IL CONCORDATO E LA CESSAZIONE D’AZIENDA

La possibilità di risolvere, attraverso le procedure di sovraindebitamento, situazioni di insolvenza di individui precedentemente coinvolti in attività imprenditoriali o professionali è un tema che presenta un certo livello di criticità. La complessa casistica giuridica ho portato a interpretazioni discordanti, tuttavia, l’analisi degli sviluppi giurisprudenziali rivela l’emergere di possibili soluzioni, offrendo spunti interessanti su come trattare situazioni di indebitamento misto, in cui i debiti presentano un doppio carattere, riconducibile sia all’attività imprenditoriale sia a obbligazioni di natura consumeristica.

La possibilità per l’imprenditore cessato di accedere al concordato minore oppure alla ristrutturazione del debito del consumatore è un tema dibattuto in dottrina e giurisprudenza, oggetto di recenti e contrastanti orientamenti interpretativi. La tesi per cui l’imprenditore cessato anche sopra la soglia, dopo un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, possa accedere agli strumenti propri del sovraindebitamento è seguita da diversi tribunali di merito, mentre l’opposta teoria per cui non sarebbe possibile accedere agli strumenti del sovraindebitamento ha trovato accoglimento nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 26 luglio 2023 n. 22699).

La questione assume notevole rilevanza in quanto incide sulle opzioni disponibili, per un imprenditore che abbia cessato la propria attività, per affrontare la situazione di insolvenza. Attualmente, non esiste una soluzione chiara e definitiva, pertanto le seguenti note, basandosi su recenti sviluppi giurisprudenziali, tracciano i confini della questione, proponendo una strategia per affrontarla.

La possibilità per gli imprenditori cessati di risolvere la situazione di crisi, spesso originata da debiti collegati sia all’attività imprenditoriale sia alla vita privata, attraverso le procedure del sovra indebitamento rappresenta una tematica estremamente delicata e di difficile soluzione.

In questo complesso scenario, assume particolare rilevanza la pronuncia della Cassazione, 26 luglio 2023 n. 22699, che influenza l’interpretazione e l’applicazione complessiva del quadro normativo delineato dal Codice della crisi di impresa (CCII), pur non mancando difformi letture.

La richiamata giurisprudenza di legittimità trae origine da un rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte d’Appello di Firenze a sua volta chiamata ad esaminare un reclamo presentato contro il decreto di inammissibilità di una domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ai sensi dell’art. 67 CCII. La domanda riguardava in via principale la ristrutturazione dei debiti di un consumatore, e in via subordinata la possibilità di accedere al concordato minore, di cui all’art. 74 del CCII.

– Il caso riguardava un imprenditore individuale nel settore dell’edilizia, cancellato dal registro delle imprese nel 2011 per le difficoltà finanziarie, successivamente ricollocatosi come lavoratore dipendente fino al 2018 anno in cui inizia a percepire la pensione per raggiungimento dell’età.

Le questioni pregiudiziali sollevate alla Cassazione dalla Corte d’Appello di Firenze, da un punto di vista di diritto sostanziale, riguardano la possibilità che la qualificazione giuridica di consumatore possa essere estesa anche al soggetto che, pur avendo avuto una precedente attività imprenditoriale, presenti una proposta riguardante la ristrutturazione dei debiti di natura mista, ai sensi dell’art. 67 del CCII. In subordine a tale richiesta, il debitore richiedeva di accedere al concordato minore di tipo liquidatorio per risolvere la situazione debitoria complessiva.

La giurisprudenza in commento osserva che la definizione di consumatore nel CCII, di cui all’art. art. 2 co. 1 lett. e) è solo minimamente cambiata rispetto all’analoga disposizione contenuta nell’art. 6, co. 2, lett. b) della L. 3/2012, in tema di sovraindebitamento. La richiamata osservazione consente di ritenere ancora attuale l’interpretazione della Cass. 1869/2016 in base alla quale la nozione di consumatore che può accedere al piano di risanamento, comprende anche il professionista o l’imprenditore minore, purché non residuino o, comunque, non siano più attuali le obbligazioni sorte da tali attività e confluite nell’insolvenza.

Secondo la Cassazione, in base alla sentenza n. 1869/2016, la nozione di “consumatore abilitato al piano”, che si riferisce alla ristrutturazione del debito e all’uso di altre prerogative previste dalla Legge n. 3 del 2012, ammette anche la possibilità che il debitore sia un professionista o un imprenditore, a condizione che tali obbligazioni non interferiscano con l’insolvenza o non siano più attuali; la definizione si applica solo ai debitori persone fisiche; i debitori dovrebbero avere contratto debiti che non sono ancora stati pagati al momento della proposta del piano di ristrutturazione, per soddisfare esigenze personali, familiari o sociali, ma che non sono collegati direttamente a un’attività imprenditoriale o professionale dell’individuo; fanno eccezione solo i debiti specificamente menzionati nell’articolo 7, co. 1, terzo periodo, della L. 3/2012, che devono essere pagati nella loro forma originale.

La Sentenza di Cass. 22699/2023, riprendendo i richiamati passaggi della giurisprudenza del 2016,

stabilisce che la qualificazione di “consumatore” o “professionista” in una procedura concorsuale dipende dalla natura delle obbligazioni da ristrutturare. Le obbligazioni, ovviamente, saranno state assunte in un passato più o meno recente; quindi, è necessario effettuare una retrospettiva analisi per determinare se, al momento dell’assunzione di tali obbligazioni, il debitore agisse in qualità di consumatore o professionista. In sintesi, il consumatore può accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti, pur avendo svolto attività imprenditoriale o professionale, a condizione che tali debiti siano associati alla sfera personale, sociale, familiare del soggetto e, quindi, che non riguardino la sfera imprenditoriale o professionale. In relazione alla possibilità per il debitore cessato di accedere al concordato minore, la giurisprudenza di legittimità, interpreta in maniera letterale la previsione dell’art. 33 co. 4 del CCII in base al quale: “La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.” L’interpretazione letterale, secondo i giudici, trova fondamento anche nella relazione di accompagnamento al CCII ove si specifica che: “Per risolvere una questione che si era posta nel regime attuale, si specifica, poi, che l’imprenditore cancellato dal registro delle imprese non può fare ricorso né al concordato preventivo, né all’accordo di ristrutturazione, con conseguente inammissibilità della domanda presentata”. Va notato che la Corte Suprema di Cassazione aveva già affrontato la questione nella sentenza n. 4329/2020, conformandosi a precedenti giurisprudenziali di legittimità, tra cui la Cass. 21286/2015. In tale contesto, è stato evidenziato come il raccordo tra l’articolo 2495 del cod. civ. e l’art. 10 della Legge Fallimentare (l.f.) impedisca al liquidatore di una società cancellata dal registro delle imprese, qualora si sia richiesto il fallimento entro un anno dalla cancellazione, di proporre un concordato preventivo. Questa procedura, diversamente dalla procedura di liquidazione, è finalizzata alla risoluzione delle crisi aziendali, e pertanto, la scelta deliberata di porre fine all’attività imprenditoriale, requisito necessario per la cancellazione, esclude automaticamente la possibilità di avvalersi del concordato preventivo, poiché il bene che tale procedura dovrebbe sanare non esiste più.

Inoltre, è importante notare che la cancellazione dal registro delle imprese si applica anche alle imprese individuali, secondo i criteri definiti dall’articolo 2 del DPR 247/2004, e può essere attivata d’ufficio in caso di decesso dell’imprenditore, irreperibilità dell’imprenditore o mancata attività gestionale per tre anni consecutivi. In conclusione, il CCII non sembra innovare quanto precedentemente previsto in tema di accesso agli strumenti di ristrutturazione dei debiti del consumatore, nonché del concordato minore. Ciò consente di considerare ancora pienamente valida la giurisprudenza di legittimità formatasi nel vigore delle disposizioni della l.f., avendo il correttivo inteso estendere espressamente tale principio anche al concordato minore. La richiamata lettura della Cass. 22699/2023 afferma da ultimo che negare l’accesso allo strumento concordatario non significa escludere il debitore dalla possibilità di ottenere l’esdebitazione, che anzi nel CCII è un vero e proprio diritto, ai sensi dell’art. 282 CCI, con il decorso di un triennio dall’apertura della liquidazione controllata, senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria.

L’interpretazione di legittimità appena illustrata sembra quindi segmentare in maniera netta i soggetti che possono accedere al concordato minore da quelli che possono accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore.

La segmentazione dipende dal tipo di debiti che hanno messo in crisi il soggetto, si riferisce al concordato minore per debiti relativi alle imprese agricole, imprese minori, start up innovative e professionisti. Per quanto riguarda la ristrutturazione dei debiti per obbligazioni estranee, questa si riferisce all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana e professionale.

La liquidazione controllata è un procedimento equivalente alla liquidazione giudiziale che ha lo scopo di liquidare il patrimonio del consumatore, del professionista, dell’imprenditore agricolo, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza. La liquidazione controllata inoltre può condurre alla completa esdebitazione del soggetto, realizzando i propositi della Direttiva Insolvency.

La liquidazione giudiziale non pone particolari limiti di accesso secondo la giurisprudenza di legittimità per cui possono accedervi anche i debitori che presentano una situazione debitoria mista, ossia in parte legata all’attività imprenditoriale o professionale, in parte attinente alla vita privata del consumatore.

La giurisprudenza di merito è frequentemente chiamata a decidere in relazione all’ammissibilità alle procedure di sovraindebitamento per individui, precedentemente coinvolti in attività imprenditoriali o professionale (ex imprenditori individuali o professionisti). Tra gli imprenditori vanno inclusi sia quella sottosoglia (imprese minori) sia i soggetti sopra soglia, che hanno interrotto l’attività da oltre un anno e, di conseguenza, non sono più soggetti a liquidazione giudiziale.

L’impresa minore non soggetta a liquidazione giudiziale deve avere i seguenti caratteri: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000.

I tribunali, i cui giudicati non si conformano alla lettura interpretativa della decisione della Corte di cassazione n. 22699/2023, hanno prevalentemente adottato una posizione flessibile, consentendo l’accesso sia al concordato minore che al piano di ristrutturazione del consumatore anche per gli individui precedentemente coinvolti in attività imprenditoriali o professionali, con situazione debitoria composita. Tale approccio si basa sulla volontà di fornire agli ex imprenditori o professionisti la possibilità di affrontare situazioni di crisi attraverso strumenti di natura negoziale, evitando un’esclusione illogica e incoerente da procedimenti di ristrutturazione basati su negoziazioni per coloro che hanno cessato le proprie attività. Di seguito si illustrano recenti interpretazioni emerse dalla giurisprudenza di merito relative all’ammissibilità alle procedure di sovraindebitamento per gli individui precedentemente coinvolti in attività imprenditoriali o professionali, le quali sono state successivamente interrotte.

Il Tribunale di Reggio Emilia ha affrontato la questione cruciale della ristrutturazione dei debiti dei consumatori, anche quando la proposta comprende debiti di origine imprenditoriale. In base all’orientamento emerso dal Tribunale di Reggio Emilia, la chiave per l’ammissione della domanda di ristrutturazione dei debiti di un consumatore, in presenza anche di debiti imprenditoriali, è data dalla percentuale prevalente di debitoria avente origine privata. Pertanto, attraverso il criterio della prevalenza se i debiti personali costituiscono la maggior parte dell’ammontare, il consumatore avrà accesso alla procedura di ristrutturazione del debito del consumatore e potrà così ristrutturare l’intera debitoria con un’unica procedura.

Il tribunale stabilisce che la determinazione della qualifica imprenditoriale o professionale, al fine di identificare l’adeguato strumento tra il concordato minore e il piano di ristrutturazione, che il debitore può impiegare per risolvere la crisi finanziaria associata al sovraindebitamento, deve avvenire al momento in cui il soggetto richiede l’accesso alla procedura. In modo simile, è essenziale valutare la qualifica di “consumatore” al momento in cui viene presentata la richiesta di accesso a una procedura per la soluzione della crisi da sovraindebitamento. Tuttavia, precisa il Tribunale che, all’interno del gruppo di soggetti ammessi alla ristrutturazione del debito in qualità di consumatori, vanno inclusi anche coloro che desiderano ristrutturare i debiti connessi sia alla loro precedente attività imprenditoriale o professionale, sia a interessi personali estranei alla professione o all’impresa. Tale interpretazione, rileva il Tribunale di Napoli, trova sostegno nella decisione della Cassazione con la sentenza n. 1869/2016. In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che la qualifica di consumatore può riguardare colui che non è mai stato un imprenditore o un professionista, ma anche colui che ha avuto la qualifica di imprenditore o professionista in passato, ma che attualmente non lo è più, nonostante abbiano debiti ancora legati all’attività imprenditoriale o professionale precedente. Il tribunale di Napoli ricava, dall’esame complessivo delle disposizioni, una seconda concezione di consumatore e, precisamente, quella del soggetto che regoli con il piano debiti inerenti la propria attività di impresa e i propri bisogni di natura personale e familiare, nel caso in cui lo squilibrio patrimoniale, economico sia derivato esclusivamente, in ottica eziologica, da obbligazioni assunte per realizzare interessi di natura personale o familiare determinando in questo modo una insolvenza qualificata. In altri termini, la giurisprudenza in commento, ammette che un imprenditore cessato possa accedere al piano di ristrutturazione del consumatore, qualora abbia sia debiti civili sia debiti commerciali o professionali, qualora la causa dell’insolvenza sia collegata ai debiti personali.

Il Tribunale di Genova ha sostenuto che solo la liquidazione controllata è in grado di dirimere i potenziali conflitti tra i creditori di debiti ibridi, con natura civile (privata) e natura commerciale o imprenditoriale. In alternativa i creditori personali, non contemplati, non avrebbero garanzia se il debitore scegliesse il concordato minore. In maniera analoga non è ammissibile un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore che contempli la ristrutturazione dei debiti di origine imprenditoriale, in quanto l’articolo 2, co. 1, lett. e) stabilisce inequivocabilmente che il presupposto di ammissibilità della procedura è rappresentato esclusivamente dall’estraneità dei debiti rispetto alle attività imprenditoriali o professionali.

In senso negativo sulla possibilità di ristrutturare sia debiti civili sia debiti professionali o imprenditoriali con il piano di ristrutturazione del consumatore si è espresso anche il Tribunale di Bologna.

Il Tribunale ha osservato che il soggetto con debiti pendenti, aventi sia natura imprenditoriale o professionale che privata, non può accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore. La restrizione è necessaria perché consentire l’accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, anche solo per i debiti privati, violerebbe le norme relative al concorso dei creditori nelle procedure concorsuali e andrebbe in contrasto con l’art. 2740 cod. civ., creando un pregiudizio per i creditori non inclusi nel piano all’intero patrimonio del debitore. Inoltre, non è possibile sostenere che un consumatore che non svolge più un’attività professionale o imprenditoriale abbia sempre accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, indipendentemente dalla natura delle obbligazioni. L’art. 66 del CCII, in tema di procedure familiari, specifica che “quando uno dei debitori non è un consumatore, al progetto si applicano le disposizioni della sezione III del presente capo” il che si riferisce alle disposizioni sul concordato minore. Quindi, sostiene il Tribunale, non è chiaro perché, nel caso di obbligazioni miste che comprendono aspetti consumeristici e aspetti legati all’attività professionale o imprenditoriale, si dovrebbe consentire al (singolo) soggetto di risolvere la crisi attraverso la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

Il Tribunale di Ancona ha dimostrato apertura al concordato minore anche per l’imprenditore cessato, nonostante quanto disposto letteralmente dall’art. 33 co. 4 del CCII. I giudici affermano che l’avvenuta cancellazione dell’imprenditore persona fisica dal registro delle imprese non dovrebbe costituire un

ostacolo all’accesso al concordato minore. Al contrario, l’impedimento all’accesso al concordato minore in queste circostanze porterebbe a una limitazione ingiustificata delle opzioni disponibili per la ristrutturazione del debito. Ciò obbligherebbe l’imprenditore, in pratica, a intraprendere il percorso di liquidazione controllata, escludendolo in modo illogico e incoerente dagli strumenti di ristrutturazione basati su negoziazioni, nonché con la stessa ratio legis del CCII e della Direttiva Insolvency, recepita nel Codice. L’esclusione dal concordato minore dell’imprenditore cessato sarebbe in aperto contrasto con lo spirito sottostante alla legge, che mira a fornire agli imprenditori persona fisica strumenti flessibili per affrontare situazioni di difficoltà finanziaria, evitando la liquidazione forzata delle loro attività. Il concordato minore è uno di questi strumenti, progettato per consentire una ristrutturazione negoziata dei debiti, in modo da consentire agli imprenditori di mantenere e riorganizzare le loro attività, preservando così posti di lavoro e contribuendo alla ripresa economica. Pertanto, la cancellazione dal registro delle imprese non dovrebbe essere un ostacolo insormontabile all’accesso al concordato minore, ma piuttosto dovrebbe essere considerata una delle vie possibili per agevolare il processo di ristrutturazione dei debiti di un imprenditore persona fisica.

Il Tribunale di Treviso ha rilevato che il ricorrente in situazione di sovraindebitamento, la cui posizione debitoria deriva da obbligazioni di fonte imprenditoriale, pur non svolgendo attualmente attività di impresa, non può essere assimilato al consumatore (conformemente a Tribunale di Ancona 10 gennaio 2023). Il debitore pur avendo una esposizione debitoria superiore a 500.000 euro rientra nella categoria residuale prevista dall’art. 2 co. 1 lett. c) del CCII “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale”, pertanto può accedere al concordato minore.

Il tribunale ha ritenuto ammissibile l’accesso al concordato minore di un ex socio illimitatamente responsabile di società di persone, dichiarata fallita e cancellata dal registro delle imprese, nonché ex imprenditore con ditta cessata. Il giudice ritiene che detta circostanza non sia ostativa all’apertura della procedura, nonostante il disposto di cui all’art. 33 co. 4 del CCII, in base al quale “la domanda di accesso alla procedura di concordato minore presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”. Tale disposizione, deve intendersi riferita al solo imprenditore collettivo, la cui cancellazione dal registro delle imprese determina la estinzione ai sensi dell’art. 2495. L’imprenditore individuale che pone fine alla propria attività, al contrario, semplicemente cessa la sua attività di impresa e, tecnicamente, è tenuto ad iscrivere la cessazione nel Registro delle imprese entro 30 giorni, come prevede l’art. 2196 cod. civ., con la iscrizione della cessazione, diversamente dalla cancellazione, non cessa di esistere ma semplicemente perde la qualità di imprenditore, restando un debitore che sopravvive alla cessazione della ditta.

Secondo il Tribunale di La Spezia l’imprenditore individuale che ha cessato l’attività può accedere al concordato minore, nonostante quanto previsto dall’art. 33 co. 4 CCII.

La motivazione trova ragione in diritto in quanto l’art. 74 co. 1 CCII accorda la possibilità di formulare una proposta di concordato minore ai debitori di cui all’art. 2 co. 1 lett. c), in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore. Pertanto, ad eccezione del consumatore, i soggetti rientranti nella previsione normativa sono il professionista, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, la start-up innovativa e “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale/liquidazione coatta amministrativa” o altre procedure liquidatorie previste dal cod. civ. o da leggi speciali in caso di crisi o insolvenza.

In particolare, per quanto di interesse, deve intendersi assoggettabile a concordato minore anche l’imprenditore individuale cessato, perché seppur astrattamente assoggettabile a liquidazione giudiziale, non lo è dopo un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese (se sopra soglia) o in ogni caso se impresa minore e in questo caso ben può accedere al concordato minore liquidatorio. L’art. 33 ultimo comma CCII prevede l’inammissibilità della domanda di concordato per l’imprenditore cancellato dal registro delle imprese, da intendersi come imprenditore collettivo, che con tale adempimento si estingue ai

sensi dell’art. 2495 c.c. Una interpretazione contraria impedirebbe all’imprenditore individuale che voglia raggiungere un accordo con i propri creditori per debiti maturati nell’attività d’impresa, sia l’accesso allo strumento di regolazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 67 CCII, sia il concordato minore.

Il Tribunale di Milano ha affrontato la questione dell’ammissibilità di un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ai sensi degli articoli 67 del CCII da parte di un imprenditore cessato che presenta una debitoria mista, in parte consumeristica in parte di natura imprenditoriale. La conclusione cui giunge il tribunale esclude la possibilità di accedere al piano del consumatore in caso di debitoria avente natura promiscua, raggiungendo tale approdo interpretativo facendo leva su una serie di argomentazioni.

In primo luogo, l’accesso al piano del consumatore, secondo il Tribunale, non può essere ammesso nel caso parte significativa del debito ha natura non consumeristica, caratterizzandosi, nel caso specifico, da debiti nei confronti dell’erario, conseguente all’ex- esercizio dell’attività commerciale. L’art. 2, lett. e) del CCII definisce il “consumatore” come una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III (SNC), IV (SAS) e VI (SAPA), titolo V, libro V cod. civ., per i debiti estranei a quelli sociali.

Tale definizione denota chiaramente la natura esclusivamente consumeristica dei debiti ammissibili alla ristrutturazione del consumatore, ai sensi dell’art. 67 del CCII. Supporto a tale ricostruzione viene fornito secondo il Tribunale milanese dalla giurisprudenza del Tribunale di Bologna (30 dicembre 2022) e del Tribunale di Genova (16 novembre 2022), in cui si è respinta l’interpretazione per cui all’ex imprenditore dovrebbe essere concessa la possibilità di accedere a strumenti di regolazione della crisi alternativi alla liquidazione controllata.

Inoltre, sul piano sistematico, l’art. 66 del CCII, in tema di procedure familiari, stabilisce che, quando uno dei debitori non è un consumatore, si applicano le disposizioni della sezione III dello stesso codice, ossia il concordato minore. In tal senso, se in caso di obbligazioni miste tra membri della stessa famiglia, il CCII preclude l’accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, sarebbe incoerente permettere tale accesso in caso di indebitamento misto gravante su un unico soggetto.

L’interpretazione del ricorrente non sembra inoltre trovare sostegno nei principi della Direttiva Insolvency (2019/1023), che mira a facilitare l’accesso all’esdebitazione integrale. La Direttiva auspica che gli Stati membri estendano l’applicazione delle disposizioni relative all’esdebitazione anche al consumatore, sottolineando la necessità di un’opzione che consenta l’esdebitazione completa. In linea con la Direttiva, il CCII assicura l’accesso all’esdebitazione anche in caso di liquidazione controllata ai sensi dell’art. 268 del CCII, decorso un triennio dall’apertura della procedura liquidatoria, come previsto dagli articoli 278 e seguenti del CCII.

Il Tribunale di Milano ritiene che le l’interpretazione trovi conferma nelle argomentazioni espresse dalla sentenza di Cass. 22699/2023 che, richiamando la massima della Cassazione 1869/2016, ha affermato che il consumatore abilitato al piano è solo il debitore persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi personali, familiari o relativi all’estrinsecazione della sua personalità sociale, ma senza riflessi diretti in un’attività imprenditoriale o professionale. Pertanto, chi inizia una procedura concorsuale deve essere qualificato come consumatore o professionista in base alla natura delle obbligazioni che intende ristrutturare.

Il debitore, ex imprenditore o professionista, può trovarsi in situazione di insolvenza per causa congiunta dell’insuccesso nella attività professionale o imprenditoriale, concomitante con una esposizione personale di tipo consumeristico. Sorge quindi il quesito su come risolvere una tale situazione di sovraindebitamento.

I tribunali di merito hanno seguito due diverse tesi. Nella fattispecie, la prima aperta a un possibile utilizzo degli strumenti di regolazione della crisi, quali il concordato minore e il piano del consumatore, in caso di soggetti con una debitoria mista; la seconda restrittiva che riconosce solo la via della liquidazione controllata.

Questa seconda lettura sembra aver trovato conferma recentemente nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 22699/2023), che a sua volta si riferisce a un precedente del 2016 (Cass. 1869/2016). Tale precedente è stato valorizzato dal tribunale di Napoli ammettendo, invece, l’accesso alla ristrutturazione del debito al soggetto la cui insolvenza trova causa nella difficoltà a far fronte ai debiti personali di natura consumeristica.

Risulta quindi aperta la via per richiedere al Tribunale di valutare ipotesi di sovraindebitamento in cui la debitoria si presenta mista, non essendo la giurisprudenza giunta a un approdo definitivo. Nelle richieste di accesso alle procedure di sovraindebitamento si potranno utilizzare le argomentazioni dei Tribunali di merito che hanno ritenuto possibile ammettere a una procedura d il soggetto con debiti di natura

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