Ventiquattro rose, un amore

Come si descrive un amore? Come è possibile dare una sfumatura diversa, ciascuna con un suo profumo e una sua differente entità, a un sentimento che per sua natura è dotato di mille sfaccettature, mai realmente intelligibili data la passione travolgente caratteristica dello stesso, passione che obnubila l’intelletto?

Con ventiquattro rose. Questa è la risposta al quesito data da Ferdinando Palladino, classe 1997 e fresco di autopubblicazione del volume intitolato, appunto, Ventiquattro rose. Si tratta di un libro dal carattere decisamente poetico, ma che per la precisione nella descrizione del sentimento amoroso ha tratti quasi saggistici, filosofici, senza mai però la pretesa di ergersi a catalogazione oggettiva di quanto ogni essere umano prova nel vivere un amore. Le ventiquattro rose sono quelle provate, vissute sulla pelle dall’autore, e ciò è chiaro alla prima lettura.

A dimostrarlo è il linguaggio, personalissimo e che immediatamente è possibile ricollegare al romanticismo ottocentesco, sia per il lessico usato – aulico e, come detto, poetico – sia per l’approccio al tema trattato. Testo non privo neanche di tendenze neoclassiche, come è possibile cogliere da taluni riferimenti letterari sottintesi nello stesso: a metà, insomma, tra pittoresco e sublime come si confà all’argomento dell’amore.

Ventiquattro rose è privo di una trama vera e propria, e lascia abbastanza spazio per non definire mai più di un filo rosso generico tra i vari punti che insieme costituiscono lo schema logico del volume. Punti che sono – letteralmente – ventiquattro rose in sequenza, ciascuna un capitolo e una sfaccettatura diversa dell’amore. Ciascuna a precedere la successiva. O, per meglio dire, ventitré: l’ultima è una sintesi hegeliana delle altre e le racchiude tutte, dando loro nuova luce e un significato più completo in virtù del “tutto”.

Segue poi, dopo il testo vero e proprio, una sorta di spiegazione delle rose e dei loro significati. Quest’ultima diversa nello stile, adesso critico e analitico, e forse per certi versi superflua in quanto l’intensità e la ricercatezza del linguaggio poetico rendono già, precedentemente, chiaro quanto l’autore desideri incanalare in ciascun “petalo” della sua dissertazione.

Ventiquattro rose è l’opera prima di un autore giovane, non ristretto nella chiusura di schemi narrativi e stilistici, e incuriosisce per quel che si potrà vedere in futuro da parte di Ferdinando Palladino.

 

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