prestigiosi quotidiani, mi spiazza: tutte le parti politiche hanno volutamente ignorato il suo progetto! Non è possibile, penso, un progetto di pubblica utilità e a costo zero non può non trovare il favore di un politico che si dichiari vicino ai cittadini, a qualunque livello, comunale, regionale, nazionale. Mi ripete, facendo questa volta i nomi, tutti i “no” che ha avuto dalla politica, di qualunque partito. Qualunque partito, sottolinea. E mi cita anche i no dei politici che lo ritengono un amico, dei quali magari ha salvato un parente se non lui stesso da un tumore invasivo e distruttivo. Aggiunge anche, anticipando il mio sospetto, che una condivisione del progetto non dovrebbe venire da un atto di amicizia o di gratitudine ma da un’attenta analisi costi/benefici. A tal proposito, però, rilevo che la cosa più sconvolgente è che i “no” gli siano pervenuti informalmente, a voce, al telefono, da frasi riportate da “amici degli amici”, e non ufficialmente da delibere, da dichiarazioni ufficiali, da prese di posizione politiche. Sostituendo la colorita espressione del Professore con un efficace modo di dire, questi politici non hanno avuto certo… un cuor di leone! Il linguaggio spregiudicato del Professore, mi sovviene, è un modo per eliminare la distanza con il paziente, per fargli capire che stanno combattendo nella stessa trincea e contro lo stesso nemico, e ogni sua contumelia è un atto d’amore, un abbraccio, un tenero bacio sulla fronte di un padre apprensivo. E sì, “padre”, perché per il Professore noi operati siamo diventati tutti figli, dopo il suo provvidenziale intervento. Torna ineluttabile la domanda del perché del fallimento politico del suo progetto…

Il Professore mi fa sedere nel tinello, dove c’è il famoso tavolo ricoperto di documenti sul Forlanini. Comincia a prendere fogli, apparentemente a caso, per mostrarmeli e entrare nei dettagli economici del suo progetto. Il workflow scorre elegantemente di una logica ferrea, fatta di ipotesi e di risposte, di bisogni e di soddisfazioni degli stessi, di sogni e di rispettive realizzazioni pratiche. Non basterebbe mettere la testa sotto la sabbia per disconoscere la validità dei suoi ragionamenti, il suo urlo di dolore e di rabbia perforerebbe anche la mente più occlusa e ottenebrata dalla pervicace e alimentata nel tempo ignoranza. Perché? Perché? Perché?

L’ultimo aspetto che mi rivela, prima di congedarmi, è che il suo progetto prevede meccanismi di realizzazione e manutenzione perfettamente automatici e privi di possibilità di alternative irregolari, oltre all’eliminazione della farraginosa burocrazia. Gli appalti esterni con relative gare sono ridotti al minimo perché ogni servizio viene internalizzato alla struttura ed è gestito nella più assoluta trasparenza e pubblicità nelle entrate e nelle uscite. Amen.

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