Luigi Moio, lo sposalizio della sua terra nel racconto di sé…

C’è una ritualità insita nel vino, che ci accompagna nell’accostarci a questa bevanda, antica quanto moderna, studiata e conosciuta, ma anche misteriosa ed affascinante, una ritualità fatta anche di convivialità, amore e condivisione. Stappare la bottiglia, versare il nettare nei bicchieri, osservarne il colore, avvicinare il calice al naso e lasciarsi travolgere dai suoi profumi, prima di assumerne un sorso, con cui lasciarsi inebriare da un turbinio di emozioni: tutto questo appartiene al mondo del vino e contribuisce a rendere unica questa bevanda. A lungo utilizzata come vero e proprio alimento e come surrogato dell’acqua, oggi il vino è l’accompagnamento ideale per qualsiasi cibo, o per suggellare momenti speciali, un mezzo per viaggiare nel mondo, senza muoversi dalla propria sedia. 

Esiste, infatti, un atavico e profondo legame tra la terra, la vigna, il vino e l’uomo, e parlarne con il professor Luigi Moio, uno dei massimi esperti italiani, e non solo, è davvero un’occasione meravigliosa per immergersi in un mondo che non finisce mai di stupirci ed incantarci. Produrre vino, infatti, è un progetto generazionale, un patto nuziale con la terra, che unisce in matrimonio l’agricoltore ed il vigneto, per un impegno che va oltre una intera vita: creare grandi vini, infatti, capaci di ricondurci nei luoghi di produzione con un solo sorso, richiede molto tempo e progettualità; dall’impianto del vigneto, alle vendemmie, sempre uguali ma diverse al tempo stesso, al lavoro in cantina, fino all’affinamento… La cura dei dettagli ed il tempo sono elementi fondamentali per arrivare a grandi vini.

Una sinfonia in perfetto equilibrio, dove le componenti dipendono dalla varietà utilizzata ed in questo noi italiani abbiamo una grande fortuna che è quella di disporre di un patrimonio di cultivar molto ampio, su cui, tuttavia, vi è ancora molto lavoro da fare, perchè gli studi a nostra disposizione sono limitati e frammentari. E’ proprio sui vitigni autoctoni che il professore si è concentrato già da quando era un giovane ricercatore universitario, con l’obiettivo di comprendere al meglio l’equilibrio quantitativo e qualitativo delle componenti, per esaltare le specificità di tutte le varietà, con le loro diversità, in contrapposizione all’omologazione ed alla standardizzazione di prodotto. 

Forse anche per questo il professore ha sempre desiderato essere l’enologo di se stesso e costruire una realtà aziendale, Quintodecimo, che oggi conta oltre 30 ettari di vigneto ed in cui lavorano anche la moglie ed i 4 figli, con l’obiettivo di dare vita a vini di altissima qualità, senza compromessi ed in piena libertà, nel rispetto dei ritmi della natura: i bianchi sono Fiano, Greco di Tufo e Falanghina, mentre i rossi sono ottenuti da uve Aglianico, declinate anche in due Taurasi, il vino che rappresenta meglio l’essenza del nostro professore, uomo di campo e di cantina oltre che emerito cattedratico e  vice presidente dell’ OIV (l’Organizzazione Scientifica Internazionale della Vite e del Vino).

“Se il progetto è quello di ottenere un vino rosso da grande invecchiamento – ci spiega il professore – la barrique è uno strumento tecnologico importante perchè lo completa, rendendolo più armonioso e stabilizzandolo, oltre a dargli longevità, ma è necessario coltivare e vinificare l’uva in un certo modo per poi utilizzare il legno, per evitare che quest’ultimo possa mascherare l’espressione di caratteri sensoriali dell’uva di origine.”

Altro errore da non commettere è quello di considerare il ritorno al passato come una innovazione, come il vino in anfora o gli orange wine: mode che nulla aggiungono ad un processo che ormai si conosce bene e sul quale non è rimasto forse altro da aggiungere. Un vino di grande qualità deve essere perfettamente armonico, assolutamente privo di difetti sensoriali, altrimenti non ha senso; il nostro viaggio attorno al vino, allora, non può che tornare al tappo, elemento fondamentale per la liturgia dell’assaggio: la produzione di vino a livello mondiale è, infatti, aumentata e disporre di sughero di qualità sta diventando sempre più difficile, minacciando soprattutto i vini bianchi, che hanno maggiormente bisogno di essere protetti dall’ossigeno.

Bere bene, ma anche correttamente, senza esagerare, onde evitare che gli aspetti positivi del vino, legati alla gioia della convivialità, della condivisione, della conversazione, possano essere compromessi.

Come diceva il grande poeta parigino Baudelaire: “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”, ma, aggiungiamo noi, chi beve senza mangiare gode solo a metà, perchè il vino giusto, assieme al cibo è in grado di creare una combinazione magica, con una esaltazione di tutte le componenti in gioco. 

Un pasto senza vino è come un giorno senza sole”, diceva Anthelme Brillat-Savarin, perchè il cibo non ha alcun senso senza il vino, e forse nemmeno la vita…

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Comments

    • Nicola Nardone
    • 22 Aprile 2020
    Rispondi

    credo che l’articolo tracci uno aspetto incluso nel concetto di terroir francese, lo sposalizio uomo vigna vitigno autoctono terra di coltivazione, che è un concetto chiave per ottenere la super qualità tangibile non solo comunicativa mentema soprattutto nel bicchiere. Discorso apparte meritano i vini difettati o meglio i vini senza conoscenza, simpatici al pubblico giovanile che credo siano nati da un errore dell’enologia di oggi, si deve imputare ad un errore di non comunicazione sull’ integrità e ragioni dell’aggiunta , lasciando comunicativamente libero il campo al vino fatto solo con l’uva, anche se fatto male, se a questo aggiungi che l’Italia è uno dei pochi paesi produttori storici che una quarantina di anni fa ha altera i vini ammazzando le persone, senza che ciò rimettesse in discussione nulla del rapporto etichetta aggiunta consumatore hai un quadro grottesco.
    Demonizzare poi un contenitore ho una macerazione di un bianco credo sia come demonizzare le barrique nuove suone alle mie orecchie come un rumore incomprensibile.

      • Redazione
      • 27 Aprile 2020
      Rispondi

      Grazie per il Suo commento. Alcuni aspetti non ci sono parsi del tutto chiari, così come il suo richiamo (immaginiamo) allo scandalo del 1983 del vino al metanolo. Per il resto, non si tratta di demonizzare niente, quanto semplicemente di riportare quelli che sono i pareri di un illustre professionista del settore, quale è il dottor Moio. Ognuno di noi è libero di premiare sul mercato ciò che ritiene maggiormente in linea con i propri gusti.
      Saluti

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