LA SPLENDIDA OPERA DI JACOPO TINTORETTO: LA “DEPOSIZIONE DI CRISTO” IN ESPOSIZIONE PRESSO LA SALA DEI VENETI NELLA PINACOTECA DEI MUSEI CAPITOLINI.

“La natura è visione fantastica turbata quasi ossessiva; (…) la storia è tormento spirituale, tragedia”. “Le visioni tintorettesche non sono estatiche, contemplative, rasserenanti ma, all’opposto, agitate, drammatiche, tormentate. Non placano, intensificano fino al parossismo il pathos dell’esistenza.” Scrive Giulio Carlo Argan.

Fino al 3 dicembre si può contemplare presso la Sala dei Veneti, nella Pinacoteca dei Musei Capitolini, la Deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto, splendida opera del famoso pittore veneziano.

La tela era nella Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà a Venezia, demolita nel 1821, è stata confiscata dal demanio fino a giungere nelle Gallerie dell’Accademia, in cui rimase per lo più ignorata dalla critica fino ad arrivare al restauro realizzato da Giulio Bono, 2008-2009, che l’ha riportata ad un livello altissimo permettendone la riscoperta e il successo tra le composizioni autografe del pittore, posta accanto ai capolavori di Tiziano e Bellini.

Nella Pinacoteca Capitolina è stata messa in evidenza vicino ai quattro dipinti del figlio, Domenico Tintoretto, ora in prestito e ad altri artisti della scuola veneta. Domenico ereditò la bottega del padre e lavorò con lui fin da giovane.

Un’opportunità irripetibile per apprezzarlo in virtù del rilevante accordo tra la Sovrintendenza Capitolina e le Gallerie dell’Accademia di Venezia, insigne museo, al quale invece è stato eccezionalmente dato in prestito il Battesimo di Cristo di Tiziano. Una collaborazione proficua che ha creato un reciproco scambio culturale per la circolazione temporanea di opere d’arte e per il profitto dei due musei.

“Una collaborazione che nasce dal desiderio di rendere sempre nuova e ricca di spunti culturali la visita ai Musei Capitolini. Questa è un’occasione unica per ammirare Jacopo Tintoretto, che non è presente in nessun altro museo pubblico della Capitale. Il pittore si mostra nella sua fase più matura in cui è recepita la capacità figurativa di tradizione michelangiolesca. Emerge la sua capacità coloristica e soprattutto il suo nuovo linguaggio pittorico di grande potenza e modernità, che sarà ripreso dal figlio. In questa stessa sala è, infatti, possibile ammirare quattro opere di Domenico Tintoretto, in un confronto che ci aiuta a capire ancor meglio i due artisti”. Illustra il Sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce.

Il progetto espositivo è pertanto curato da Claudio Parisi Presicce e Federica Papi, promosso da Roma Capitale, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

Nel percorso artistico di Jacopo Tintoretto la Deposizione di Cristo si posiziona al vertice della sua carriera, nel momento in cui l’artista ha ormai delineato il suo stile, la tecnica e la pratica di rappresentazione.

La maggioranza degli studiosi si trova d’accordo oggi per una datazione intorno ai primi anni Sessanta del Cinquecento (1562). La maestosa tela, cm 227 x 294, determinata per l’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà alle Zattere, come già citato, è stata presentata come opera inedita nel 2009 nella mostra Tiziano, Tintoretto, Veronese: Rivals in Renaissance Venice al Museo di Fine Arts di Boston e al Museo del Louvre a Parigi.

Il quadro ritrae il momento in cui il corpo senza vita di Cristo è stato ormai rimosso dalla croce, come sottintendono la scala vuota sul fondo e il martello e le pinze in basso a destra. Giuseppe d’Arimatea sostiene Gesù da dietro mentre Maria, svenuta tra le braccia di una pia donna, forse Maria di Cleofa, lo

accoglie sul suo grembo. La Madonna chiude il gruppo dei personaggi allargando le braccia in un atto di toccante afflizione.

La composizione del dipinto è molto equilibrata: i corpi allungati di Cristo e della Vergine si sovrappongono attraverso uno schema a croce e la diagonale formata da due uomini sul lato sinistro rivela un palese parallelismo nella diagonale attuata dalle tre donne sulla destra.

Il nudo scultoreo del Cristo, di influsso michelangiolesco, e il profondo chiaroscuro di alcuni elementi figurativi, traducono la tela in un capolavoro di intenso effetto emozionale. C’è analisi, approfondimento, descrizione, lasciando incantati i visitatori.

Nella Deposizione di Cristo Jacopo Tintoretto rappresenta i suoi interpreti in modo teatrale. Una spiccata teatralità appunto permea tutto il quadro in virtù dei personaggi imponenti e monumentali, con un marcato cromatismo attraverso penetranti alternanze di luci e ombre studiate spesso mediante l’aiuto di modellini in cera o creta.

Tramite le sue pennellate riesce ad animare i personaggi della sua straordinaria opera. La Deposizione di Cristo, è creata nel momento in cui l’artista ha ormai messo a punto il suo stile, la tecnica e la sua pratica di esecuzione.

“Questa è un’opera che ci fa conoscere la genialità del pittore che sceglie di rappresentare un momento unico della narrazione, poiché riesce a cogliere il momento intermedio tra la fase del compianto e quello della deposizione. Evidente è il richiamo della Pietà di Michelangelo, artista sempre ammirato dal pittore veneziano. Da sottolineare il dettaglio della mano della Vergine Maria che tocca il piede di Gesù in un gesto di amore, ma anche di profonda umiltà e devozione”. Espone la curatrice Federica Papi.

Presso la Pinacoteca Capitolina nella Sala III, Sala dei Veneti, Jacopo Tintoretto incontra così il figlio Domenico ospitando quattro suoi dipinti provenienti dalla collezione Pio, tre dei quali, inizialmente riferiti a Jacopo e poi ridati al suo catalogo, raffigurano il Battesimo di Gesù, la Flagellazione (attualmente in prestito) e la Coronazione di spine.

Le equivalenti dimensioni e lo stretto rapporto iconografico hanno fatto presupporre che tali composizioni siano dello stesso ciclo pittorico.

Tutte e tre hanno origine da prototipi del padre ed evidenziano l’assorbimento dello stile di Jacopo nella costruzione profondamente manieristica della tela, sulle accentuate torsioni dei corpi, sulla marcatura delle luci e delle ombre e sull’utilizzo di lumeggiature dal carattere bizantino.

La IV opera: la Maddalena penitente, databile intorno al 1599, è invece una tela firmata in basso a sinistra: “OPUS DOMINICI TINTORETTI”.

E’ ritratta in un ambiente notturno, illuminata da una luce divina verso cui rivolge lo sguardo in estasi, questa Maddalena, considerata uno dei capolavori di Domenico, si distingue per il netto e forte realismo attraverso gli sconcertanti particolari di natura morta della stuoia che la circonda e del graticcio di paglia su cui si poggia.

Tintoretto, pseudonimo di Jacopo Robusti, Venezia, settembre o ottobre 1518 – Venezia, 31 maggio 1594, è stato uno dei più grandi protagonisti della pittura veneta e dell’arte manierista in generale.

Lo pseudonimo “Tintoretto”, dipese dal mestiere paterno, tintore di tessuti e di seta. Per la sua vivacità straordinaria nella pittura è stato soprannominato “il furioso e il terribile” da Giorgio Vasari e per il suo carattere forte ed il suo utilizzo drammatico della prospettiva e della luce è stato infatti ritenuto l’anticipatore dell’arte barocca.

Celebre per la grande profondità prospettica nelle sue opere, privilegiava l’uso di fondi scuri per arrivare alla luce, realizzando effetti eccezionali chiaroscurali che sarebbero successivamente divenuti basilari per l’arte di protagonisti quali Caravaggio ed El Greco. Le sue creazioni influenzarono nei secoli seguenti addirittura gli Impressionisti.

Tintoretto aveva ottenuto il nome di “Robusti” per aver difeso le porte di Padova durante la guerra della Lega di Cambrai.

Jacopo si serve fin da piccolo dei colori che trova nel laboratorio del padre, tanto che questi lo invia ben presto a bottega da Tiziano, 1530. Qui il pittore, così si racconta, visto un disegno del giovane allievo, per paura di una futura concorrenza lo manda via.

Sembra che nel 1539 Tintoretto potesse andare fiero del titolo di Maestro tramite uno studio indipendente a Campo San Cassiàn, nel Sestiere di San Polo.

Nel 1541 appena ventitreenne, esegue per il nobile Vettor Pisani, per le sue nozze, sedici tavole raffiguranti le Metamorfosi di Ovidio e per la circostanza va al Palazzo Te di Mantova per studiare gli affreschi di Giulio Romano.

Raffaello Borghini (1967) narra, che fin dagli inizi della sua professione Jacopo “prese per principal maestro l’opera del divino Michelangelo (…) ma nel colorito dice di aver imitato la natura e poi particolarmente Tiziano”.

Nel 1548, dipinge il Miracolo di San Marco esposto nella Scuola Grande del Santo e riceve gli elogi di Pietro Aretino. “(…) Le cere, l’arie e le viste de le turbe, che la circondano, sono tanto simili agli effetti ch’esse fanno in tale opera, che lo spettacolo pare più tosto vero che finto”.

L’avvenimento descrive un miracolo del santo patrono della città, rappresentato mentre interviene per salvare uno schiavo condannato al martirio dal proprio padrone pagano che lo aveva sorpreso ad adorare le reliquie di San Marco.

Sempre per la Grande Scuola di San Marco, lavora fino al 1566 alle tre composizioni ritraenti i miracoli successivi del Santo: San Marco salva un saraceno durante un naufragio, Trafugamento del corpo di San Marco e Ritrovamento del corpo di San Marco.

Le Storie della Genesi attuate tra il 1550 e il 1553 provenienti dalla Ss. Trinità, realizzate a prosecuzione del ciclo cominciato da Francesco Torbido nel 1547, spiegano: la Creazione degli animali, il Peccato originale e l’Uccisione di Abele, ubicati a Venezia nelle Gallerie dell’Accademia, e un frammento della Proibizione del pomo agli Uffizi di Firenze. La quinta tela, con la Creazione di Eva, è andata perduta.

Ma il capolavoro di più grande rilevanza del pittore è riferito alla decorazione della Scuola Grande di San Rocco, un vasto edificio gestito da una Confraternita che curava gli infermi.

L’artista esegue una cinquantina di tele per i locali della Scuola, iniziando dalla enorme Crocifissione, nella Sala dell’Albergo, lunga oltre 12 metri e alta cinque: creata nel 1565, è regalata dal pittore alla

Confraternita per assicurarsi la commissione del totale apparato decorativo. L’ampia scena è rappresentata da improvvisi tagli luminosi nelle tenebre e da una molteplice varietà di personaggi assorti in diverse operazioni. Al centro si eleva Cristo, dall’anatomia vigorosa con il viso quasi del tutto in ombra. Il risultato d’insieme è molto drammatico e la collocazione circolare delle figure intorno alla croce diviene una specie di ”abbraccio” visivo per il pubblico, che è emotivamente coinvolto nel doloroso evento.

Negli spazi del piano inferiore della Scuola di San Rocco, Tintoretto tratta le scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, in chiave di potente suggestione plateale. Si evidenzia la Santa Maria Egiziaca, la donna di Alessandria che si sarebbe convertita in virtù della visione del Santo Sepolcro a Gerusalemme, ritirandosi poi nel deserto.

Gli viene poi commissionata da una Scuola, quella del Santissimo Sacramento di cui era guardiano Christino de’ Gozi, la realizzazione di due teleri per la Chiesa di San Cassiano raffiguranti la Discesa nel Limbo.

Tra i ritratti femminili, più rari rispetto a quelli maschili, ricordiamo sicuramente quello di Giovane vedova della Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda, nella massima essenzialità d’abito.

E ancora quello perso di Veronica Franco, di cui restano le parole che la cortigiana poetessa rivolse a Tintoretto: “quando ho veduto il mio ritratto, opera della vostra divina mano, io sono stata un pezzo in forse se ei fosse pittura o pur fantasima innanzi a me comparita per il diabolico inganno”.

Gli ultimi anni del Maestro furono cadenzati dal dramma personale della perdita dei figli Marietta, nel 1590, e Zuan Battista, nel 1593, l’anziano Tintoretto sembrò infatti trasferire ciò nei suoi ultimi quadri mediante un luminismo notevolmente amplificato, quasi integrale. “E’ il rogo del colore”. Venturi, 1929.

Dopo una febbre di due settimane, il pittore si spense il 31 maggio del 1594 e venne sepolto dopo tre giorni nella Chiesa della Madonna dell’Orto, nella cripta della famiglia Escopi. Secondo quanto riportato da un cartografo e committente artistico contemporaneo, Ottavio Fabri, Tintoretto dopo esser morto per volontà testamentaria, fu disteso per terra per quaranta ore, apparentemente nel tentativo di resuscitare.

Scrive infatti il Fabri: “il Tintoretto Dominica se ne morì et d’ordine di suo testamento è stato tenuto 40 hore sopra terra, mà no’ è ressussitato”.

L’Ultima Cena per il presbiterio della Chiesa di San Giorgio Maggiore, 1594, e l’estrema Deposizione nel sepolcro, 1593-1594 circa, per la Cappella dei Morti nella stessa chiesa benedettina ne assumono il valore di testamento spirituale.

In conclusione, gli spettatori appassionati d’arte e della cultura verranno sicuramente colpiti dalle caratteristiche e dagli elementi scenici del capolavoro la Deposizione di Cristo, omaggiando così Jacopo Tintoretto, uno dei pochi grandissimi artisti della pittura manierista.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares