IL MUSEO NAPOELONICO A ROMA OSPITA LA BELLA MOSTRA: “GIUSEPPE PRIMOLI E IL FASCINO DELL’ORIENTE”.

“Il conte Giuseppe Primoli, il conte delli autografi, come lo chiamo io, poiché possiede tesori d’inedito, dalle sottili epistole di Alessandro Dumas il giovine ai sonetti grandiosi di José de Heredia (….)”. Gabriele D’Annunzio, 14 dicembre 1887.

Nel cuore della Capitale è ubicato Palazzo Primoli, così chiamato perché fu l’abitazione del conte Giuseppe Napoleone Primoli (1851-1927), discendente della famiglia Bonaparte, da cui sentì profondamente il retaggio.

E al piano terra di Palazzo Primoli c’è il Museo Napoleonico, un piccolo museo pieno di fascino poiché riflette la volontà dell’erede di documentare oltre che le gesta napoleoniche la storia privata della casata Bonaparte.

Il conte era figlio di Carlotta Bonaparte, il cui nonno fu Luciano Bonaparte, fratello dell’imperatore e ritenuto il capostipite del ramo romano dei Bonaparte in quanto aveva stabilito la sua residenza nello Stato Pontificio fin dal 1805, anno in cui fu obbligato a lasciare Parigi e la vita pubblica per i contrasti con Napoleone.

Giuseppe Napoleone Primoli nacque a Roma, ma studiò a Parigi dove frequentò la corte di Napoleone III e il salotto mondano letterario della zia, la principessa Mathilde Bonaparte. Il conte assorbì il gusto di quell’entourage stimolante, che però dovette appunto abbandonare a causa della caduta del secondo Impero nel 1870.

Giuseppe Primoli giunse allora nella Città Eterna e oltre all’alta società di cui fu protagonista assoluto, per le sue qualità di conversatore colto e spiritoso, iniziò ad intessere intensi rapporti in ambiti letterari e artistici frequentando e stringendo amicizia con scrittori e giornalisti come Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa, Matilde Serao, Enrico Nencioni, Cesare Pascarella, Eleonora Duse, Giovanni Verga, e fu confidente e consigliere di Gabriele D’Annunzio.

La sua intensa vita mondana fu caratterizzata dalla sua valenza di fotografo, documentando la cultura di quel periodo, e di bibliofilo, di collezionista e di stendhaliano.

Fu anche un egregio intermediario fra la cultura francese e quella italiana, un punto di riferimento in Francia per gli scrittori e artisti italiani, e a Roma per scrittori e artisti francesi che frequentemente ospitava nel suo Palazzo: Guy de Maupassant, Paul Bourget, Alexandre Dumas fils, Sarah Bernhardt, ed un mecenate, sempre pronto ad aiutare giovani talenti e vecchie celebrità.

Il conte creò una eccezionale collezione sulla storia napoleonica oggi appunto presente nel museo, la sua raffinatezza ed eleganza con le sue elevate possibilità finanziarie, infatti, gli consentirono di raccogliere nella sua residenza romana di via Zanardelli, da lui fatta ripristinare ed ingrandire fra il 1904 ed il 1911 dall’architetto Raffaello Ojetti, una grandissima quantità di libri rari, di quadri, di statue, di suppellettili, di reperti archeologici, privilegiando anche qui tutto ciò che ricordava la sua famiglia materna.

Per tutti questi motivi genealogici e affettivi, egli con il suo testamento stabilì che nel suo Palazzo fosse realizzata una Fondazione, con la sua Biblioteca, e al tempo stesso dispose che in una parte del pian terreno venisse attuata, tramite la sua raccolta un Museo Napoleonico, ceduto dopo la sua scomparsa al Comune di Roma, che ancora adesso gestisce.

Il museo è oggi oggetto di recenti lavori di restauro delle sale che rivelano le indicazioni del conte, in alcune di esse sono presenti i soffitti settecenteschi a travetti dipinti, mentre i fregi delle pareti sono dei primi decenni dell’Ottocento, quando il Palazzo era già di proprietà dei Primoli.

Il conte si spense nella Capitale il 13 giugno del 1927 e fu sepolto nel cimitero del Verano.

E’ stata presentata nel Museo Napoleonico a Roma: “Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente”.

Contemporaneamente con la esposizione: “Ukiyoe. Il mondo fluttuante. Visioni dal Giappone”, in corso al Museo di Roma, Palazzo Braschi, traspare nella mostra chiaramente la passione e l’amore per l’Oriente ed il Giappone, in particolare. L’Urbe diviene così un incrocio di storie e culture compiendo la funzione di ponte fra mondi diversi, un posto ideale per descrivere il Sol Levante ed il suo carisma lontano ed esotico.

Pertanto dal 15 marzo all’8 settembre 2024, una rassegna eccezionale che evidenzia il sofisticato interesse per l’arte orientale e del collezionismo giapponese volendo dare risalto alla raccolta del conte, avente un senso estetico composito, eterogeneo e dai confini indefiniti.

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è a cura di Elena Camilli Giammei, Laura Panarese e Marco Pupillo. L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura.

“Alcuni pezzi non vengono esposti da 40 anni” illustra Marco Pupillo, direttore del Museo Napoleonico. “Un viaggio nel tempo e nello spazio che racconta questa passione che da Pietro Primoli si estese ai figli e lo abbiamo manifestato attraverso materiali dei nostri depositi e della Fondazione Primoli”.

Il percorso della mostra è determinato da quattro sale.

L’itinerario inizia con l’esotismo e il gusto mediorientale nella collezione dei Bonaparte.

Presenti fotografie immortalate negli ultimi 20 anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, alcune delle quali furono effettuate personalmente da Primoli, fotografo appassionato. Vi è un ritratto del conte con indosso abiti da berbero dopo il viaggio in nord Africa del 1844, e una masquerade exotique, una sequenza di stampe all’albumina con ritratti di personaggi dell’epoca vestiti all’orientale, simili a tableaux vivants.

Poi donna Laura Minghetti, abbigliata da indiana, e la cartolina di un’Africa fantasiosa, o il menu della cena di gala per l’apertura del Canale di Suez, il 18 novembre 1869. La scelta di soggetti esotici e orientali era frequente nei costumi di quegli anni, a Roma come a Parigi.

Esposta accanto a uno dei ponti di Roma una bambina con una bambola giapponese, fotografata da Giuseppe Primoli intorno al 1898 nei pressi di un Palazzo di Giustizia allora in costruzione.

Tra le opere di maggior rilievo del gusto giapponista proprie della raccolta museale vi è il ventaglio di seta con paesaggio giapponese dal titolo La discesa delle oche selvatiche a Katata, dipinto ad acquerello di Giuseppe de Nittis (Parigi), creato circa nel 1880, per la Principessa Mathilde Bonaparte.

Si possono anche contemplare disegni, fotografie d’epoca con temi contenuti e stile orientalista, xilografie, tempere e intagli su carta realizzati con la tecnica del “Kirigami”, chinoiseries e japonaiseries, documenti d’archivio.

L’opera più preziosa è però determinata dalla rara collezione di 14 kakemono di proprietà di Giuseppe Primoli: strisce rettangolari di carta o di tessuto di svariate lunghezze da appendere in verticale.

Capolavori “che esprimono con delicatezza tutta l’eleganza della cultura giapponese”, espone Elena Canini. “Venivano mostrate solo in occasioni speciali, come la cerimonia del tè. I manufatti sono stati inseriti in teche che rimandano alle antiche nicchie in cui venivano originariamente esposti, l’equivalente dei quadri della tradizione culturale occidentale”.

Di grande pregio e fragili, i kakemono sono dipinti ad acquarello e inchiostro con soggetti classici della pittura giapponese del genere fiori e uccelli, ed essi non possono restare fuori per troppo tempo.

“Molte delle opere non venivano esposte da quarant’anni. L’ultima volta era stata nel 1983”, spiega Marco Pupillo.

Nove dei 14 rotoli appesi, sono situati abitualmente nei depositi del Museo Napoleonico e sono stati restaurati recentemente. Gli altri cinque, anch’essi da poco ripristinati, sono invece della Fondazione Primoli.

Un’ulteriore peculiarità che rende stupefacenti i kakemono consiste infine nelle firme, dediche e componimenti autografi di poeti, scrittori, personalità della cultura italo-francese, trasmessi ai posteri.

Conclude la rassegna una sezione rivolta all’incredibile Grand Tour in India del conte Luigi Primoli.

Presenti anche pietre scolpite e terrecotte dipinte riproducesti personaggi e soggetti religiosi, una copia del Corano su foglie di Palma anch’esso di lavorazione indiana appartenente alla Fondazione Primoli, e alcune fotografie.

La mostra non solo celebra il conte ma offre anche un’opportunità per meditare sul significato dell’arte come collegamento fra mondi diversi, suscitando una intensa rivalutazione per le svariate espressioni artistiche che arricchiscono la nostra tradizione culturale, permettendo così agli spettatori di conoscere un aspetto poco noto della collezione Primoli.

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