LE NUOVE OPPORTUNITÀ NEL DIRITTO DELLA CRISI L’attuale quadro normativo presenta maggiori opportunità per salvare le imprese in difficoltà.

La Direttiva Insolvency ha imposto al legislatore di garantire alle imprese il pronto accesso a procedure di ristrutturazione in grado di preservare la continuità aziendale in maniera efficace, prevenendo l’insolvenza, la perdita di posti di lavoro, conoscenze, competenze e il deterioramento dei crediti. Il cambio di paradigma si ritrova nelle procedure concorsuali del Codice della crisi di impresa entrato in vigore a luglio 2022, dopo il recepimento della Direttiva. Le nuove regole offrono maggiori e migliori opportunità per salvare le imprese in crisi, attraverso procedure più snelle e che favoriscono altresì l’approvazione delle proposte attraverso maggioranze relative più semplici da raggiungere.

Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) è stato presentato come modifica epocale delle procedure concorsuali, ma la sua versione originaria ha sollevato polemiche in merito all’idoneità di consentire la soluzione alla crisi in maniera snella, efficace, garantendo maggiore autonomia alle parti direttamente coinvolte quali l’imprenditore e i suoi creditori. I richiamati limiti sembrano essere superati dalla versione del Codice, in vigore da luglio 2022, modificata ad opera del D.Lgs. 83/2022 per recepire la Direttiva Insolvency.

La Direttiva ha imposto al legislatore di garantire alle imprese il pronto accesso a procedure di ristrutturazione in grado di preservare la continuità aziendale in maniera efficace, prevenendo l’insolvenza, la perdita di posti di lavoro, conoscenze, competenze e, quindi, dei valori aziendali, raggiungendo per tale via anche l’ulteriore obiettivo di impedire il deterioramento dei crediti.

Il cambio di paradigma si rintraccia in diverse modifiche al testo originario dal CCII, tra cui la sostituzione della composizione assistita con la composizione negoziata, la ridefinizione sia di crisi sia di assetto organizzativo in chiave finanziaria, nelle procedure che favoriscono il recupero dei valori aziendali come il concordato in continuità, in cui vengono riviste le priority rule per il pagamento dei privilegiati, stabilito che la disciplina del concordato in continuità si applica anche se i creditori vengono soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità, resa più semplice l’approvazione e l’omologa, esonerando il tribunale dalla verifica della fattibilità economica.

La crisi di impresa diventa un aspetto fisiologico, non soltanto da un punto di vista economico, ma anche giuridico. La funzione imprenditoriale, esercitata dagli amministratori nelle società, dovrà tenere conto della necessità di gestire l’impresa programmando le coperture finanziarie in modo da evitare situazioni di crisi, nonché conoscere i principali strumenti per recuperare l’equilibrio finanziario. Trattasi di un cambio di paradigma per l’imprenditore, l’organo amministrativo e quello di controllo cui giunge il diritto della crisi.

Lo scopo della riforma è stato quello di limitare la presenza diretta – e paternalistica – dello Stato, restituendo un ruolo di dignità all’iniziativa economica privata e allo stesso imprenditore il quale, anche nella cattiva sorte, rimane il capo dell’impresa.

Il legislatore inizialmente non sembrava però aver fatto fino in fondo buon uso di questi principi ispiratori – nonché degli obiettivi posti dalla normativa europea – muovendosi piuttosto in una logica di controriforma in cui la gestione della crisi tornava, per lo più, nelle mani pubbliche. Emblematici, in proposito, erano gli artt. 47 e 48 CCII – nel testo ante modifiche prima del recepimento della direttiva insolvency – che in tema di concordato attribuiva al tribunale il compito di verificare la fattibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano di risanamento sia in fase di apertura, che di omologazione.

In maniera simile, non sembrava lasciare molto spazio all’autonomia privata la procedura di composizione assistita, disciplinata dal previgente Capo I, del Titolo II, Parte I del CCII, in base alla quale l’imprenditore doveva avviare spontaneamente, o obbligatoriamente dopo la segnalazione degli organi di controllo societari, del revisore e dei creditori pubblici qualificati, la composizione assistita presso l’OCRI, finalizzata a

trovare una soluzione allo stato di crisi. In caso di esito negativo, il collegio doveva invitare il debitore a presentare, entro il termine di 30 giorni, la domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Lo strumento della composizione assistita, dunque, invece di stimolare la libera discussione tra i soggetti interessati dallo stato di crisi, quali l’imprenditore e i suoi creditori, imponeva di risolvere la situazione di difficoltà con il coinvolgimento di un soggetto terzo quale l’OCRI.

La congiuntura economica, profondamente incisa dalla pandemia per la diffusione del COVID, ha comportato effetti dolorosi sulle imprese, parzialmente attenuati dai vari interventi di sostegno pubblico. La situazione economica, pertanto, ha messo in luce la necessità di introdurre strumenti giuridici di supporto alle imprese in difficoltà. In soccorso delle imprese arriva lo strumento della composizione negoziata (CNC) disciplinata dal DL 118/2021 (conv. L. 147/2021). Il DL 118/2021 ha previsto, inoltre, il rinvio del CCII (entrato poi in efficacia con modifiche il 15 luglio 2022), considerato non funzionale alla soluzione della crisi aziendale, vista la situazione economica duramente colpita dalla pandemia.

La composizione negoziata è stata spesso definita come un percorso (iter) che l’imprenditore decide volontariamente di intraprendere, finalizzato a raggiungere un accordo con i creditori e le altre parti interessate tale da consentire all’impresa di superare la situazione di temporaneo squilibrio e di proseguire l’attività in continuità.

La composizione negoziata ha la finalità di condurre a una vera e propria composizione degli interessi delle parti coinvolte nella crisi di impresa, raggiungibile attraverso la contrattazione ispirata ai principi che caratterizzano gli accordi nel diritto privato quali la buona fede, la correttezza e solidarietà tra le parti, nonché l’equilibrio e la ragionevolezza contrattuale (nel lungo periodo) in cui, dalla compressione dei diritti delle parti oggi, si consente il risanamento dell’impresa realizzando un maggior soddisfacimento nel lungo periodo per tutti.

Siamo nell’ambito del diritto privato e della contrattazione riservata in cui, idealmente, si potrebbe prescindere da ogni intervento da parte del tribunale. La composizione negoziata – dotata inizialmente di un sistema di allerta interna e, successivamente, da un sistema di allerta esterna (ex art. 30-sexies, DL 152/2021) – sostituisce la composizione assistita nel CCII a seguito del recepimento della Direttiva Insolvency. Si passa, dunque, da una composizione assistita – obbligatoria – alla composizione negoziata, cui l’imprenditore autonomamente decide di accedere, anche in caso di segnalazioni.

Nel quadro normativo tutt’altro che definito – oggetto di critica dagli addetti ai lavori nel documento congiunto del CNDCEC e Confindustria (del 5 maggio 2022) in cui veniva osservato che le troppe regole sulla crisi di impresa mal coordinate rischiano di disorientare – si inserisce la delega legislativa contenuta nella L. 53/2021, per il recepimento della Direttiva 2019/1023 (c.d. Direttiva insolvency), che offre l’occasione per un intervento sulla riforma del diritto della crisi in essere, integrando e modificando le disposizioni del CCII per attuare le linee dettate dell’UE.

La direttiva persegue una serie di obiettivi, in particolare mira a garantire alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri di ristrutturazione preventiva efficaci che consentano di preservare la continuità aziendale; permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l’insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane; impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto riceverebbero in caso di liquidazione degli attivi della società; prevenire l’accumulo di crediti deteriorati; garantire di poter intervenire prima che le società non siano più in grado di rimborsare i prestiti, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di un deterioramento di questi ultimi nei periodi di congiuntura sfavorevole, nonché ad attenuare l’impatto negativo sul settore finanziario.

Il raggiungimento di tali obiettivi necessita di strumenti di allerta precoce che consentano di aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, incentivando l’accesso dell’imprenditore a quadri e tecniche di ristrutturazione preventiva, in una fase molto anticipata.

La Direttiva Insolvency, come anticipato, viene recepita con il D.Lgs. 83/2022 che modifica in maniera rilevante il CCII per raggiungere gli obiettivi dell’UE. In particolare, la riscrittura del Codice interessa molti degli articoli, iniziando già con le prime definizioni tra cui si segnala la nuova nozione di crisi (art. 2 c. 1, lett. a CCII), ridefinita come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi (Art. 2 c. 1 lett. a).

Il diritto recepisce l’impostazione finanziaria dei moderni modelli di valutazione aziendale per cui “cash is king”, ossia l’impresa vale se produce cassa, dunque, l’insufficiente produzione di cassa per far fronte alle obbligazioni, in un arco di 12 mesi, determina la situazione di crisi.

La richiamata disposizione, letta insieme al successivo art. 3 del CCII, dedicato alle misure e agli assetti organizzativi, impone agli imprenditori, gli amministratori nelle società, di effettuare attente pianificazioni in un arco temporale almeno di 12 mesi, al fine di tenere sotto controllo gli impegni finanziari futuri in considerazione dei flussi di cassa in entrata.

Il recepimento della Direttiva Insolvency, come anticipato, sostituisce la composizione assistita con la composizione negoziata e il suo sistema di allerta interna e esterna, già disciplinate dal DL 118/2021 (ora inserite nel CCII).

La composizione negoziata della crisi è un nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà che rappresenta un percorso di risanamento di tipo negoziale e stragiudiziale; persegue l’obiettivo di risanamento delle imprese, conservando la continuità; si rivolge alle imprese che, seppur in situazioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa.

La natura negoziale e stragiudiziale dello strumento rende la procedura flessibile, ossia non soggetta a rigide procedure, ma funzionale al raggiungimento di accordi con i creditori e le altre parti interessate al fine di mantenere l’impresa in attività.

Il percorso della composizione è esclusivamente di tipo volontario, dunque attivabile solo dalle imprese che decidono di farvi ricorso. Tuttavia, va rilevato che gli organi di controllo societari, in presenza di una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, devono segnalare all’imprenditore l’esistenza dei presupposti per ricorrere alla composizione negoziata, come prevede l’art. 25-octies del CCII.

Tale obbligo rientra nella previsione dell’art. 2403 del cod. civ., ossia tra i doveri del collegio sindacale, quale organo di controllo societario. La tempestiva segnalazione all’imprenditore diviene, tra l’altro, un elemento valutabile nell’ambito dell’eventuale futura azione di responsabilità esercitata nei confronti dei sindaci ai sensi dell’articolo 2407 del cod. civ.

Si noti che, in base all’art. 2407 c. 2 del cod. civ., i sindaci sono solidalmente responsabili per i fatti o le omissioni, quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità alla loro carica.

Il percorso di composizione negoziata si avvia con l’istanza di nomina di un esperto indipendente da presentare a cura dell’imprenditore in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, attraverso apposita piattaforma raggiungibile all’indirizzo https://composizionenegoziata.camcom.it/. La CNC mira a trovare un accordo tra i creditori e le altre parti interessate per il superamento della situazione di difficoltà, con il supporto dell’esperto indipendente che svolge molteplici ruoli tra cui quello di garantire

le parti coinvolte, facilitare le discussioni e l’individuazione di soluzioni. L’esperto indipendente viene individuato, da una commissione istituita presso le CCIAA, tra gli iscritti in un apposito elenco. La nomina dell’esperto con l’accettazione dell’incarico fa avviare la CNC.

La relazione finale dell’esperto deve contenere il resoconto dell’attività compiuta e della condotta tenuta dall’imprenditore, nonché dalle parti che hanno partecipato alle trattative, indicando l’eventuale accordo raggiunto con una o più delle parti, oppure constatando che nessun accordo è stato raggiunto.

Lo strumento della CNC consente all’imprenditore di individuare negozialmente una soluzione alla crisi, mantenendo la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, pur potendo ricorrere a misure protettive e cautelari per evitare la corsa dei creditori ad acquisire posizioni di privilegio.

Il recepimento della Direttiva Insolvency ha portato diverse modifiche alla procedura del concordato preventivo, considerato le strumento principe per il salvataggio di imprese in crisi. La procedura del concordato è stata riscritta conformemente agli obiettivi della Direttiva.

In particolare, in tema di ammissibilità al concordato in continuità non si prevede più la verifica della fattibilità economica, secondo il testo dell’art. 47 del CCII riscritto dal D.Lgs. 83/2022. Nel testo normativo in vigore, il tribunale valuta la ritualità della proposta decretando comunque inammissibile il piano manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali. Il testo normativo, quindi, consente al tribunale di verificare la mera fattibilità giuridica del piano, ossia che la sua attuazione sia compatibile con norme inderogabili di legge, nonché che l’utilizzo del concordato in continuità sia conforme ai suoi propositi. La rispondenza del concordato ai suoi propositi comprende la valutazione del recupero della continuità aziendale e il riconoscimento ai creditori di un’utilità almeno pari a quella cui avrebbero diritto nel caso di liquidazione giudiziale.

In tema di propositi del concordato, il nuovo testo dall’art. 84 c. 1 CCII richiede il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, superando anche la formulazione della legge fallimentare che richiedeva di attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa fosse funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 186-bis c. 2 lett. b) l.f.).

Punto nodale, nella verifica dell’ammissibilità al piano, riguarda il valore da attribuire al recupero della continuità. Nel caso si seguisse un’interpretazione per cui la continuità è un mezzo per garantire la soddisfazione dei creditori in misura non inferiore alla liquidazione, verificare che il piano consenta di raggiungere tale obiettivo permetterebbe al tribunale di decretare l’ammissibilità del concordato. Diversamente nel caso venga attribuito alla continuità un valore paritetico a quello della soddisfazione dei creditori, il tribunale potrebbe trovarsi a dover verificare, in fase di ammissione, la presenza di tale requisito con le maggiori difficoltà che ne conseguono.

Il richiamato art. 84 c. 1 CCII testualmente prevede un rapporto di fine a mezzo tra soddisfazione e continuità; ciò porterebbe a ritenere che un Piano in continuità astrattamente idoneo a realizzare le pretese dei creditori consentirebbe al tribunale di decretare l’ammissibilità del concordato. Nel caso si volessero leggere in maniera sistematica le disposizioni, riconoscendo alla continuità un ruolo paritetico a quello della soddisfazione dei creditori, il Tribunale sarebbe nuovamente tenuto a valutare la fattibilità economica, attraverso cui ponderare la raggiungibilità dell’equilibrio economico finanziario e patrimoniale, prospettico, dell’impresa. Si farebbe, in altri termini, rientrare dalla finestra uno scrutinio che il legislatore ha fatto uscire dalla porta, riscrivendo l’art. 47 del CCII in recepimento della Direttiva Insolvency, contraddicendo la diversa scelta legislativa.

Ulteriore intervento sulle regole del concordato riguardano la verifica della prevalenza delle continuità rispetto alla componente liquidatoria che, se preponderante renderebbe applicabile le regole del

concordato liquidatorio che impongono un certo livello di soddisfazione ai creditori chirografari nonché apporto di finanza esterna, non richiesti in caso di concordato in continuità.

Il CCII, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 83/2022, prevedeva un meccanismo quantitativo per la verifica della prevalenza della continuità nel concordato, individuando come criterio il realizzo di ricavi mantenendo impiegati la metà della media dei lavoratori in forza nei due anni precedenti. Il risultato dell’applicazione di siffatta disposizione avrebbe potuto restringere, anche in maniera significativa, l’accesso al concordato e la conservazione dei valori aziendali nei casi in cui la ristrutturazione necessitava di ridurre la forza lavoro. L’art. 84 co. 3 del CCII, quindi, è stato riformulato, prevedendo che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità diretta o indiretta. La valutazione circa l’esistenza di una effettiva continuità dovrà, dunque, basarsi su una valutazione complessiva in cui la prosecuzione dell’attività anche in presenza di rilevanti dismissioni, farebbe mantenere al concordato la natura del concordato in continuità (sfuggendo alla più complicata disciplina del concordato liquidatorio).

Nel concordato in continuità è previsto l’obbligo della suddivisione dei creditori in classi; ciò dovrebbe facilitare l’approvazione.

In primo luogo, viene rivista la regola della absoulte priority rule (art. 84 c. 5 CCII), in base alla quale i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quanto realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese. Tale disposizione consente la distribuzione della parte eccedente il valore che si otterrebbe con la liquidazione dell’attivo (al netto di tutti i costi inclusi quelli generali di procedura) in maniera libera, purché la proposta ai creditori assicuri alle classi di rango superiore un trattamento più favorevole rispetto a quello delle classi inferiori, secondo il criterio delle relative priority rule. I crediti di lavoro di cui all’art. 2751-bis n. 1 cod. civ. fanno eccezione alla richiamata regola, essendo prevista la soddisfazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente.

Si supera, altresì, il più rigido approccio dell’art. 160 co. 2 l.f., che la giurisprudenza consolidata interpreta nel senso di richiedere il soddisfacimento integrale dei privilegiati, prima di effettuare il pagamento di altri crediti.

Nel sistema di approvazione della proposta da parte dei creditori la suddivisione in classi favorisce il raggiungimento delle maggioranze. La nuova formulazione prevede che la proposta è approvata se in ciascuna classe è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In mancanza, la proposta si ritiene approvata se in ciascuna classe i 2/3 dei crediti dei creditori votanti hanno votato favorevolmente, purché abbiano votato i crediti titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.

Infine, in mancanza di approvazione il nuovo testo dell’art. 112 c. 2 CCII prevede che se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale omologa il concordato quando il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore; nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Le richiamate disposizioni rendono più agevole l’utilizzo del concordato in continuità per la soluzione dello stato di crisi con regole in grado di salvaguardare l’azienda e le sue utilità.

Sempre con la finalità di trovare soluzioni alla crisi attraverso la continuità aziendale, il recepimento della direttiva Insolvency consente al legislatore di introdurre una nuova procedura: il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Il PRO si caratterizza per consentire la distribuzione della liquidità generata dall’esecuzione del Piano anche in deroga alle regole sulla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 del cod. civ., nonché sul concorso dei creditori e cause di prelazione, di cui all’art. 2741 del cod. civ.

La sua approvazione consente di superare la absolute priority rule nella distribuzione di liquidità ai creditori, nonché le relative priority rule, dando spazio di manovra a quegli imprenditori che riescono a trovare accordi con i creditori privilegiati, utilizzando anche parte del valore di liquidazione loro spettante per pagare altre categorie di creditori. In questa procedura vengono fatti salvi i diritti dei lavoratori, analogamente a quanto previsto nel concordato, i cui crediti tuttavia devono essere pagati entro 30 giorni dall’omologa.

La fase di ammissione del PRO, secondo quanto previsto dall’art. 64-bis co. 4 del CCII, prevede che il tribunale, a seguito della presentazione del ricorso, pronuncia decreto con il quale valutata la mera ritualità della proposta. In tema di ritualità della proposta, l’ordinamento già la prevedeva per l’ammissione al concordato fallimentare (art. 125 l.f.). La giurisprudenza formatasi in vigenza della legge fallimentare considerava la verifica della ritualità un mero controllo di legittimità, ossia la verifica circa l’esistenza di vizi del procedimento.

L’omologa del PRO, in base all’art. 64-bis c. 8 CCII, avviene con sentenza del tribunale in caso di approvazione da parte di tutte le classi, con le modalità di approvazione illustrate per la fattispecie del concordato in continuità. L’ultimo periodo del richiamato articolo consente al creditore dissenziente di presentare opposizione all’omologa, eccependo il difetto di convenienza della proposta. Tuttavia, il tribunale può comunque omologare il piano di ristrutturazione quando dalla proposta il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

La norma sembrerebbe, quindi, limitare il ruolo del tribunale alla verifica dell’approvazione, nonché nella definizione delle opposizioni da parte dei creditori dissenzienti, come appena indicato. Tuttavia anche altre disposizioni vanno tenute in considerazione per individuare l’esatto perimetro delle verifiche demandate al tribunale. L’art. 64-bis c. 3 CCII richiede che un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. La richiamata disposizione, che richiede un’apposita attestazione sulla fattibilità del piano, letta alla luce dell’art. 10 della Direttiva Insolvency potrebbe condurre a ritenere necessaria una verifica che il piano non sia privo della prospettiva ragionevole di garantire la sostenibilità economica dell’impresa. Stabilisce testualmente l’art. 10 c. 3 della Direttiva Insolvency che: “Gli Stati membri assicurano che l’autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa”.

La giurisprudenza che andrà a formarsi dovrà sciogliere il nodo in merito al livello e tipo di scrutinio che dovrà effettuare il tribunale, si ritiene comunque che il sistema normativo non lasci al tribunale il mero compito di notificare la votazione favorevole da parte dei creditori in sede di omologa.

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