La Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella: artificio prospettico tra pittura e matematica

Nella navata sinistra della basilica di Santa Maria Novella, subito visibile varcando la soglia nella navata prospicente, è conservata “una Trinità con figure da lato” opera di uno dei protagonisti del rinnovamento delle arti nella Firenze del primo Quattrocento: Tommaso Guidi, noto come Masaccio.

L’affresco, realizzato nel 1425-26, non è sempre stato lì. Nel 1570, infatti, Giorgio Vasari, per salvaguardare l’opera nonostante i lavori dei quali era stato incaricato, vi pose di fronte un altare la cui pala era la Madonna del Rosario oggi esposta nella cappella Bardi della medesima chiesa. L’affresco di Masaccio, così nascosto, venne ritrovato nel corso di restauri ottocenteschi, staccato e posto in controfacciata. Negli anni Cinquanta, poi, un restauro svelò anche l’affresco nella parte inferiore: la figura di uno scheletro giacente al di sopra di un sarcofago, recante al di sopra la scritta “Io fu(i) già quel che voi s(i)ete e quel ch(’)i(o) son voi ancor sarete”; fu in questa occasione che l’affresco venne riportato nella sua collocazione originaria, nella navata sinistra.

Il soggetto rappresentato è il dogma della Trinità, particolarmente adeguato data la sede: la chiesa di Santa Maria Novella, come il convento annesso, è infatti domenicana. I tre componenti del trio dogmatico – l’anziano Padre, il Figlio crocifisso e la colomba dello Spirito Santo – sono posizionati (si tratta di una scelta iconografica usuale) l’uno sopra l’altro, in asse, a sottolineare la loro unità concettuale. Ai piedi della croce di Cristo sono Maria sua madre e San Giovanni Evangelisti, essenziali in ogni scena di crocifissione in quanto incarnazione figurata del dolore scatenato dalla morte del loro signore. Le altre due figure, inginocchiate in uno spazio intermedio tra quello occupato dalle figure divine e dei santi e quello della chiesa nella quale ci troviamo noi osservatori, sono i committenti, marito e moglie, raffigurati come di consueto in atto di partecipare con pia devozione alla scena sacra (in questo caso la Crocifissione), in abiti che ne segnalano l’elevato rango sociale e ritratti di profilo, in modo tale da rendere la loro resa fisionomica efficacemente riconoscibile: il fine del commissionare un’opera pubblica com’erano quelle nelle chiese, infatti, era tanto la devozione quanto (e talvolta di più) lo status certificato dal possesso di una cappella in una chiesa e l’autopromozione di fronte alla cittadinanza riunita durante le funzioni.

Ciò che cattura l’osservatore, però, è l’artificio prospettico messo in atto nell’architettura – una volta a botte cassettonata di ispirazione classica – che ospita questa scena. Masaccio infatti utilizza un dispositivo tecnico di assoluta novità, quella prospettiva che Filippo Brunelleschi aveva studiato e applicato (e che Leon Battista Alberti si sarebbe preoccupato di spiegare a tutti gli artisti, in modo tale che proseguendo nella via illuminata da Brunelleschi potessero progredire nelle arti), prospettiva fondata su calcoli geometrici e matematici che Masaccio probabilmente non era in grado di padroneggiare con tale disinvoltura: sembra infatti che ad aiutarlo ad impostare in modo corretto lo spazio che sembra allungarsi oltre la parete sia stato proprio l’architetto pioniere di quel mirabile artificio che avrebbe presto conquistato la pittura fiorentina, italiana e poi europea, del quale Masaccio offre qui, aiutato nei calcoli da Brunelleschi, un esempio precoce, che grazie alla maestria volumetrica e coloristica dell’autore e alla sua capacità di creare figure credibili e magnetiche, restituisce un insieme di indiscutibile efficacia.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares