Ryan come Alfredino

La notizia di un bimbo precipitato in un pozzo artesiano in Marocco sarebbe potuta passare inosservata. Invece, letta di fretta nei TG nazionali, colpisce forte al plesso solare. È ancora nella memoria collettiva il ricordo di un altro bimbo, che oggi sarebbe un maturo signore di 46 anni, se la sua vita non fosse stata inghiottita dal fango.

Alfredino Rampi caduto, giocando, nella gola buia e stretta del terreno, rimasto intrappolato per 3 giorni al freddo, oggetto di vani, rocamboleschi, improvvisati tentativi di soccorso, finché il suo cuoricino, già malato, non si è arreso.

Per 18 ore di diretta televisiva, 40 anni fa, oltre 21 milioni di italiani e centinaia di curiosi assiepati a ridosso del cratere, hanno seguito impazienti i tentativi per recuperare il bambino e assistito agli errori di valutazione, rivelati poi fatali. Intervenne anche l’allora Presidente della Repubblica, il Pertini, nonno buono, che dialogò col bimbo per trasmettergli fiducia. Speleologi, nani, contorsionisti che acciuffavano le membra che sgusciavano via, scivolando e sprofondando la speranza di salvezza.

Da lì, la cronaca a reti unificate ha segnato un’epoca: l’inizio della TV del dolore, della curiosità morbosa collettiva che ancora alza l’audience nei racconti delle altrui disgrazie, partecipi, ma sollevati che ad altri sia capitato. E non a noi.

Così oggi, il visino paffuto e schermato del piccolo Ryan ci suscita sentimenti contrastanti: empatia verso lo smarrimento di quei genitori, gioia che quell’agonia non ci tocchi da vicino…

In questi tempi di cronaca in diretta, di assuefazione alla violenza, al sopruso e alle guerre on line, in fondo, perché dovremmo nutrire sentimenti diversi dall’indifferenza, rispetto a quei corpicini assiderati, in fuga dalla guerra o dalle salme allineate di decine di migliaia di migranti annegati, mentre cercavano di raggiungere una vita migliore o, talvolta, la sopravvivenza?

Forse perché Ryan, come Alfredino, ci ricorda che siamo ancora in balia dell’angoscia, ma anche della morbosa curiosità che ci ha sospinto all’apatia, che la nostra umanità, anestetizzata, è sprofondata per sempre in quel pozzo pieno di fango a Vermicino o in Marocco. Che noi restiamo ancora a guardare.

La speranza è che ancora alberghi, sopra di tutto, nei nostri cuori, quel barlume di sentimento, il dolore e la rabbia che ancora una volta sia finita così. Male.

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