EPIFANIE DELL’INVERNO

M.L. Engelhardt, The Grand Rapid (31), 2014-2015

L’abbassamento delle temperature non è accolto sempre con piacere da tutti, ma anche la rigida stagione invernale ha il suo fascino. Quando la neve avvolge, col suo vellutato manto bianco, le cime più elevate e i campi coltivati, i tetti e le strade, una insolita sensazione di pace genera l’illusione che il tempo si sia fermato e che lo spazio circostante abbia assunto l’aspetto, straordinariamente suggestivo, della nostra interiorità. Ne sono la testimonianza i percorsi creativi di alcune artiste del Nord Europa, che, dall’atmosfera incantata dei loro freddi Paesi traggono una inesauribile ispirazione: le danesi Maja Lisa Engelhardt (1956) e Nina Sten-Knudsen (1957), la norvegese Nina Enger (1961) e la russa Nadezhda Stupina (1967).

N. Sten Knudsen, The Flood, 2017
N. Stupina, Road along the Fjord, 2017

Maja Lisa Engelhardt è nata, nel 1956, a Frederiksberg, una città della Danimarca situata a pochi chilometri da Copenhagen, e si è diplomata, nel 1980, presso la “Funen Art Academy” di Odense. Nel 1981, assieme al marito, il pittore Peter Brandes, si è trasferita, a Colombes, nell’Îde France, dove ancora oggi vive e lavora. Dalla sua prima esposizione alla Nikolaj Gallery di Copenhagen, nel 1985, ha riscosso un crescente successo, con numerose rassegne personali e collettive, in Danimarca, Francia e, a partire dalla metà degli anni ’90, negli Stati Uniti. Nel suo Paese, ha contribuito alla decorazione delle sedi della grande azienda Københavns Telefon Aktieselskab, della Danmarks Radio (la radiotelevisione di Stato danese), dell’Università di Copenhagen e della Corte Suprema di Danimarca e, negli ultimi anni, ha realizzato opere destinate ad importanti chiese, tra cui la monumentale porta di bronzo della cattedrale di Viborg (2012). Nel suo delicato linguaggio espressionista astratto, la Engelhardt rievoca in ogni dipinto la luce, i colori e l’energia della sua terra d’origine, trasfigurandola in un paesaggio epifanico, che, attraverso i luoghi più significativi della propria storia personale, conduce verso una terra ideale, universalmente condivisa.

Legata all’Espressionismo Astratto è anche l’esperienza della conterranea Nina Sten-Knudsen. Nata, nel 1957, a Gentofte, ha studiato alla “Royal Danish Academy of Fine Arts”, sotto la guida di grandi maestri danesi, quali Robert Jacobsen, Sven Dalsgaard e Hein Heinsen (1977-’82), la Sten-Knudsen ha debuttato, nel 1982, partecipando alla collettiva, tenutasi al Tranegården di Gentofte,Kniven på hovedet” (“Coltello sulla testa”), ispirata dalla nuova tendenza pittorica neo-espressionista, che si stava diffondendo, in quegli stessi anni, soprattutto in Germania, con i neue Wilden (“nuovi selvaggi”), e in Italia, con la Transavanguardia. Nei suoi dipinti coesistono, fondendosi armonicamente fra loro, spunti di varia provenienza: dalla preistoria alla mitologia nordica, dalla cultura primitiva degli indiani del Nord America alla realtà contemporanea. I suoi primi paesaggi, risalenti agli anni ’80, sono popolati da animali dalla forte valenza simbolica (lupi, aquile, cavalli e cervi) e attestano il carattere istintivo e figurativo della pittura “selvaggia”. Dal decennio successivo, l’artista si è orientata verso vedute panoramiche e urbane sempre più astratte e monocromatiche, in cui l’emozione è mediata e persino modellata dalla riflessione, per arrivare, in tempi più recenti, a realizzare cicli di opere dal sorprendente lirismo trascendentale, incentrate su complesse tematiche esistenziali, quali l’origine del male, il rapporto tra passato e presente, i successi e i limiti del mondo moderno e il ruolo della pittura nella società contemporanea. Punto fermo, in quasi quarant’anni di carriera, è il potentissimo legame empatico con la sua Danimarca, che ricambia il suo affetto, come dimostrano la stima e il successo di cui la Sten-Knudsen gode nel proprio Paese e la medaglia Eckersberg per la pittura, conferitale dalla “Royal Danish Academy of Fine Arts”, nel 2000.

Non meno interessante è il lavoro di Nina Enger. Nata, nel 1961, a Drammen, ha lavorato per molti anni come ingegnere chimico in tutta Europa e, dal 2003, ha incominciato ad occuparsi sempre più esclusivamente delle proprie passioni, la poesia e la pittura, che ha studiato da autodidatta e continua ad approfondire nella sua casa, a Oslo, nei pressi di una foresta. Dalla natura, ribelle e impetuosa, che la circonda si lascia condurre attraverso i sentieri più nascosti e impervi della propria coscienza fino al centro di se stessa, per riemergerne rinnovata e pronta all’atto creativo. Afferma lei stessa: «La pittura mi aiuta a dire l’indicibile. È un tentativo di dare vita a rappresentazioni visive del potere necessario per rimuovere le barriere. Sono spinta ad esprimere ciò che mi è stato rivelato durante intensi momenti di trasformazione». L’arte è dunque, per la Enger, libertà, ottenuta mediante il movimento e il cambiamento, e questo è evidente nei più recenti dipinti astratti di atmosfere cupe e drammatiche, che enfatizzano «la natura selvaggia e imprevedibile della vita» e in cui paiono talvolta fondersi i due diversissimi linguaggi del romantico inglese William Turner e dell’espressionista danese Emil Nolde, non meno che nelle opere più figurative e direttamente legate ai paesaggi da lei ammirati e amati. I suoi lavori sono stati esposti, finora, prevalentemente in Norvegia, Lussemburgo, Francia e Italia (alcune sue opere sono attualmente esposte presso la Galleria M.A.D.S. di Milano in occasione della collettiva Kromatic@rt).

Più fedeli al loro aspetto reale, ma non per questo meno immaginifici, sono i luoghi esplorati e ricreati dal pennello della russa Nadezhda Stupina. Attiva dal 2010 a Olso, è nata, nel 1967, ad Orel (Russia), dove ha frequentato l’Istituto d’arte. Laureatasi, nel 1993, presso la “Texstile Academy” di Mosca in pittura applicata, ha lavorato nel campo del design, per dedicarsi, a partire dal 2005, interamente alla pittura. In questi ultimi quindici anni, si è fatta conoscere e apprezzare, esponendo in occasione di numerose rassegne personali e collettive, allestite in Russia e nel Nord Europa. Anche il suo lavoro reca le tracce indelebili del contesto storico-culturale e artistico post-moderno e risente in particolare del Neo-Espressionismo euro-statunitense, facendo della rifusione di stili, tecniche e motivi provenienti da ogni tempo e luogo una vera e propria poetica. È così, che i suoi paesaggi, naturali e urbani, in prevalenza nordici e freddi, come il fiordo di Oslo, il porto di Copenhagen, la città di Riga (persino i canali della nostra laguna veneziana, nei suoi lavori, somigliano a quelli di Stoccolma o di Amsterdam!), accogliendo e amalgamando quelli vissuti e restituiti, in tempi e modi differenti, da Edvard Munch, Maurice de Vlaminck, Egon Schiele,Vassilij Kandinskij e molti altri grandi pittori del passato e del presente, vibrano fino a prender fuoco.

Il ghiaccio può dunque offrire uno specchio per guardare dentro noi stessi e una lente di ingrandimento per cogliere tutti quei frammenti di eternità che la fuga delle contingenze rende invisibili, invivibili.

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