IL NUOVO ALLESTIMENTO DELLE SALE DEL CINQUECENTO A PALAZZO BARBERINI IN ROMA.

Venerdì 8 ottobre le Gallerie Nazionali di Arte Antica hanno inaugurato il nuovo allestimento delle Sale del Cinquecento nell’ ala nord del piano nobile di Palazzo Barberini.

Nelle sette sale, dalla n° 12 alla n° 18, sono situate 42 opere a cui si uniscono vari prestiti temporanei da collezioni pubbliche e private, ora posizionate in base ad un nuovo impianto concettuale che, completando l’antecedente ordine cronologico e geografico, determina approfondimenti monografici e tematici. Il rinnovamento delle sale ha riguardato le strutture architettoniche, l’impianto di illuminazione, la grafica, il colore delle sale e gli apparati didattici. I nuovi pannelli esplicativi con le didascalie ragionate e approfondite valorizzano il percorso del visitatore fra le 42 composizioni, proprie delle collezioni delle Gallerie Nazionali di Arte Antica. I quadri selezionati sono stati collocati su una fila unica e non su più file, caratteristica che in precedenza rendeva difficile la visita. L’allestimento a cura di Flaminia Gennari Santori con Maurizia Cicconi e Michele Di Monte, su progetto di Enrico Quell, si caratterizza come la fine delle operazioni di riqualificazione del piano nobile di Palazzo Barberini, continuazione dell’opera di riallestimento delle Sale del Seicento e che anticipa i lavori di completamento che interesseranno anche il piano terra. Poche composizioni per ogni sala, mediamente 6 o 7 per ogni spazio, ossia nelle grandiose stanze al piano nobile dell’ala nord dell’edificio. Circa un anno di lavori tra preparazione, studi, movimentazione e molteplici restauri di quadri e cornici, tra cui ancora corrente la maestosa pala di Giorgio Vasari, ritraente un’Allegoria dell’Immacolata, rinvenuta dopo quasi un secolo dal Museo Statale di Arezzo.

“L’intento è quello di restituire al pubblico un percorso organico e facilmente leggibile che metta in risalto le opere e ne esalti il contatto con i visitatori in una struttura espositiva narrativa che metta in risalto anche la storia del palazzo e delle sue collezioni”. Chiarisce la direttrice delle Gallerie Nazionali Flaminia Gennari Santori.

L’intervento si rivolge verso finalità più vaste e articolate, dirette a evidenziare l’articolazione dello spazio barocco del palazzo, mostrandosi una scelta esemplare per la comprensione della storia dell’edificio, della collezione e dei suoi percorsi.

La potente famiglia Barberini, di origine toscana, decise di edificare come luogo di rappresentanza, una dimora sontuosa adeguata ad una delle più insigni famiglie romane. La costruzione di Palazzo Barberini, che sorge su una parte dell’antico circo di Flora, cominciò nel 1627, sotto la direzione dell’architetto Carlo Maderno, 1556 – 1629, che in principio progettò una struttura quadrangolare che includeva la precedente Villa Sforza attraverso lo schema classico del palazzo rinascimentale, riferito al prototipo di Palazzo Farnese a Roma. Soltanto successivamente fu creato il progetto ad ali aperte che convertì il complesso in palazzo – villa, congiungendo le due funzioni di abitazione di rappresentanza della famiglia papale e di villa suburbana. Questo apparato, tramite modi comuni alle ville cinquecentesche, determinava un eccellente integrazione dell’edificio nel contesto limitrofo. Nel 1629, dopo la morte di Carlo Maderno, prese il posto nella direzione dei lavori Gian Lorenzo Bernini, 1598 – 1680, all’epoca trentunenne. E’ tema di dibattimento per quanta parte dell’iniziale progetto, di Carlo Maderno, sia stato poi ripreso da Gian Lorenzo Bernini. Nel cantiere lavorò anche il giovane Francesco Borromini, 1599 – 1667, nipote del Maderno, a cui sono attribuibili dei particolari architettonici, oltre la scala elicoidale dell’ala nord a destra del porticato. L’intensa cooperazione dei due architetti, tutti e due condizionati dal passato progetto del Maderno, rende molto difficile e dibattuta le attribuzioni di molte parti del fabbricato. Quasi certamente, la parte del fondo, la dolce rampa e la facciata posteriore furono eseguite da Francesco Borromini; tutto il rimanente, i prospetti laterali e il prospetto principale con gli avancorpi sono realizzazioni di Gian Lorenzo Bernini e sono considerate come una delle sue più importanti e mirabili rappresentazioni. La loggia vetrata sorretta da un

profondo portico, rappresenta il punto focale di rappresentanza dell’edificio che si incentra sul grande volume del salone.

Esso si estende su due piani con la maestosa volta dipinta, tra il 1632 e il 1639, da Pietro da Cortona con il Trionfo della Divina Provvidenza, glorificazione temporale e spirituale del pontefice e della famiglia Barberini. L’affresco, il cui requisito illusionistico accresce la grandiosità di questo ambiente, apre l’età della grande decorazione barocca. Il soggetto dell’affresco è appunto il Trionfo della gloria dei Barberini, in cui emblematicamente sono riprodotti gli atti più famosi e le virtù di Urbano VIII, attraverso cinque scomparti i quali, incluso quello centrale, costituiscono altrettanti quadri di composizione, nel cui mezzo vi è l’arma dei Barberini condotta al cielo dalle virtù teologali, al cospetto della Provvidenza, circondata dal Tempo, dalle Parche, dall’Eternità e da altre simboliche divinità.

Il palazzo nel 1949 fu poi comprato dallo Stato Italiano.

Le raccolte della collezione Barberini, magnifiche per quantità, assortimento e valore artistico delle singole opere , erano accresciute lungo tutto il XVII secolo, dall’inizio del pontificato di Urbano VIII; ed erano distribuite fra l’antiquarium di Villa Barberini a Castel Gandolfo ed il Palazzo Barberini in via delle Quattro Fontane. Attualmente, nella collezione permanente del Museo sono presenti, tra le molteplici composizioni, opere del Pomarancio, Correggio, Lanfranco, Parmigianino, Andrea del Sarto, Tiziano, Guercino, Simonr Vouet, Raffaello Sanzio, Guido Reni, Michelangelo da Caravaggio, Dominichino, Rembrandt, Mengs.

Le sale dell’ala nord dell’edificio, dalla n° 12 alla n° 16, vennero edificate ingrandendo l’originaria struttura del complesso, dal duca di Segni, Alessandro Sforza, 1572 – 1631, prima che la villa venisse acquistata dalla famiglia Barberini. La decorazione delle volte, ad affresco e stucco, fu realizzata da Antonio Viviani, pittore di Urbino, chiamato il Sordo, 1560 – 1620, e dai suoi collaboratori, che completarono il mandato nel 1612.

Il nuovo percorso inizia dall’ingresso dell’atrio Bernini dove a ricevere il visitatore vi è la monumentale Velata di Antonio Corradini. Scolpita nel 1743 lungo il soggiorno romano dell’artista e appartenente alla collezione Barberini, la Vestale è avvolta in un velo impalpabile, emblema della pudicizia e della castità necessarie per avere il sacro ruolo di sacerdotessa del fuoco di Vesta, che fa intravedere le forme sottostanti. Nella mano sinistra regge il setaccio che, con l’aiuto della dea, le permise di raccogliere le acque del Tevere, scampando la morte.

Successivo all’ingresso, tramite il maestoso scalone di Gian Lorenzo Bernini, trova nuova sistemazione il Galata, scultura mutila romana antica del I secolo d.C., appartenente anch’essa alla collezione del museo, che si mostra come un appariscente rifacimento di gusto barocco, probabilmente voluto dagli stessi Barberini. Una scelta simbolica per evidenziare come il percorso di visita comprenda anche la storia del palazzo e dei suoi proprietari. La statua in realtà, nel suo attuale aspetto, è appunto il frutto di un grande rifacimento condotto su una scultura mutila romana, derivata a sua volta da un gruppo monumentale ellenistico databile alla prima metà del II secolo a. C.. La statua, alta 1,565 metri, si presenta fortemente integrata; al restauro sono riferite la testa e la spalla destra, soprattutto sul retro, con linea di frattura che passa obliqua dal lato sinistro della base del collo sin sotto l’ascella; anche il braccio destro è moderno, a partire dall’omero, mentre l’avanbraccio sinistro è inserito con il lembo del mantello sovrastante. Ad un intervento moderno sono quindi da attribuire gran parte delle gambe, mantello, plinto con i piedi e sostegno roccioso.

La sala 12, Tradizione e devozione, accoglie opere con il medesimo soggetto: la Sacra Famiglia di Andrea del Sarto, opera con tre figure centrali, e la Madonna dell’umiltà di matrice leonardesca, la preziosità della Sacra Famiglia di Perin del Vaga e la Madonna Hertz di Giulio Romano. Continuando con il principio tematico, nella stessa sala vi sono anche gli straordinari colori della la Madonna con Bambino e San Giovannino del Beccafumi, madonna del latte di matrice bizantina.

La sala 13, riservata totalmente a Lorenzo Lotto, custodisce il Matrimonio mistico di santa Caterina con i santi Girolamo, Giorgio, Sebastiano, Antonio Abate e Nicola di Bari per dare al visitatore un’immagine completa di questa opera d’arte. Presenti sono due cofanetti “in pastiglia” di ambito veneto – ferrarese degli inizi del XVI secolo.

Continuando il percorso, la sala 14 si incentra sulla pittura ferrarese, con composizioni di Garofalo e Dosso Dossi.

La sala 15 ospita il Cinquecento senese, con varie rappresentazioni tra cui quella del Sodoma, in prestito dalla Galleria Borghese. Presenti grandi interventi di restauro di rilevanti cornici che evidenziano la ricchezza dei committenti come avviene nel grande Sposalizio mistico di Santa Caterina di Girolamo Genga, posizionato accanto ai quadri di Marco Bigio.

La sala 16, intitolata Lo sguardo del Rinascimento, si rivolge alla ritrattistica, offrendo una panoramica dell’interesse per la rappresentazione dell’individuo, dal gentiluomo al re al condottiero all’intellettuale, che emerge appunto nel Cinquecento. E’ la sala che custodisce forse il maggior numero di capolavori delle Gallerie Nazionali, travalicano l’ordine cronologico delle opere; dalla Fornarina di Raffaello al potente Ritratto di Stefano IV Colonna del Bronzino che si immedesima nella figura stessa di condottiero, dall’eleganza di Maria Maddalena di Piero di Cosimo che la ritrae non come peccatrice, ma nelle vesti di nobildonna che si prende cura del Cristo, alla ieraticità austera dell’Enrico VIII attribuito a Hans Holbein, insieme ai ritratti di Niccolò dell’Abate, di Quentin Metsys e di Bartolomeo Veneto.

La celebre Fornarina di Raffaello Sanzio, espressione massima dell’artista nel genere del ritratto, appartenente alla collezione Barberini, sin dal 1642, fu dipinta nel 1520 circa. La tavola del maestro urbinate (87 X 63 centimetri), rappresenta secondo la tradizione Margherita Luti, l’amante e musa ispiratrice di Raffaello, figlia di un fornaio di Trastevere, da cui il soprannome “Fornarina”. L’opera era già degli Sforza di Santafiora, i primi proprietari dell’edificio e fu una delle prime ad essere comprata dai Barberini. Il quadro, di discinta seminudità, doveva essere riservato ad una collocazione privata, distante da sguardi indiscreti. La donna è infatti raffigurata a seno scoperto, coperta appena da un velo che regge al petto con la mano destra e da un mantello rosso che copre le gambe. Il dipinto è di fresca spontaneità, con una sensualità dolce e rotonda, amplificata dalla luce diretta e fredda proveniente da sinistra, pervadendola ed evidenziandola dal fondo scuro. Nella primavera del 2022 la Fornarina sarà alla National Gallery di Londra per una mostra sul maestro urbinate.

Nella successiva sala 17, dedicata alla pittura della Maniera centro – italiana, è stata ripresa, come citato, dal deposito del Museo Statale di Arezzo, la monumentale pala di Giorgio Vasari e bottega con l’Allegoria dell’Immacolata concezione, che sarà eccezionalmente in esposizione le prime due settimane, prima di essere sottoposta ad approfondite operazioni di restauro. Successivamente la si potrà contemplare accanto alle composizioni del maestro della Madonna di Manchester, del seguace di Maarten van Heemskerck, di Daniele da Volterra, di Jacopino del Conte, Francesco Salviati e Pierino da Vinci. La pala d’altare, dalle grandissime dimensioni, è la prima delle sei versioni note, dello stesso soggetto, eseguite dal Vasari e dai suoi aiutanti, fra il 1540 e il 1544. La rappresentazione non ritrae la problematicità, all’epoca ancora

dibattuta, del dogma dell’ Immacolata Concezione, come nel caso delle svariate Dispute, ma riproduce già l’immagine della Vergine immacolata, attraverso l’espressione adoperata dallo stesso Vasari per intitolare l’opera, creata per il banchiere Altoviti. Il suo restauro si concluderà nell’aprile 2022. Si avrà il risanamento delle criticità del supporto e il ripristino della cromia originale allo scopo di ristabilire una valida percezione e lettura del capolavoro.

Il percorso termina nella sala 18, la Sala Sacchi, chiamata anche della Divina Sapienza, in cui per esaltare l’originaria ed importante rappresentanza simbolica degli appartamenti del principe Taddeo Barberini, le composizioni presenti raccontano e ritraggono gli esponenti illustri della famiglia Barberini, con i ritratti e le sculture di Urbano VIII e dei suoi nipoti prodotti da Gian Lorenzo Bernini, Giuliano Finelli, Lorenzo Ottoni. Al centro della sala, i due Globi della sfera celeste e terrestre di Matthaus Greuter, che celebrano, nonostante sia dubbia la provenienza, il notevole coinvolgimento della nobile famiglia per i manufatti riferiti alle nuove discipline ottiche, fisiche, astronomiche e nella fattispecie, cartografiche.

Tra il 1628 e il 1633, il cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII, dà incarico ad Andrea Sacchi, un’artista pressoché sconosciuto negli ambienti del Barocco romano, all’esecuzione di un affresco, presente appunto sulla volta della sala 18. La Divina Sapienza è raffigurata al centro del dipinto come una donna seduta in trono, alle sue spalle scende il sole dell’alba, nella mano destra regge uno scettro con l’occhio di Dio con cui illumina la sfera terrestre, nella sinistra lo specchio emblema della prudenza. Sul seno della Prudenza appare un piccolo sole che, insieme alle api che decorano il trono, costituiscono i simboli della famiglia Barberini. L’affresco commemora la Divina Sapienza, un tema dai profondi significati politici ed encomiastici. L’articolata iconografia è dedotta dal Libro della Sapienza, scritto dell’Antico Testamento attribuito al re Salomone, modello del re saggio e illuminato assistito dalla sapienza divina, a cui Urbano VIII si paragona. La volta affrescata doveva valere come talismano protettivo del futuro della famiglia.

Alcuni appuntamenti “family friendly” accolgono anche i piccoli visitatori per conoscere le collezioni di Palazzo Barberini. Ogni domenica alle 11, dal 10 ottobre al 21 novembre e dal 3 aprile al 29 maggio, i laboratori didattici Ritratti di famiglia, a cura dell’Associazione sipArte!, appassioneranno i bambini fra i 6 e i 10 anni, coinvolgendo anche le famiglie nel vedere il nuovo allestimento delle Sale del Cinquecento con un percorso inerente ai ritratti. L’attività, destinata a non più di un massimo di 10 ospiti, è gratuita e su prenotazione obbligatoria all’indirizzo didattica@siparte.net.

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