Mela del Tentino, unicità e orgoglio tra storia e mito

Da secoli la mela è simbolo di ricchezza, seduzione e potere. Non c’è da stupirsi quindi del ruolo fondamentale che assume in molte storie: dal frutto proibito del Paradiso, al pomo della discordia, dall’alimento avvelenato delle favole, al rimedio dell’immortalità nella mitologia greca e nordica.

Tanto per cambiare, l’Italia è un punto di riferimento per quanto riguarda la produzione e la qualità di questo frutto che ha attraversato i secoli e che l’uomo ha saputo migliorare nel tempo. Se parliamo poi di mela italiana, non possiamo non fare riferimento al Trentino-Alto Adige, minuscola e meravigliosa regione che ha saputo certificarne una grande qualità producendo meravigliosi esemplari che oggi invadono le case degli italiani e che rappresentano un orgoglio salutistico-nazionale. Le origini della mela sono molto antiche e la sua storia decisamente affascinante non essendo un frutto autoctono del Vecchio Continente, bensì originario dell’Asia centro-occidentale. Intorno al 10.000 a.C., le mele crescevano sul territorio dell’odierno Kazakistan, tanto da dare il nome all’ex capitale: “Alma-Ata” (oggi Almaty), che tradotto significa “nonno della mela”. La mela asiatica era piccola e selvatica, aveva molti semi e un sapore marcatamente acido. Attraverso le vecchie rotte commerciali, già nell’antichità raggiunse la regione del Mar Nero, dove Greci e Romani iniziarono a coltivarla: la mela dolce, che conosciamo oggi, si è quindi sviluppata nel corso del tempo. Nella società greca era un frutto estremamente costoso e ritenuto afrodisiaco: se un giovane avesse voluto fidanzarsi, avrebbe lanciato una mela all’amata, che l’avrebbe raccolta solo se disposta a concedersi ed anche durante la prima notte di nozze, gli sposi dovevano condividere questo frutto. Dall’Italia, la mela raggiunse il Nord Europa grazie alle spedizioni romane intorno al 100 a.C. e fu presto avvolta da un alone mistico presso i Celti, che la consideravano simbolo di morte e rinascita, e i Teutoni, che credevano nella Dea Iduna, la quale vegliava sulle mele d’oro, capaci di rendere immortali. Già nel primo secolo d.C., la mela veniva coltivata in tutta la valle del Reno, ma fino all’età moderna rimase un frutto “di lusso”, considerato emblema del potere. Torniamo ora in Trentino-Alto Adige: siamo verso la fine dell’Ottocento e si stanno verificando grandi cambiamenti. Il primo è la costruzione della ferrovia del Brennero che apre la via all’esportazione. Poi ci sono le bonifiche dei fondivalle, la costruzione di acquedotti e il miglioramento dei sistemi di irrigazione. Infine, c’è la crisi della viticoltura dovuta all’attacco parassitario della fillossera, che provoca la distruzione di molte viti e la scelta di nuove colture. Comincia così, per la coincidenza di questi fattori, la diffusione delle coltivazioni di alberi da frutto (soprattutto delle nuove varietà di mela provenienti dall’America) che avranno il loro boom tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento e che il Trentino ha saputo accogliere come casa di coltivazione d’elezione grazie alla tenacia dei suoi abitanti e alla meravigliosa esposizione dei suoi terreni. Oggi le mele sono la principale coltura della regione e sono apprezzate in Italia e nel mondo per il loro sapore e la loro qualità grazie sia alle caratteristiche climatiche uniche della zona di produzione, che all’esperienza e la professionalità dei frutticoltori nell’adeguamento delle tradizionali tecniche di coltivazione e potatura, alle specificità dell’annata. Astraendoci dal contesto trentino, non possiamo non fare un passaggio nel “mito” che questo frutto ha sempre alimentato nella storia. La mela più famosa in assoluto è il frutto proibito che Eva raccolse dall’albero della conoscenza nel giardino dell’Eden e che condivise con Adamo: i due furono costretti a lasciare il Paradiso, per questo si presuppone che il nome della mela sia derivato dal latino “malus” (ovvero “il male”). I Celti chiamarono il loro paradiso “Avalon” (che tradotto significa “isola delle mele”): è lì che avrebbe dovuto recarsi Re Artù, per far guarire le ferite riportate in guerra. Nella favola di Biancaneve, la matrigna cattiva porge una mela avvelenata alla giovane fanciulla, che cade a terra, “morta”, dopo averla morsa. Quando il principe fa portare via l’amata nella sua bara, uno dei servi inciampa, facendo fuoriuscire il pezzetto di mela incastrato nella gola di Biancaneve, che torna così in vita. Questi sono solo alcuni degli esempi più famosi legati al mito di questo prodotto della terra, ma tra storie e miti tramandati, abbiamo oggi la fortuna di vivere (e di poter mangiare soprattutto!) in una certezza che il mondo ci riconosce: la loro forma né troppo grande né troppo piccola, la loro pelle liscia e la loro polpa bianca che rilascia una sensazione acidula perfettamente equilibrata e piacevole, sono diventati ennesimi elementi di unicità ed orgoglio nazionale.

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