“Antonio Donghi. La magia del silenzio”. La retrospettiva presso Palazzo Merulana a Roma”.

Palazzo Merulana dal 9 febbraio al 26 maggio 2024 ospita la retrospettiva “Antonio Donghi. La magia del silenzio”, che consente al pubblico di apprezzare e contemplare i suoi molteplici capolavori, alcuni mostrati per la prima volta.

L’esposizione è un viaggio emozionante mediante uno stile che unisce la rappresentazione particolareggiata della realtà con componenti enigmatiche e carismatiche. Tale progetto è determinato da una ricerca con fonti culturali totalmente versatili e dalla funzione rilevante che alcune collezioni pubbliche romane hanno avuto tramite l’insieme delle sue opere, per la comprensione e la divulgazione della sua arte.

Antonio Donghi si identifica attraverso una romanità popolare ed elegante, che rispecchia i tempi lenti della Capitale e la rassegna consente una riflessione su questo tema approfondendo come il Maestro abbia espresso e descritto la vita quotidiana della Roma della sua età tramite una narrazione gentile.

L’esposizione è prodotta da CoopCulture, Main sponsor UniCredit che ha anche dato in prestito sedici significative tele del pittore, provenienti dalla sua eccezionale collezione presente a Palazzo De Carolis, ed è attuata anche con il contributo della Regione Lazio L.R. 24/2019, Piano Annuale 2023 per attività e ammodernamento – Musei ed il patrocinio gratuito di Roma Capitale.

Il curatore della rassegna è Fabio Benzi, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università “Gabriele d’Annunzio di Chieti e Pescara, che sempre per Palazzo Merulana aveva curato nel 2019 la mostra-studio “Giacomo Balla, dal Futurismo astratto al Futurismo iconico”.

Mediante questo nuovo progetto espositivo il curatore, da grande esperto della pittura della seconda metà del XIX secolo e del XX secolo, con appassionato spirito di ricerca si interroga sulle cause dell’improvviso passaggio dell’artista (nato a Roma nel 1897) tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923 da uno stile basato su una classica pittura di tipo Ottocentesca ad una immagine totalmente rinnovata, in grado di collocarsi e influenzare l’avanguardia europea.

Fabio Benzi ricorda che: “Donghi era estremamente colto, compulsava tutta la storia figurativa italiana al punto di renderla indistinguibile. La sua era una pittura formale aggiornata da tensioni molto moderne”.

E nel 1924 ci fu una esposizione personale alla galleria del fotografo futurista Anton Giulio Bragaglia, che nella Roma di quell’epoca riproduceva l’avanguardia non soltanto della pittura.

Ancora Fabio Benzi individua i motivi del cambiamento nella frequentazione della galleria e nell’incontro con l’arte di Umberto Oppi, che nel medesimo spazio giunse con una sua personale: “le opere di Ubaldo Oppi, con i personaggi immobilizzati in un’atmosfera senz’aria, i paesaggi costruiti da edifici geometrici sovrapposti nella loro volumetria come negli affreschi giotteschi, il disegno nitido e affilato, le espressioni interrogative e penetranti devono essere state il vero precedente saliente e l’ispirazione scatenante per l’artista. La sua era una pittura formale e aggiornata da tensioni molto moderne”.

L’artista pertanto decise di affittare un locale e aprire il suo primo studio in via del Lavatore, vicinissimo a Fontana di Trevi nell’Urbe, ma dopo pochi mesi si trasferisce a Trastevere, e sotto il Gianicolo ebbero origine i personaggi della sua prima personale romana, sempre nel 1924.

Il successo però lo ebbe nella galleria Pesaro di Milano nell’ambito della collettiva “Venti artisti italiani” di Ugo Ojetti insieme a nomi come Giorgio de Chirico e, come già citato, Ubaldo Oppi.

Il Maestro coglie l’essenza formale dell’arte antica, la lenta tradizione romanesca e la modernità dei tempi nuovi. In tale contrasto i protagonisti dei suoi quadri sembrano interrogarsi sulle loro identità, come in una commedia di Pirandello o di Bontempelli.

La precoce propensione verso una innovativa figurazione, così profondamente rivolta sulle cose da farsi quasi ossessiva, lo farà partecipare nel 1925 alla mostra di Mannheim dove si presentò il gruppo tedesco della Nuova Oggettività. Poco dopo il critico tedesco parlò di realismo magico in riferimento ad alcuni artisti emersi appunto tramite questa nuova corrente artistica.

D’allora in avanti Antonio Donghi ricevette un grandissimo consenso di pubblico attraverso moltissime mostre in Italia e all’estero.

La definizione di realismo magico può pienamente essere accolta per l’arcana sorpresa che si manifesta davanti allo sguardo intensamente fisso che l’artista rivolge a brani di pittura, a paesaggi urbani ed a scene che nella classificazione tradizionale si qualificherebbe come “di genere”.

Nel secondo dopoguerra, però, lo scenario culturale vivace smette di essere favorevole ad una personalità come la sua: l’astrattismo e la figurazione non lo interessano più, ma nonostante ciò la sua produzione acquisisce uno spazio al MoMA di New York, egli però continuerà a dipingere fino agli ultimi suoi giorni, morirà infatti nella Capitale il 16 giugno 1936.

La retrospettiva vuole presentare i nuclei più importanti della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, della Banca d’Italia, della collezione UniCredit e della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che globalmente costituiscono l’intero percorso del pittore, attraverso tutti i temi basilari: i paesaggi, le nature morte, i ritratti, le figure in interni ed esterni, i personaggi del circo e dell’avanspettacolo.

Solo tre dipinti fortermente iconici: La Pollarola, Ritratto di Lauro de Bosis, Annunciata, legati in differente maniera alla collezione Elena e Claudio Cerasi, sono all’interno della esposizione al di fuori delle collezioni pubbliche.

La mostra rappresenta quindi un approfondimento di uno dei preminenti nuclei pittorici sempre della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede e presenta in permanenza altri tre massimi capolavori donghiani: Lavandaie; Gita in barca e Piccoli saltimbanchi.

Ogni tela svela paesaggi urbani, colmi di particolari minuziosi e di personaggi che sembrano animarsi. Tale esperienza non soltanto propone una visione sull’arte del Maestro, ma fa considerare come la realtà ed il mistero si intreccino nel tessuto della vita di tutti i giorni.

Il curatore parla di un aneddoto verosimilmente leggendario, ma che restituisce onestamente la psicologia del pittore di incantesimi atmosferici: “dipingendo un giorno un albero, venne avvicinato da un uomo che gli chiese cosa stesse facendo lì fermo. Alchè Donghi rispose che stava aspettando che smettesse di soffiare il vento, perché le foglie dovevano essere perfettamente immobili”.

Ricordiamo infatti tra i quadri esposti: Paesaggio con elci, Paesaggio romano e Veduta di Roma.

Il suo stile tardo impressionista degli anni Venti è contenuto nelle opere: la Basilica di Massenzio, La Fontana dei cavalli marini e il Minatore

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