Lo scienziato pisano e la teologia

La figura di Galileo Galilei (1564-1642) è solitamente ricondotta all’archetipo dello scienziato che, alle prese con le sue osservazioni scientifiche e impegnato con i suoi calcoli matematici, ha contribuito in modo determinante al divorzio tra scienza (la nascente scienza, perché il periodo storico è quello comunemente riconosciuto come l’epoca della rivoluzione scientifica) e teologia. Rispetto a questa pregiudiziale immagine dello scienziato pisano, la realtà storica della figura galileiana è ben lontana dal poter essere etichettata come ‘nemica dell’autorità ecclesiastica”. Al contrario il celeberrimo scienziato è autore di una serie lettere, conosciute con il titolo di lettere copernicane nelle quali espone diffusamente le sue idee circa i problemi teologici che le nuove scoperte astronomiche, unitamente alla rivoluzionaria visione del mondo copernicana (De Revolutionibus orbium coelestium, 1543), stavano via via sollevando. Delle lettere copernicane (a don Benedetto Castelli, 21 dicembre 1613, a monsignor Piero Dini 16 febbraio 1615 e 23 marzo 1615 e a Madama Cristina di Lorena, 1615) l’ultima, quella a Madama Cristina, costituisce senz’altro il punto di riferimento principale per chiunque voglia conoscere la reale posizione di Galilei sulla complessa tematica relativa al rapporto tra la nuova scienza e la teologia. Rispetto a quanto esattamente un secolo prima aveva sostenuto il filosofo italiano Pietro Pomponazzi, sostenitore della rottura netta e definitiva tra philosophia naturalis e teologia, la posizione galileiana, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è invece incline e ben disposta a mantenere vivo il dialogo con i teologi, nella ferma convinzione che il libro della Natura (del quale si occupano gli scienziati) e il libro della Scrittura (del quale si occupano i teologi) hanno un medesimo autore: Dio. Ebbene, sulla base di questa visione, secondo Galilei risulta impossibile che tra le conclusioni scientifiche e la Sacra Scrittura possano insorgere contraddizioni radicali e irresolubili. Allora come comportarsi di fronte quelle insidiose contraddizioni che comunque si palesano tra alcune conclusioni scientifiche (come quella eliocentrica, nella fattispecie) e alcune verità bibliche? La risposta galileiana è che tali contraddizioni sono soltanto apparenti. Infatti, come potrebbe Dio contraddirsi, si domanda lo scienziato pisano? Se pertanto Dio è l’autore dei due libri, tra di essi, a meno che non si voglia follemente sostenere che il loro Autore sia stato incoerente, non può esserci vero contrasto. Bisogna infatti considerare che la Scrittura può essere letta a diversi livelli di profondità (ecco il concetto di polisemia della Sacra Scrittura) Pertanto è necessario tener presente che il senso letterale, cioè quello più superficiale, vale a dire il “nudo senso” delle parole, spesso, soprattutto nelle questioni di filosofia naturale (oggi diremmo nelle questioni scientifiche) non è preciso e adatto ad una vera conoscenza della natura. Infatti – e questa fu una tesi anche di Tommaso d’Aquino – la Scrittura, per poter arrivare a chiunque, soprattutto agli ultimi e ai semplici, è strutturata in modo tale da potersi adeguare a livelli intellettuali e culturali bassi e non particolarmente acuti («per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozo e indisciplinato»). Pertanto, almeno per quanto concerne le questioni non de Fide, secondo Galilei la massima autorità è costituita dagli scienziati, nella ferma convinzione – teologica – che le conclusioni della scienza e le verità di fede non possano mai realmente essere in contraddizione (a patto però che si abbandoni l’interpretazione letterale della Scrittura per i passi che trattano di argomenti naturali).Quella di Galilei è a tutti gli effetti una proposta di ermeneutica biblica che ancora oggi si pone alla nostra coscienza critica e filosofica come modello di convivenza pacifica e collaborativa tra sapere scientifico e sapere teologico. Diversità di ambiti, tra scienza e teologia, pur nella comune visione teologica dell’unicità dell’Autore dei due Libri.

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