Riflessioni sullo Smart Working

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sull’accordo tra le parti e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto.

Si aprono quindi una serie di fattispecie su cui definire l’accordo.

Il diritto di disconnessione; il riconoscimento della traslazione dei costi per i consumi, da aziendale a personale; il monitoraggio sulla salute sul lavoro; il diritto-dovere alla formazione; la parità di trattamento economico e normativo rispetto alla modalità in presenza; la previsione di azioni di contrasto ai possibili disagi da isolamento e alienazione (anche per il telelavoro, ancora inattuati).

Sono solo alcuni dei temi su cui fissare nuove regole e ambiti applicativi cui non può rispondersi con il mero invito alla ripresa dell’attività lavorativa in presenza “come nulla fosse”.

È questa l’occasione di velocizzare i processi, di rafforzare la collaborazione e interazione reciproca tra colleghi e tra settori diversi, di accelerare la dematerializzazione documentale, la riconversione verso l’indirizzo tecnologico di residue consuetudini in presenza, di valutare e definire la prestazione lavorativa su criteri di obiettivi, non sul presenzialismo, e dare finalmente attuazione alla L. 81/2017.

Accanto a questi temi generali, ci sono, poi, delle specificità che attengono una analisi di genere.

La severa crisi mondiale, che ha paralizzato l’attività di intere nazioni, e che, d’improvviso, ci ha segregate nelle nostre abitazioni, ha manifestato, nella sua devastante tragicità, l’evidente sperequazione di genere ancora esistente.

Chiamate a rispondere dell’impegno professionale tra le mura domestiche, le lavoratrici hanno dovuto riadattare ritmi ed equilibri familiari senza poter contare su strutture di sostegno. L’attività didattica a distanza, cui i nostri studenti e studentesse non erano consueti; l’esigenza di pulizie accurate per il rischio infettivo, senza poter ricorrere ad aiuto esterno; la necessità di preservare la salute dei nostri anziani, che ha privato intere famiglie del supporto, spesso fondamentale dei nonni; l’alta allerta richiesta negli spostamenti fuori casa, che ha aumentato di difficoltà anche banali operazioni, quali fare la spesa o recarsi in farmacia; l’attività di cura, di rassicurazione, delle proprie e altrui ansie, e la gestione dell’economia domestica, nelle sue varie declinazioni, ha gravato principalmente sulle Donne. Per non pensare alle famiglie monogenitoriali, in cui l’affido è generalmente presso il domicilio materno, o ai casi di violenza domestica, aggravati dalla coatta coabitazione di vittima e carnefice, senza appello e vie di fuga.

La quarantena ha sicuramente squilibrato il peso dell’organizzazione del work life balance.

Le Donne, ancora una volta hanno pagato il prezzo più alto.

La sperequazione nella ripartizione dell’attività di cura e dei compiti domestici, nonché l’identificazione dei ruoli nei rapporti intergenerazionali, all’interno di un concetto di famiglia tradizionale dai contorni sempre più labili, sebbene meno marcata, attesta la persistente resistenza di un modello patriarcale in affanno culturale, ma ben radicato nei bias cognitivi.

Il superamento dei divari di genere, non è una questione di Donne per le Donne, bensì una riflessione politica sulla scelta del modello sociale che vogliamo progettare per il futuro.

Queste gabbie concettuali impediscono non solo alle Donne una libera emancipazione e partecipazione alla cittadinanza attiva, ma si riverberano anche nella prestazione del lavoro.

Un profondo ripensamento anche dei luoghi di lavoro che dovrebbero compendiare le esigenze di benessere psico fisico dei lavoratori/trici e promuovere il senso di appartenenza con il lavoro.

La pandemia, nella sua tragica evidenza, sta offrendo una opportunità unica, concessa a livello mondiale, di riconvertire tempi e modi di lavorare.

Il momento per disegnare una nuova filosofia del lavoro è adesso.

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