Lezioni pandemiche

L’anno 2020 è già nelle pagine della Storia.

Resterà nella memoria collettiva l’immagine di quella mano tesa, in un saluto consuetudinario, rifiutata con decisione e ritirata con imbarazzo per la gaffe commessa. Così come iconica sarà la benedizione urbi et orbi impartita in una deserta piazza san Pietro, in una giornata uggiosa, densa di dolore e sgomento. O la salita solinga, sul marmo candido, alle massime onoreficenze di Stato.

La pandemia ha sconvolto gli animi e sovvertito regole di cerimoniale, acquisito dall’esperienza centenaria, e, certamente, ne trascineremo gli effetti psicologici anche ad emergenza cessata.

Di certo non è la prima epidemia che l’umanità si trova ad affrontare, ma l’uso diffuso dei media, il facilitato spostamento di beni e persone nel globo terreste, ne ha acuito gli effetti, la percezione e l’informazione.

Le pestilenze di cui la letteratura ci porta testimonianza, le febbri coleriche e tifoidi, tante malattie, dette tropicali per il bacino ove sono endemiche, ancora non hanno cure idonee o vaccini, ma non si era verificato in precedenza un coinvolgimento così diffuso e l’assunto di misure globali e paralizzanti l’attività umana.

Di questo anche le relazioni tra gli Stati, e i protocolli che ne regolano gli incontri, hanno risentito.

Intanto la tecnologia ha permesso l’uso diffuso di strumenti di comunicazione sempre più performanti. Cariche istituzionali, leader politici, vertici aziendali, come la popolazione, hanno potuto godere di piattaforme social e di comunicazione tali da consentire di svolgere le attività professionali, di formazione e istruzione dai propri domicili, accelerando un processo di informatizzazione anche delle Istituzioni e delle realtà minori, già auspicato in diversi documenti relativi alla digitalizzazione del nostro Paese.

Per un momento il mondo ha trattenuto il respiro, si è fermato, riflettendo su se stesso e sul costo dell’attività mana sull’ambiente.

Abbiamo imparato a comunicare a distanza, lavorando, studiando, chiacchierando a distanza, mediati da uno schermo. I primi tempi abbiamo cantato, applaudito, salutato dai balconi, cucinato, giocato, letto libri impolverati e riscoperto serie e film accontentandoci del piccolo schermo. Man mano, poi, l’alienazione della solitudine ha giocato a sfavore, alimentando i timori, la sfiducia nelle istituzioni, nella scienza, abbiamo preso confidenza con processi medicali, finora sconosciuti e con un insano passaparola abbiamo iniziato a contestare, confutare, rinnegare, fino a scendere in piazza in aperti dissensi.

Ed ora, ancora dentro al tunnel, dobbiamo sforzarci a pensare ad un nuovo futuro, cercare di sperare in un orizzonte integrato, per non dimenticare e far tesoro dell’esperienza vissuta (o subita).

Indubbiamente la tecnologia ha agevolato la partecipazione, l’inclusione, azzerando distanze fisiche e agevolando l’accesso partecipativo. Adesso dovremo sforzarci a compendiare strumenti ed esigenze per allargare la base democratica e partecipativa.

Forse da una sciagura potremo guadagnare nuove opportunità.

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