Donne e Pandemia: 3 domande a Luciana d’Ambrosio Marri

Luciana d’Ambrosio Marri, sociologa, specializzata in psicologia del lavoro, esperta di formazione, è da più di trent’anni consulente di management nell’area HR. Nel mondo delle imprese private, della P.A. e delle istituzioni si occupa di selezione, formazione manageriale, coaching, sviluppo, benessere organizzativo e Diversity & Inclusion Management. Si occupa, inoltre di leadership femminile, empowerment e valorizzazione delle competenze delle donne. Docente anche in Master universitari e in Scuole di Management, è autrice di volumi e articoli. Intervistata da riviste, radio e tv, interviene in convegni su temi professionali, di scenario e attualità. È sposata e ha un figlio. www.lucianadambrosiomarri.it

Luciana, la tua esperienza consolidata come sociologa del lavoro e consulente aziendale in area HR ti rende osservatorio privilegiato dei cambiamenti.

La pandemia ha imposto una accelerazione nell’uso della tecnologia, ha modificato i consueti processi operativi e le relazioni di lavoro.

 A 2 anni da questa rivoluzione che bilanci fare sullo smart working?

“Se prima della pandemia erano 500.000 circa le persone che lavoravano in smart working, all’improvviso per colpa del pipistrello cinese sono diventate 6 milioni e mezzo. Superata la fase della potenza dell’imprevisto pericolo, pure sconosciuto, in un clima di forzato isolamento e atmosfera di morte e malattia, ora il fenomeno smart working – anche se l’espressione sarebbe lavorare a distanza – viene visto e vissuto tenendo conto dei vantaggi e dei rischi che sono stati sperimentati. Molti oggi, soprattutto i Millennials preferiscono una forma di lavoro ibrido, alternando periodi di lavoro in presenza e periodi di lavoro a distanza, magari in spazi di co-working; si osserva il fenomeno dei southworkers, giovani, professionisti o manager che tornati al sud per lavorare a distanza con imprese del nord, ora -post pandemia- rimangono al Sud, sempre lavorando per imprese del centro-nord, rivitalizzando così territori, economie locali, apportando innovazione. Poi molte donne non vedevano l’ora di tornare in ufficio e riprendere relazioni sociali e professionali in un clima di “appartenenza” organizzativa, e uscire finalmente dalla “gabbia “domestico-casalinga” in cui erano state costrette nel periodo pandemico, sostenendo ancora una volta l’onere pure dei figli in dad e le cure di familiari in difficoltà, altre donne hanno trovato nuovi equilibri e condivisioni con partner, insomma sono solo alcuni esempi ma a quasi tutti e tutte è cambiata la vita. Un cambiamento epocale! Certo anche molto stressante”.

 3 benefici e 3 rischi del lavoro agile

“Benefici: minore inquinamento derivante dal minor uso del trasporto privato, riunioni di lavoro on line più centrate sull’obiettivo che quindi rendono l’uso del tempo lavoro più efficiente, l’aver sperimentato che lavorare a distanza è possibile e, soprattutto (post pandemia), l’aver reso tutti consapevoli della fragilità umana, della interdipendenza globale e quindi della necessità di integrare le conoscenze, soprattutto su campi innovativi, se vogliamo muoverci verso uno sviluppo che sia sostenibile e per il benessere di tutti. I vaccini sono stati possibili in poco tempo grazie alla condivisione delle conoscenze tra gli scienziati, e ci hanno salvato la vita. Quindi viva la competenza, ma non solo scientifica, bensì in ogni campo. Speriamo diventi un must valoriale!

Rischi: lavorare agile senza intelligenza agile. Bisogna cambiare logiche di organizzazione e di cultura del lavoro, del controllo, andare verso una maggiore responsabilizzazione reciproca nel rapporto capi-collaboratori, imparare a ragionare per obiettivi non per ore di presenza al lavoro, altrimenti si darà la colpa alla tecnologia della maggiore alienazione in versione XXI secolo, mentre la reale causa sarà una cultura jurassica del management e di tutti i livelli della piramide che resiste con cecità alle nuove necessità e alle possibilità di migliore qualità della vita che la tecnologia offre se ben governata. Il mito del always to be connected. Non si può stare connessi h24 per le ansie proprie o altrui rispetto all’essere “performanti”. Ciò significa solo avere un rapporto bulimico con lavoro e mezzi tecnologici (pc, smartphone, e le varie piattaforme) fino al punto di non riuscire più a gestire le relazioni umane in modo umano, a parlare di emozioni, a argomentare le idee, a cercare le informazioni e approfondirle, arrivando così a rapportarsi alla realtà in una forma spasmodica di “usa e getta” con l’idea di fare tante cose, senza rendersi conto dell’ansia che c’è dietro questa iper attività, e che nasconde la paura di fermarsi, pensare e concentrarsi – anche con nuova attenzione consapevole – ai momenti che si stanno vivendo, apprezzandoli, valorizzandoli e apprendendo da essi il significato che ognuno attribuisce ad essi nella cornice del senso della propria vita. E’ necessario quindi imparare una nuova logica di gestione del tempo, altrimenti il rischio è essere fagocitati dal tempo, senza trovare più gli strumenti e le possibilità di migliore equilibrio tra vita lavoro e vita privata, anche se i confini tra queste due dimensioni sono sempre più sottili”.

Le donne come si sono confrontate in questa nuova modalità?

“Come dicevo prima, le donne che sono nei fatti il welfare per lo Stato italiano, sono e sono state anche in questa occasione pandemica le caregiver su cui è più pesata la situazione. Rispetto allo smart working, credo sia importante anche parlando con le donne, fare in modo che non accada, di fatto e “culturalmente”, quello che è successo con il part time, che in realtà è stato sempre visto e usato come una cosa per donne. Lo smart working può finalmente innescare un processo per vivere non solo la maternità ma la genitorialità come valore sociale praticato e praticabile, percepito tale sia dalle coppie sia nella rete delle relazioni nella comunità, come ho avuto modo di scrivere. La cultura gestionale e le politiche delle organizzazioni d’impresa possono fare molto in tale senso, cose concrete. Inoltre, le donne possono aver una marcia in più nel mondo digitale, hanno alcuni tratti e approcci che, con adeguata formazione e coaching, come osservo sulla base della mia esperienza professionale su questo, possono trasformarsi in soft skill o competenze trasversali che sono fondamentali per lavorare agile, quindi anche lavorare in smart working può essere come donne utile per valorizzare e riequilibrare l’uso del tempo, non tanto o solo per meglio conciliare l’essere mamma-donna che lavora, ma per curare un migliore equilibrio in senso lato della propria vita, rivedere le priorità, dedicare un tempo consapevole anche a se stesse e gestire le proprie risorse, energie e competenze professionali senza autoescludersi da opportunità di sviluppo che si desiderano e con un nuovo sguardo verso le scelte con nuove possibilità”.

Le cose da dire sarebbero ancora molte ma purtroppo le domande, e quindi le risposte, sono solo tre!

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