Il ratto di Proserpina: dai versi di Ovidio al marmo del Bernini

L’episodio mitico del rapimento di Proserpina è presente sia in Claudiano (De raptu Proserpine) sia in Ovidio (Metamorfosi, V, 385-424) i quali riscrivono in versi questo racconto: il re degli inferi colpito da una freccia scoccata dall’arco di Amore (convinto a sua volta da Venere), volgendo lo sguardo verso un prato sulle rive del lago Pergusa a Enna, vide un gruppo di fanciulle che coglievano dei fiori, tra queste per bellezza spiccava Proserpina, figlia di Cerere, fiore tra i fiori di cui il Dio follemente si invaghisce a tal punto da portala via con sé. A questo punto si scatena una lunga contesa tra la madre della fanciulla e Plutone, che si risolve con l’intervento di Zeus: Proserpina avrebbe trascorso sei mesi all’anno in terra con la madre, e i restanti sei negli inferi con Plutone. Bernini, anche in questo caso, scolpisce il momento culminante dell’azione: Il dio accecato dell’amore che trascina Proserpina nell’Ade, contro il suo volere. Si percepisce chiaramente il movimento, così persuasivo nella sua naturalezza che la pietra sembra davvero prendere vita, soprattutto in un dettaglio, che potremmo definire uno dei più celebri in tutta la storia dell’arte: La mano di Plutone che affonda nella gamba della fanciulla, la quale cerca di divincolarsi, a tal punto da rendere visibile la pressione dei polpastrelli sulla sua superficie. I versi trasferiscono nel marmo la potenza di questo racconto mitico, reso due volte immortale.

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