Sostegno per cosa?

Cosa vuol dire essere un insegnante di sostegno? Forse la risposta a questa domanda può essere rintracciata nell’espressione stessa “insegnante di sostegno”. È evidente che si tratta di una dicitura ambigua. L’insegnante di sostegno è una figura che dà sostegno psicologico e relazionale allo studente con Bisogni Educativi Speciali oppure è un’insegnante che dà sostegno agli altri insegnanti per poter adeguatamente mediare i contenuti disciplinari rendendoli fruibili allo studente a cui è stato affidato? In questa direzione sembra muoversi l’altra dicitura, più lunga e completa, che descrive questa figura come “insegnante specializzato in attività di sostegno didattico per gli studenti con disabilità”. Anche in quest’ultima espressione l’accento è evidentemente posto sull’aspetto didattico-disciplinare. Qualcuno potrebbe rispondere che tale ambiguità di fatto non esiste poiché l’insegnante di sostegno, in fondo, cerca di realizzare entrambe queste complesse finalità, in un’ottica di intervento strutturato ad un doppio livello: affettivo-psicologico e didattico-disciplinare. Eppure sono noti i limiti dell’insegnante di sostegno imputabili sia alla sua formazione sia alle sue mansioni:

1) Non possedendo in atto tutto lo scibile umano sarebbe impossibile che lo stesso insegnante possa padroneggiare i contenuti disciplinari di tutte le scuole in cui si troverà ad operare (né il reclutamento attuale degli insegnanti di sostegno tiene conto della loro rispettiva formazione). Un sostegno didattico trova quindi un limite intrinseco nella stessa formazione dell’insegnante che, essendo giustamente limitata, non gli consente di essere a pieno titolo una figura di sostegno onnisciente sul piano didattico;

2) Non essendo autorizzato a mettere in atto interventi e tecniche psicoterapiche e non essendo autorizzato nemmeno a somministrate test psicologici e psico-diagnostici anche il sostegno psicologico risulta, a ben vedere, fortemente diminuito nelle sue possibilità.

Abbiamo dunque due interpretazione della dicitura “insegnante di sostegno”, entrambe sì coerenti in se stesse ma, nella pratica dell’attività effettiva di questa figura, irrealizzabili. C’è però una terza strada, non più importante ma più fondamentale rispetto a queste due appena vagliate, e che è non solo alla portata dell’insegnante di sostegno, ma si configura – almeno a parere mio – come il obiettivo primario. Si tratta di un sostegno che si colloca primariamente sul piano relazionale. Prima di ogni intervento di mediazione dei contenuti e prima di ogni osservazione e valutazione del suo comportamento, ciò che davvero è importante per la riuscita della missione educativa è la capacità di costruire con lo studente con disabilità una base relazionale solida e instaurare un’atmosfera di fiducia e di comprensione. È importanti, detto altrimenti, che lo studente percepisca fin da subito di sentirsi accolto e rispettato (rimando per questo aspetto alle lucide riflessioni di Carl Rogers) e che sia quindi a suo agio nella relazione autentica con il “proprio insegnante”. Questa è la dimensione più fondamentale e umana dell’insegnante di sostegno che funge da base per l’intero suo lavoro, dall’inizio alla fine. Accade sovente che l’insegnante di sostegno sia difatti l’unica figura con cui lo studente con disabilità s’interfaccia nelle ore scolastiche, con cui passa i minuti di pausa ricreativa e con cui dialoga di questioni non immediatamente riconducibili ad argomenti curriculari. Tutto ciò non è un “di più” rispetto alle vere mansioni dell’insegnante di sostegno né si configura come una deviazione rispetto a qualche altro scopo che dovrebbe essere più prioritario e importante. Io ritengo invece che qualora l’insegnante di sostegno riesca a fare tutto ciò con naturalezza e autenticità abbia già costruito le condizioni ideali per poter realizzare la sua missione educativa. Sarebbe forse più corretto dire che è proprio questa, in fondo, la sua missione educativa, nella misura in cui ogni conoscenza e ogni contenuto culturale risulta nullo se la dimensione umana non fiorisce, e tale dimensione fiorisce e si realizza soltanto grazie a relazioni significative che infondo fiducia, gratificazione e sicurezza nelle proprie capacità.

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