Il 29 aprile si festeggia la Giornata Internazionale della Danza, promossa dall’International Dance Council dell’UNESCO. Per celebrare al meglio tale ricorrenza, presentiamo la vita e l’opera di una delle più grandi danzatrici e coreografe del secolo scorso, la statunitense Martha Graham (Pittsburgh, 1894 – New York, 1991), della quale, proprio lo scorso 1° aprile 2021, è stato commemorato il trentennale dalla scomparsa.
Martha Graham nacque, nel 1894, a Pittsburgh (Pennsylvania). Trasferitasi, nel 1908, a Santa Barbara (California), ricevette e accolse la chiamata alle arti del palcoscenico, nel 1911, dopo aver assistito ad uno spettacolo della ballerina e coreografa americana Ruth St. Denis. Dal 1913 al 1920, studiò danza e teatro e, nel 1916, fu ammessa alla Denishawn, la scuola di Ruth St. Denis e di Ted Shawn. Nel 1923, lasciò la California per New York, dove insegnò presso la “Eastman School of Rochester” e, il 18 aprile 1926, ebbe il suo trionfale debutto con alcune coreografie di propria creazione, accompagnate da composizioni di Claude Debussy, Louis Horst, Erik Satie, Aleksandr N. Skrjabin e Maurice Ravel. Nel 1927, inaugurò la propria scuola di danza, la “Martha Graham School of Contemporary Dance”. Dopo una prima, brevissima, fase, caratterizzata da balletti incentrati su tematiche sociali e di ambientazione orientale, approdò ad una nuova e originale concezione della danza, che trova la sua prima e consapevole manifestazione, nel 1929, con Heretic e che condurrà all’elaborazione e codifica di quella che ancora oggi è conosciuta come “tecnica Graham”.
La sua tecnica è il frutto di una ricerca personale, ispirata dal mestiere del padre, psichiatra specializzato in disturbi nervosi del corpo. Affascinata dal rapporto mente/corpo, Martha studiò e integrò nella danza, «linguaggio nascosto dell’anima», aspetti da essa finora rimasti esclusi, ma fondamentali per l’espressione corporea, come il movimento del bacino, dal quale ha origine la vita, e il processo di respirazione, considerato nelle due fasi di contrazione (contraction) e di rilascio (release). Nella fase di contrazione (espirazione), i muscoli addominali spingono contemporaneamente in dentro, verso la spina dorsale, e in alto, verso il diaframma, mentre i muscoli dorsali spingono verso terra. La colonna vertebrale si allunga, creando una sorta di curva a C, e l’energia è concentrata e compressa al centro del corpo. Nella successiva fase di rilascio (inspirazione), una spinta che parte dal bacino, permette alla tensione accumulata di scaricarsi, riportando la schiena in posizione eretta, fino a raggiungere il suo punto di massima estensione verso l’alto. L’energia viene in questo modo sprigionata attraverso tutto il corpo, diffondendosi dal centro alle altre zone periferiche, come le braccia, che si protendono, ampie e leggere, in movenze che richiamano il sinuoso batter d’ali di uccelli in volo, e le mani (assieme ai piedi, estrema periferia del microcosmo corporeo del danzatore), spesso tenute a “coppa”, ultima tappa del percorso dell’impulso generato, durante la contrazione, dal bacino e trasmesso, nel rilascio, attraverso la spina dorsale. I due momenti sono interdipendenti e si alternano ciclicamente in maniera fluida e spontanea.
Nell’elaborare la propria tecnica, la Graham ha inoltre accolto e ulteriormente sviluppato molte delle innovazioni apportate alla danza dai suoi predecessori, come la spirale, rotazione della colonna vertebrale attorno al suo asse verticale, e la caduta, che asseconda o contrasta la spinta verso il basso impressa sui corpi dalla forza di gravità, e che spesso sfocia in vero e proprio floorwork (lavoro a terra). A differenza della prima generazione di danzatori moderni americani (Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Ted Shawn e Maud Allan), che si erano impegnati nel rinnovare la danza a partire dall’impulso spirituale alla base del movimento, la Graham e gli altri esponenti della seconda generazione (Doris Humphrey, Charles Weidman e Hanya Holm) si sono concentrati piuttosto sull’impulso fisiologico e sulla creazione di un nuovo vocabolario espressivo, mirato non a ‘creare’ bensì a ‘riscoprire’ quello che il corpo può naturalmente fare, adattando la tecnica alla conformazione e alle caratteristiche fisiche dei singoli danzatori.
L’obiettivo, pienamente centrato dalla Graham, era quello di dar luce a una espressione artistica “contemporanea”, radicata nel contesto culturale e modellata sui corpi che se ne sarebbero serviti e di cui, non di meno, si sarebbe servita per interpretare al meglio i mutamenti sociali dell’America del tempo. Alla ricerca di un filo conduttore tra passato e presente, che le consentisse di decifrare una specifica cultura nazionale, rivolse, in un primo momento, la sua attenzione alle vicende dei nativi americani, studiandone con passione la spiritualità e l’esaltazione religiosa, e sviluppò il tema della wilderness, la linea di confine tra il mondo selvaggio e quello civilizzato. Il riferimento ai miti primitivi e all’incontro-scontro fra culture le consentì inoltre di sottolineare ulteriormente la purezza e immediatezza della danza, in particolare di quella da lei rappresentata, indicandola quale unica possibilità per l’uomo contemporaneo di restare connesso con i propri impulsi vitali e di rendere manifesta la propria autentica identità individuale, in una società dominata, e per questo contaminata, dalle ambiguità e dai filtri della comunicazione verbale e, sempre più, di massa. La danza “libera”, “espressiva” e “moderna” poteva così affrancarsi dalla musica e dal testo, ai quali restava invece indissolubilmente legato il balletto classico, per recuperare e restituire la dimensione originaria della natura e dell’esistenza umana, attraverso un corpo libero da vincoli e tabù imposti dal processo di civilizzazione.
Durante gli anni ’30, ideò alcuni dei suoi pezzi più significativi, tra cui l’intramontabile Lamentation (1930), che la vide magistralmente interpretare, in un ampio ed elastico costume tubulare viola, «la tragedia che ossessiona il corpo, la capacità di allungarsi all’interno della propria pelle, di testimoniare e testare i perimetri e i confini del dolore», e collaborò con la fotografa Barbara Morgan al progetto Sixteen Dances in photographs (1941), una serie di scatti che immortala la sua iconica figura e il suo straordinario talento nel trasformare il corpo in uno specchio per l’anima attraverso il movimento, recentemente riproposta in una grande mostra a Venezia presso la Ikona Gallery (2006). Nel 1939, accettò nella propria compagnia, fino a quel momento composta di sole donne, due danzatori uomini, destinati a lasciare un segno indelebile nella storia della danza contemporanea, Erick Hawkins, con il quale si sposò nove anni più tardi, e Merce Cunningham. Nel decennio seguente, videro la luce numerose coreografie di argomento “americano”, come Appalachian Spring (1944), e mitologico, tra le quali spiccano la riscrittura a passi di danza della tragedia di Medea, Cave of the Heart (1946), il viaggio di Teseo attraverso il Labirinto alla ricerca del Minotauro, Errand into the Maze (1947), e l’amore proibito tra Edipo e Giocasta, Night Journey (1947), che la compagnia presentò in una grande tournée tra gli Stati Uniti e Cuba. Dal 1947, la Graham collaborò con il Dipartimento di Stato per la ricostruzione dei Paesi europei più colpiti dalla distruzione degli anni di guerra, organizzando anche in Europa festival ed esibizioni, finanziati dalla famiglia Rothschild. In breve tempo, si fece strada l’idea che l’arte potesse fornire delle risposte e delle soluzioni alla realtà sociale e politica e il Dipartimento di Stato Americano vide proprio nella Graham e nel trionfale successo dei suoi spettacoli un infallibile strumento di mediazione culturale tra Usa e URSS. Così, nel 1955, Dulles e Einsenhower la nominarono ambasciatrice culturale. Durante i suoi viaggi in Oriente, tra interviste e indimenticabili performance, offrì molto di sé, della sua arte e della sua cultura e altrettanto ricevette dai Paesi dell’Est con i quali con sincero entusiasmo entrò in contatto, dimostrando che i due blocchi non erano poi così distanti e incapaci di comunicare. Il suo linguaggio, del resto, rappresentava, agli occhi di molti, un vero e proprio dialogo fra un Occidente mitico, fatto di ideali e sentimenti universalmente condivisibili, e una forma espressiva diretta e autentica, fondata sul respiro quale punto di incontro e di equilibrio tra corpo e spirito, di ispirazione orientale.
Nel 1969, si ritirò dalle scene. La decisione, dettata dai limiti fisici sempre più evidenti, pur facendola cadere in una profonda depressione, non le impedì di continuare a dedicarsi alla danza, continuando a creare coreografie fino al giorno della sua morte. Negli ultimi anni della sua carriera, le furono conferiti la Medaglia Presidenziale della Libertà con lode (1976), i Kennedy Center Honors (1979) e, dal governo francese, la Légion d’Honneur (1984), a testimonianza del ruolo centrale da lei svolto nella storia della cultura e della danza a livello internazionale. La sua esperienza costituisce infatti un fluido, ininterrotto e ancor oggi fecondo dialogo tra passato e presente, mito e storia, America ed Europa, Occidente e Oriente, individuo e società, psiche e corpo, che le ha permesso di riscrivere la grammatica e la filosofia del movimento, dettando un’unica nuova legge: «La mia danza con il mio corpo».