Non voglio mica la luna

Roma, lo incontro in un ristorante sulla Circonvallazione Gianicolense, non per caso. Un uomo schivo, dai lineamenti che onorano il suo pseudonimo di origine viennese, italiano nelle radici ma internazionale nella sua arte. Mi accoglie al tavolo con un sorriso di circostanza ma, probabilmente, diffidente perché la mia richiesta di intervista lo espone a domande scomode, alle quali non potrà sottrarsi.

Confesso che mi sono preparato sulle domande da porgli dopo aver cercato e trovato agilmente il suo sito su Internet e dopo aver chiesto qualche informazione ai miei preziosi spacciatori di critiche artistiche. Non volendo creare distorsioni nelle sue risposte, rinvio le domande che mi interessano ai momenti in cui la sua attenzione sarà meno alta, cioè quando il pranzo entrerà nel vivo dei piaceri gustativi.

Andreas McMüller, il titolo di fotografo è molto riduttivo, diversi critici d’arte gli attribuiscono il potere creativo della scultura, altri lo paragonano a un pittore. Io cerco l’uomo, i suoi valori, il suo spirito, i suoi fondamenti. Mi aiutano gli antipasti, autentiche leccornie di pesce, che aumentano la convivialità e sciolgono la dialettica dell’uomo. Per non parlare del freddo vinello bianco… Una storia familiare travagliata, segnata nei suoi affetti lontani dalla Seconda Guerra Mondiale. Fascisti, nazisti, americani, ebrei, repressioni, fughe, atti eroici, storie comuni nelle famiglie italiane ma riportate da Andreas con l’acume narrativo di uno sceneggiatore cineasta. Non è particolarmente coinvolto, parla quasi oggettivando fatti storici che riguardano la sua famiglia, tradisce la predisposizione per il futuro, per i numerosi progetti che pullulano la sua mente. Al suo fianco la moglie, esemplare supporto amministrativo e operativo. Una donna molto precisa, di poche parole ma efficaci.

Vive a Reggio Emilia ma le sue origini spaziano dall’Austria alla Puglia. Professione tecnica nella vita quotidiana, artista neoclassico dietro l’obiettivo. Le sue non sono foto incidentali, evocative, episodiche. Ogni suo scatto porge allo spettatore il concetto, l’essenza, l’assoluto del figurato. La realtà non è quella fattuale, quella delle guerre quotidiane, dei disagi sociali, delle imperfezioni, ma quella del suo mondo, un mondo ideale. Arrivano i primi, Andreas non si fa pregare e generosi porzioni di profumati spaghetti riempiono il suo piatto. E anche il mio…

Donne molto belle, donne che avvicina con l’obiettivo per dedurre il concetto di bellezza, un’idea assoluta, priva di imperfezioni, in cui l’esteriorità non è che la forma dell’interiorità. Da qui il paragone, riverente, al grande scultore Canova e la seduzione intellettuale. Ma è solo un filone della sua arte. Si accorge, Andreas, che il discorso sulle foto diventa troppo etereo e così, favorito da una reale spigola che urla il suo sapore agli dei, si spertica, per me ignorante in materia, in una spiegazione tecnica della sua attività artistica. Il click non è altro che il 50% della realizzazione del suo prodotto. Il rimanente del lavoro consiste nel processo di stampa che avviene in condizioni molto particolari. Carte pregiate, inchiostri ricercati, provini infiniti, stampanti ad altissima risoluzione fanno sì che i suoi quadri foto abbiano un valore intrinseco elevatissimo. Non a caso un aforisma sul suo sito recita così: “Se poteva essere fatto meglio, non è un McMuller”. A questo si aggiunge l’IVA, cioè il valore aggiunto dell’immagine (ndr), l’artisticità dello spirito di Andreas: l’opera diventa unica, in tutti i sensi, erga omnes.

Altri filoni, mare, montagna, coppie, Roma, boschi, automobili… In ognuno si nota il timbro di Andreas, precisione, pulizia, definizione, quasi una regola aurea spirituale.

Desidero, però, soffermarmi su una sua foto che mi ha molto colpito e della quale chiedo, al cospetto del finale sorbetto alle visciole, la spiegazione. Il sorbetto, probabilmente contenente alcol, ottenebra la mia memoria e i miei tre lettori non me ne vorranno se descriverò solo le emozioni provate davanti a quella che ritengo il capolavoro di Andreas.

Il soggetto è molto scenografico pur nella sua semplicità. Una scala bianca di un traghetto che sale nel buio notturno fino ad arrivare, alla sommità, alla visione della luna piena.

Il titolo, “Stair to the moon” ( www.andreasmcmuller.art/foto-astratte ) , introduce ai temi sviluppati abilmente dall’artista. Piacevoli contrasti si alternano nell’immagine stampata, a cominciare dai non colori trattati in modo assoluto: il bianco della scala e il nero del buio, pur nella loro logica complementarietà, si ammorbidiscono in una sorta di plasticità che ricorda le sculture di Mirone. La decisa prospettiva della scala si infrange sul buio infinito, per recuperare solo all’ultimo momento una giustificazione, priva di punto di fuga, nella luna. La netta verticalità della scala stessa trova un sollievo nella avvolgente rotondità della luna piena, i cui rilievi fisici conducono alla pareidolia antropomorfica. Dalla solitudine faticosa e altalenante del primo gradino, al raggiungimento della mèta, l’ultimo, una condizione di equilibrata piacevolezza e stabilità.

Il caffè mi congeda dalla persona, un apparente spirito introverso che scherma la sua timidezza dietro l’obiettivo ma che la infrange poi con un sorriso sornione che dura una “posa B”…

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