L’IDENTITÀ NELLA DIFFERENZA. La ricerca individuale e collettiva di Sergine André e di Kudzanai-Violet Hwami

Il 21 maggio si celebra la Giornata Mondiale per la diversità culturale, il dialogo e lo sviluppo. Per questa occasione, presentiamo due esperienze di vita e di arte ben differenti, accomunate dal dono dell’apertura, fondamentale per integrarsi in contesti culturali assai distanti da quelli d’origine, arricchendo la propria identità di sfumature e sfaccettature, senza snaturarla: la haitiana Sergine André (1969) e la zimbabwese Kudzanai-Violet Hwami (1993), attive, rispettivamente, in Belgio e nel Regno Unito.

Sergine André (alias ‘Djinn’) è nata, nel 1969, ad Haiti, nella regione di Artibonite. Laureatasi in Lettere presso l’Università di Ottawa, alla fine del ’94, sedotta dalla bellezza delle opere postimpressioniste della collezione Barnes esposte a Toronto, ha avuto la rivelazione della sua vocazione di pittrice. Dopo tre mesi di lezioni intensive alla Scuola d’Arte di Ottawa, è tornata ad Haiti e ha iniziato a dedicarsi alla pittura. Nel 1996, ha stretto amicizia con la collega haitiano-svizzera, Pascale Monnin (1974), erede della Galleria Monnin di Port-au-Prince (fondata dal padre, haitiano naturalizzato svizzero, nel 1959), dedicata alla promozione dell’arte e della cultura haitiane, presso la quale le due donne hanno allestito diverse mostre (la prima, nel 1996, intitolata L’invisibile. Sergine André e Pascale Monnin). Nel 1997, ha partecipato alla rassegna Donne pittrici di Haiti, presso il Museo del Pantheon Nazionale haitiano (MUPANAH), un museo impegnato nella conservazione e valorizzazione della storia di Haiti e dei suoi Padri della Patria. Il successo riscosso in questa occasione le ha permesso di farsi conoscere e apprezzare come testimone e protettrice della cultura haitiana. Nello stesso anno, ha vinto il concorso “Conoscere i giovani pittori” indetto dall’Istituto Francese e, nel 1998, è stata invitata alla Scuola Nazionale di Belle Arti di Parigi come artista ospite. Nel 2006, ha partecipato alla Johannesburg Bag Factory in Sud Africa e, nel 2011, alla 54° Biennale d’Arte di Venezia. Dal 2010, vive e lavora a Bruxelles. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi Paesi del Nord America (Canada, New York, Pennsylvania, Florida), dei Caraibi (Haiti, Martinica, Repubblica Dominicana), d’Europa (Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Belgio) e in Sud Africa (Johannesburg).

I suoi dipinti, caratterizzati dall’uso di colori accesi, per lo più chiari, e un linguaggio espressionista astratto, danno voce alla memoria, individuale e collettiva, legata alla natura di Haiti e agli spiriti che la popolano. La campagna di Artibonite, sfondo delle esperienze e dei sogni infantili dell’artista, è un mondo rurale, i cui ritmi sono scanditi dalla terra, dal vento e dall’acqua più che dall’uomo, e, proprio per questo, più autentico, ma meno prevedibile e governabile. Sergine riesce ad evocare quelle eteree presenze familiarmente inquietanti, a tradurle in un dialogo emotivo tra colori e forme, nel contempo esorcizzandole e celebrandole: «La figura non figurativa di un essere inafferrabile appare nello spazio pittorico. Per coloro che sanno vedere, c’è di più da amare che da temere» (Michael Norton, Associated Press, 2004). Temi ricorrenti sono, dunque, l’invisibile (reso visibile per mezzo della pittura) e il confine, nella vita perennemente provvisorio, tra il dolore e il piacere. Plasmata dalla curiosità e dall’entusiasmo per il “nuovo” contesto globale in cui si inserisce non meno che animata dal rispetto per il “vecchio” patrimonio culturale ereditato (e con orgoglio custodito ed esibito) dal Paese d’origine, la ricerca espressiva di Sergine André costituisce un affascinante esempio di identità transculturale.

Non meno complessa si presenta quella di Kudzanai-Violet Hwami, che dichiara apertamente: «Sto cercando il mio posto in questo mondo, un luogo che posso chiamare casa». Nata nello Zimbabwe, nel 1993, è cresciuta in Sud Africa e, all’età di 17 anni, si è trasferita in Inghilterra, dove si è diplomata in arte e design, presso il North Manchester College (2013), laureata in pittura al Wimbledon College of Arts (2016) ed ha, di recente, completato la propria formazione artistica con un master in belle arti alla Ruskin School of Art di Oxford (2021). Nel 2017, la Tyburn Gallery di Londra le ha organizzato la sua prima, apprezzatissima, mostra personale, If You Keep Going South You’ll Meet Yourself (Se continui ad andare verso sud incontrerai te stessa), ispirata alla collezione di fotografie della sua famiglia e ai suoi ricordi di infanzia e dedicata al tema, centrale nella sua produzione pittorica, della ricerca delle proprie radici. I dipinti esposti in quella occasione, in gran parte autoritratti, immagini della sua famiglia immediata e allargata e scene tratte dalla vita quotidiana, mostrano una profonda affinità con l’opera del pittore statunitense Kerry James Marshall (tra i primi artisti contemporanei a porre in evidenza il problema della marginalizzazione sociale degli afroamericani) e rivelano la sua intima connessione con la natura e la cultura dell’Africa meridionale e la multifocale prospettiva dalla quale si trova ad osservarle e condividerle. Al medesimo tema dell’identità si ricollega anche la serie dei nudi, in cui è evidente l’influsso dell’artista britannica Jenny Saville. I nudi, maschili e femminili, dipinti da Kudzanai-Violet sono caratterizzati da un uso fortemente espressivo del colore, tipico della pittura africana, volto ad esaltare la prestante fisicità della gente di colore, sollevando questioni relative, da un lato, alla ferina sensualità del corpo nero e alla sua stereotipata rappresentazione nell’arte e nella cultura occidentali, e, dall’altro, all’identità di genere e al rapporto, nella vita, tra Eros e Thanatos, carnalità e spiritualità.

Il suo linguaggio, in linea con la profondità e l’ampiezza dei contenuti, si presenta piuttosto complesso anche per quanto riguarda le scelte formali. L’artista realizza infatti grandi dipinti a olio, su carta o tela, spesso a partire da fotografie e collages, sperimentando originali contaminazioni fra diverse altre tecniche, come la serigrafia, il pastello o il carboncino e prendendo spunto dalla musica africana (ZimHeavy e Afrobeats), dalla letteratura, con particolare riferimento alle opere di Aleksandr Solzhenitsyn, e dagli studi sulla coscienza condotti da Carl Gustav Jung.

Negli ultimi anni, ha partecipato a numerose rassegne collettive, tra le quali ricordiamo Discolored Margins (National Gallery of Zimbabwe, Harare, Zimbabwe, 2017), Afriques: artistes d’hier et d’aujourd’hui (Fondation Clément, Martinica, 2018), Ladies by Ladies (Espace Art Absolument, Parigi, 2018) e la 58° Biennale d’Arte, come parte del Padiglione dello Zimbabwe (Venezia, 2019), testimoniando con l’inconfutabile fatto della sua pittura, ciò che ha espresso con queste parole: «Il modo in cui esploro il mondo non è legato al mio essere africana, dello Zimbabwe… certamente è il mio punto di partenza, ma non è la mia meta. Ci sono molte cose che mi interessano e cerco di non delimitare il mio lavoro alla mia identità di donna lesbica e di colore dello Zimbabwe. Il mondo è grande ed è bello tenere la mente aperta».

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