L’ABBATTIMENTO DELLA SPINA DEL QUARTIERE DI BORGO IN ROMA NEL PERIODO FASCISTA

Borgo è l’unico rione in Roma il cui nome ha una radice straniera, essendo derivato dal termine sassone Burg, il cui significato è “cittadella”: un piccolo villaggio racchiuso entro una cinta muraria. Infatti per diversi secoli in quest’area abitarono tante piccole comunità straniere di pellegrini, studenti e mercanti, di cui la maggiore era quella che veniva da Wessex (attuale Inghilterra sud-occidentale) e che faceva capo alla scuola dei Sassoni. Quando Raffaello nel XVI sec. vi abitava, in un palazzo importante al pari di quelli dei Cardinali, e Michelangelo camminava ogni giorno per le sue stradine mentre affrescava la Cappella Sistina, quell’agglomerato di case tra la basilica di S.Pietro e il Tevere aveva appena preso il nome di Spina. Per il Giubileo del 1500 Papa Alessandro VI Borgia aveva progettato per i pellegrini una nuova strada, rettifilo in asse con il portale del palazzo Vaticano. Per costruire questa via, che venne chiamata Alessandrina, fu necessario demolire una parte delle case a schiera medioevali. I lavori comportarono una ridefinizione del tessuto urbano preesistente, che prese una forma allungata che ricordava una spina. E venne naturale darle il nome di Spina di Borgo, perché incuneata tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo. L’idea di estrarre la Spina dal quartiere cominciò a baluginare un secolo e mezzo dopo, si sentiva infatti l’esigenza di dare visibilità alla basilica di S. Pietro e alla grande piazza. Nei primi dell’800, su invito dell’amministrazione francese, Giuseppe Valadier elaborò un progetto che prevedeva la demolizione della Spina per realizzare una lunga passeggiata fino al porto di Ripetta. Con Roma Capitale d’Italia si succedettero diversi piani regolatori con proposte discordanti. Ma la situazione urbanistica del rione cambiò per sempre nel 1936. In quell’anno il progetto di demolizione della Spina e la costruzione di via della Conciliazione, da parte degli architetti Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli, fu approvato da Mussolini e Pio XI quindi posto in esecuzione. L’ accordo fra i due uomini di Stato fu reso possibile dal nuovo clima di collaborazione fra lo Stato e la Chiesa che seguì la firma dei Patti Lateranenzi. Si distrusse così quello che gli architetti seicenteschi avevano progettato e costruito (come per esempio il Bernini): con ciò che avevano realizzato si arrivava alla basilica passando per i vicoli della Spina di Borgo e ci si ritrovava improvvisamente davanti alla grandiosità della piazza con lo splendido colonnato Berniniano e con la bellissima basilica di S. Pietro tanto da rimanere meravigliati e sorpresi. Ora invece è tutto semplificato, non c’è più l’effetto sorpresa perché chiesa e piazza sono ampiamente e subito visibili proprio come se guardassimo un’appiattita cartolina. Per il Giubileo di quell’anno furono realizzati dal Comune anche i marciapiedi in travertino e l’illuminazione con i 28 discussi obelischi porta lampioni in via della Conciliazione. Con l’apertura del grande stradone perdemmo un pezzo tra i più antichi della Roma barocca , rinascimentale e medioevale; e come se non bastasse, tutti gli edifici dei lati esterni dei Borghi Vecchio e Nuovo furono amputati, traslocati o pseudo restaurati in modo di allinearli con i giardini di Castel S. Angelo e con il Lungotevere che scorreva davanti ad esso. Si demolirono e si trasferirono su via della Conciliazione, con una nuova forma, il palazzo dei Convertendi e il palazzo Rusticucci, mentre scomparvero del tutto la casa di Giacomo da Brescia, la chiesa di S. Giacomo in piazza Scossacavalli, la chiesa di S. Michele Arcangelo insieme a tutte le case che erano costruite a ridosso del Passetto. La bella fontana che ornava piazza Scossacavalli, costruita su progetto del Maderno fu smontata e trasferita davanti alla chiesa di S. Andrea della Valle. Pochi edifici importanti (S. Maria in Traspontina, palazzo Torlonia, palazzo dei Penitenzieri) furono salvaguardati perché si trovavano in asse con via della Conciliazione. A parte pochi disegni, non fu effettuato alcun rilievo dell’antico quartiere. La maggior parte degli abitanti, le cui famiglie avevano vissuto e lavorato in Borgo da secoli, furono trasferite nelle borgate in mezzo alla campagna, come Acilia. Ciò accadde fra l’altro perché i nuovi edifici eretti ai lati della strada non avevano funzione abitativa, ma ospitavano uffici, alcuni dei quali usati dal Vaticano. Se questo era il segno della Roma di Mussolini sulla città dei Papi, ben più profondo e vasto era il progetto di distruzione del Duce per la grandezza della Capitale del Fascismo, erede della Roma Imperiale. Al piccone demolitore, diretto da Antonio Munoz, al vertice degli uffici Antichità e Belle Arti del Governatorato, il compito di liberare l’antica

Roma dalle “deturpazioni” medioevali e barocche, far emergere con scavi archeologici i Fori di Cesare, Augusto, Nerva e Traiano, isolare i monumenti e costruire il nuovo spazio urbano per le grandi adunate, infatti sbancamenti e distruzioni del tessuto cittadino cambieranno il volto del centro storico. A ovest del Campidoglio, nell’attuale via del Teatro di Marcello, i lavori per la costruzione della via del Mare mutarono l’assetto dell’antica strada. Nell’area di palazzo Madama si creò un nuovo asse di attraversamento: Corso del Rinascimento progettato dall’architetto Arnaldo Foschini. Ma anche il Giubileo ha avuto la sua parte nel cambiamento del rione di Borgo: nel 2000 a causa dell’arrivo di molti pellegrini ci fu un esplosione immobiliare con la conseguenza che molti degli antichi appartamenti rimasti vennero ristrutturati per divenire residenze di turisti. Ecco infatti le botteghe degli artigiani, costretti ad andare via, trasformati in esercizi dove si possono fare pasti veloci (i fast food) oltre ai numerosissimi bar ristoranti e alberghi che inevitabilmente influenzano l’atmosfera del rione. Eppure se si alza lo sguardo al di sopra dei tanti moderni negozi di souvenir, le antiche finestre bordate da cornici di marmo e i soffitti attraversati da travi di legno offrono ancora un’ immagine caratteristica dei secoli passati.

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