“WORLD PRESS PHOTO EXHIBITION 2024”, A PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI IN ROMA.

Fino al 9 giugno 2024 a Palazzo delle Esposizioni è presente la mostra del “World Press Photo Exhibition 2024”, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e dall’Azienda Speciale Palexpo, ideata dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo, in collaborazione con 10b Photography.

In anteprima nazionale sono esposte le foto vincitrici dell’autorevole contest di fotogiornalismo che dal 1955 premia ogni anno i maggiori fotografi professionisti costruendo in tale modo la storia del giornalismo visivo internazionale.

La rassegna esibisce le migliori e più rilevanti fotografie documentarie scelte da una giuria indipendente.

I quattro vincitori finali sono stati selezionati tra 24 vincitori regionali 2024, per ciascuna delle quattro categorie: Singole, Storie, Progetti a lungo termine e Open Format per ognuno dei sei continenti del mondo: Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, America del Sud, sud est asiatico ed Oceania.

Oltre alle sei menzioni d’onore conferite ogni anno, la giuria ha stabilito di inserire nella attuale edizione, esattamente la 67°, due menzioni speciali.

Nel concorso hanno partecipato più di 3.851 fotografi di 130 Paesi con 61.062 fotografie e contributi, come già citato, Open Format.

Gli scatti descrivono la complessità e la profondità del lavoro fotogiornalistico, evidenziando attraverso immagini spettacolari, spesso scioccanti, le problematiche che la nostra società fronteggia ogni giorno.

I lavori premiati infatti trattano alcune delle più gravi tematiche odierne, dalle guerre devastanti e i disordini politici alla crisi climatica e il passaggio sicuro di migranti. L’esposizione con tali storie significative vuole coinvolgere il pubblico mediante una più intensa comprensione e consapevolezza degli avvenimenti contingenti e simultaneamente sottolineare l’entità della libertà di stampa.

A vincere il World Press Photo of the Year è stato il palestinese Mohammed Salem con la foto Una donna palestinese stringe il corpo di sua nipote, scattata il 17 ottobre 2023 nell’obitorio dell’ospedale Nasser. L’immagine rappresenta una donna palestinese Inas Abu Maamar, 36 anni, mentre culla il corpo di sua nipote Saly, 5 anni, rimasta uccisa insieme ad altri quattro membri della famiglia, quando un missile israeliano colpì la loro abitazione a Khan Younis, Gaza. Mohammed Salem descrive questo scatto come “un momento forte e triste che riassume il significato più ampio di quanto stava accadendo nella Striscia di Gaza”.

Ricordiamo che il conflitto israeliano palestinese è determinato da una guerra dei “sei giorni” iniziata nel 1967 continuando da oltre cinquant’anni. Da allora la libertà di sviluppo dei territori occupati palestinesi e di movimento per la popolazione che li abita viene severamente limitata. Il blocco israeliano è in vigore dal 2007 e quindi dura da quasi sedici anni.

L’80% degli abitanti riceveva assistenza umanitaria già prima della nuova fase bellica in atto dal 7 ottobre 2024. Al 13 febbraio 2024 le vittime palestinesi erano 28.576 ed i feriti 68.291. Mentre l’ONU chiede ai suoi membri di non fornire armi ad Israele, la risposta di Oxfam e dei partner a Gaza ha attivato la distribuzione di denaro, cibo, coperte, abiti, generi di prima necessità e altro ancora.

Il premio World Press Photo Story of the year è stato dato alla fotografa Lee-Ann Olwage di Geo per il progetto Valim-babena ambientato in Madacascar. Le immagini documentano la vita di Paul Rakotozandriny, “Dada Paul”, molto anziano, che convive con la demenza da 11 anni ed è assistito da sua figlia Fara Rafaraniriana. In Madacascar, l’assenza di sensibilizzazione del pubblico in relazione alla demenza fa in modo che le persone che presentano sintomi di perdita della memoria siano spesso stigmatizzate. La storia di Fara e Dada Paul ben illustra il principio del valim-babena: il dovere dei figli adulti di aiutare i propri genitori. Nella lingua malgascia è reputata una manifestazione d’amore, la restituzione di un debito morale per la cura che i genitori rivolgono alla crescita dei figli.

Il venezuelano Alejandro Cegarra, The New York Times/Bloomberg, ha ricevuto il premio World Press Photo Long-Term Project con l’opera I due muri. Forte della sua realtà di migrazione, dal Venezuela al Messico nel 2017, il fotografo ha cominciato questo progetto nel 2018 per descrivere le condizioni delle comunità di migranti molto fragili e deboli e sottolineare con rispetto e sensibilità, la loro resilienza.

Dal 2019, il Messico si è trasformato da un Paese che accoglieva migranti e richiedenti asilo al confine meridionale in una regione che adotta dure e severe politiche di immigrazione quasi analoghe a quelle degli Stati Uniti. L’immigrazione e le politiche estere utilizzate dalle differenti amministrazioni statunitensi, i protocolli Covid-19 e i tumulti politici ed economici nel Centro e Sud America contribuiscono alla crisi vigente ai confini del Messico.

Tali condizioni producono nelle famiglie di migranti delle città di confine violenza, corruzione e condizioni precarie. Pertanto ricordiamo che la guerra che il Messico combatte dal 2006 contro i cartelli della droga nel 2023 ha creato più di 7.000 morti.

Felipe Dana e Renata Brito, entrambi nati in Brasile, espongono la foto Alla deriva. Nel maggio 2021 una barca colma di cadaveri provenienti dalla Mauritania è stata rinvenuta al largo delle coste del’isola caraibica di Tobago. Ma chi erano questi uomini e perché si trovavano dall’altra parte dell’Oceano Atlantico? Due giornalisti visuali hanno investigato e hanno individuato una vicenda di migranti venuti dall’Africa occidentale che cercano di giungere nell’Europa tramite una rotta atlantica sempre più nota, ma decisamente pericolosa.

Molti non arrivano mai, le loro imbarcazioni vanno alla deriva per le rischiose correnti che poi spingono queste navi fantasma nei Caraibi. Radunando prove forensi e, con il sussidio della loro rete di risorse sparse su tre continenti, i giornalisti hanno individuato uno degli uomini, Alassane Sow, dando sollievo alla sofferenza della sua famiglia a Mali.

Il dramma dei migranti non è un’invasione ma forte disperazione, dolore, fame, paura, miseria che spesso si trasforma in una strage soprattutto nelle nostre coste, perché l’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea più facilmente raggiungibile. Rischiano la morte su barconi sgangherati, su imbarcazioni di fortuna spesso vecchi pescherecci, barche in vetroresina o gommoni. Le vittime in mare sono aumentate anche per l’evolversi delle rotte che negli ultimi anni sono diventate più lunghe e rischiose.

World Press Photo Open Format Award è stato assegnato a Julia Kochetova con La guerra è intima, uno scatto che collega immagini fotografiche con poesia, clip audio e musica. La fotografa ucraina ha attuato un sito web che unisce il fotogiornalismo con lo stile documentario di un diario personale per mostrare al mondo l’esperienza di vivere con i conflitti come realtà quotidiana. Il progetto offre non solo uno scorcio intimo sulla vita sotto assedio, ma anche uno sguardo su come la guerra viene elaborata e su come, nonostante la situazione drammatica, le esperienze possano essere condivise al di fuori dei confini.

C’è poi il lavoro di Johanna Maria Fritz, tedesca, nata nel 1994: Diga di Kakhovka, inondazione in una zona di guerra. Il 6 giugno 2023, alcune esplosioni hanno leso il muro della diga di Kakhovka, controllata dai russi, nell’Ucraina sudorientale, provocando vaste inondazioni a Kherson, a valle del fiume Dnipro. Secondo i media internazionali la breccia nella diga ha procurato l’allagamento di circa 17.500 case sia sulla sponda occidentale del fiume controllata dagli ucraini, sia su quella orientale, sorvegliata dai russi, sopprimendo centinaia di civili. In seguito l’Ucraina ha indagato sulla distribuzione e ha avviato un caso di ecocidio contro la Russia presso la Corte penale internazionale. La fotografia manifesta come la militarizzazione del territorio crei un forte effetto sull’umanità. La Fritz ha realizzato tale scatto per conto di Die Zelt.

Più che mai oggi il tema dei conflitti è ancora più presente nelle nostre vite. Le operazioni belliche non solo sterminano e mutilano ma lasciano i minori con traumi fisici e psicologici gravi, bloccando il loro diritto all’infanzia, alla socializzazione, al gioco e alla educazione, minando il loro sviluppo, e nel lungo periodo, il loro futuro e quello della comunità in cui viviamo.

Nelle guerre contemporanee, oltre a ciò, assistiamo sempre in maniera più frequente alla proibizione di accesso umanitario per beni primari, i bambini infatti soffrono di malnutrizione, fame cronica, rischiando la loro esistenza e il loro futuro.

Nei territori dei conflitti vi è la radicale riduzione delle capacità economiche delle famiglie per l’improvvisa perdita di averi, possedimenti e opportunità di remunerazione. Tutto ciò causa lavoro minorile, sfruttamento sessuale, spaccio, consumo di stupefacenti e reclutamento in gruppi armati.

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