Che Bologna sia considerata “la grassa” (per la sua cucina) è cosa nota ed arcinota.
Così come è noto ed arcinoto che esiste una forte diatriba sui tortelli, brodo o panna? Sullo spaghetto alla bolognese, esiste o non esiste? Sulle lasagne, gialli o verdi? E potrei proseguire…
Quello che non tutti conoscono è che da qualche anno la vera diatriba tra i vari ristoranti è sulla cotoletta alla bolognese (o alla petroniana per i più dotti).
Non tutti conoscono questa prelibatezza (ed è un vero peccato), ma oggi spesso e volentieri si sceglie il ristorante proprio in virtù di questo piatto.
La cotoletta da sola per quanto fritta non è sufficiente per potersi definire “grassa” secondo in canoni bolognesi, per cui gli viene aggiunto il carco da 11.
Andiamo con ordine. La cotoletta altro non è che una fetta di vitello, meglio prodotta dalla sottonoce (a Bologna si chiama “scannello”), come consigliava Pellegrino Artusi, battuta, passata nell’uovo, poi infarinata, ripassata nell’uovo e infine nel pan grattato.
La si dora in padella con burro, una vota quasi cotta si adagia una fetta di prosciutto dolce di 24 mesi e ricoperta con scaglie di parmigiano 36 mesi. Si aggiungono due cucchiai di buon brodo sopra la cotoletta, si copre con coperchio e si fa sciogliere il parmigiano a fuoco lento.
Quello che ne scaturisce è un piatto per nulla dietetico, ma ricco di sapore, piacere e golosità. Provare per credere.
L’abbinamento con il vino è di quanto più complicato ci possa essere. Il vitello e la frittura portano ad un bianco, il prosciutto ed il parmigiano spingono verso il rosso. Quindi?
Io personalmente amo abbinare questo piatto ad una barbera dei Colli Bolognesi, giovane fresca, succosa e profonda.
Se capitate in città, provate questa versione di cotoletta, il vostro dietologo non approverà ma le vostre papille gustative e il vostro palato vi ringrazieranno, e difficilmente non la riassaggerete.