La poliedricità artistica di Flaminia Bonfiglio

L’arte è affascinante quanto varia, e la mia curiosità mi ha fatto scoprire le opere dell’artista romana Flaminia Bonfiglio, classe 1984, che si definisce ‘cinefila e sognatrice, sperimentatrice di molte

tecniche di disegno e animazione.’ Ho avuto la possibilità di poter fare quattro chiacchiere con lei girovagando nell’etere.

Flaminia, come e quando è nato il tuo amore per la creatività artistica.

“Sin da molto piccola mi è sempre piaciuto scarabocchiare, fogli, quaderni, libri e muri e questo ha colpito i miei genitori che hanno cominciato pian piano a capire che qualcosa si stava muovendo dentro di me. In effetti è tutto è nato quando ho iniziato a vedere i primi cartoni animati, perché crescendo mi chiedevo come potevano muoversi dei disegni. La cosa curiosa e che mio padre, avvocato, ogni tanto prendeva una tela e dipingeva, accostare i suoi dipinti a quelle storie raccontate attraverso i disegni, mi hanno reso molto curiosa. Sicuramente la mia infanzia è stata segnata dall’avvento dei manga o anime, cartoni di origine giapponese che racchiudevano un’armonia ed un eleganza visiva che mi ha sempre colpito. Verso i 10-11 anni ho cominciato a piegare in due dei fogli A4, Usando la facciata interna per disegnare un personaggio manga inventato e sulla facciata esterna ricalcavo lo stesso disegno muovendo l’elemento che mi interessava (occhi, braccia, capelli). Da un ‘paio di fogli’ arrivai presto a collezionarne più di un centinaio, così stavo scoprendo il mio amore per l’animazione, e non potendo chiedere a nessuno intorno a me, mi sono creata la mia strada. Niente colore, niente inchiostro, niente sfondo. Solo personaggi e storie.”

Durante il tuo percorso hai fatto molte esperienze all’estero, quanto è stato importante per la tua crescita come artista.

“Sono cresciuta in una famiglia estremamente curiosa e sempre pronta a scoprire nuovi modi di guardare il mondo. Ho avuto il privilegio, non solo di viaggiare molto ma anche di farlo in modalità costruttiva. Da adolescente trascorrevo parte delle mie estati in scuole estive in Inghilterra o in America. Dopo aver frequentato lo IED, non riuscivo a capire se la mia passione nel raccontare storie con disegni o animazioni, potesse davvero non essere solo una passione. Mi sono iscritta ad Architettura per tentare una strada più ‘convenzionale’. In un modo o nell’altro però la mia voglia di comunicare è tornata a distrarmi. Pur avendo avuto la fortuna di lavorare per copertine, per produzioni emergenti e qualche progetto grafico sapevo di avere bisogno di più preparazione. Dopo varie ricerche ho scoperto che ci sono tantissime splendide scuole di animazione o arte nel mondo. Una delle scuole più considerate è il California Institute of the Arts a Los Angeles, fondata da Roy e Walt Disney. Il mio primo pensiero è stato di provare ad arrivare direttamente alla fonte del mio desiderio: Walt Disney. Ero rimasta colpita dall’apparente semplicità con cui utilizzava quel nuovo modo di raccontare storie. Sebbene la possibilità di entrare nel corso di Master era incredibilmente complicata da vari fattori, ho preso dunque coraggio e ho scaricato i 100/200 fogli da compilare e cominciato a collezionare tutti i documenti richiesti, facendoli tradurre in inglese e prendendo lezioni di inglese. Successivamente ho iniziato il cortometraggio contando solo sui miei fogli, il mio scanner, il mio ‘sempre verde’ Windows 97 e la mia idea. Dentro di me continuavo a ripetermi che era solo per dimostrare a me stessa che ero davvero un’animatrice e che quindi se mi avessero accettato, non sarei mai partita ma avrei saputo con certezza che anche gli ‘esperti’ avevano percepito la mia potenzialità. Dopo un’attesa di 5 mesi e varie vicissitudini sono stata accettata ed è stata la più bella esperienza della mia vita per ora. Indubbiamente è stata anche la più difficile di quel periodo. Nessuno ti dice che dovrai ricostruirti la vita, anche se sai parlare inglese la percezione che darai quando parlerai formerà una te stessa diversa da come eri abituata a mostrarti a casa tua. Nessuno ti dice che sarai sola, ma nemmeno che troverai te stessa. Questo mi è successo, ho trovato me stessa, la mia forza e la

mia unicità riversando il tutto nella mia arte senza più paura di seguire correnti previste ma di lasciarmi guidare dalla mia.”

Avendo sperimentato il tuo talento in vari settori dell’arte, come vedi lo stato attuale della stessa.

“L’arte è comunicazione, rischio, dolore e liberazione. L’arte scioglie barriere e crea scompiglio. La mia esperienza, ma ne conosco altre molto differenti, è che in Italia l’arte in ogni suo settore è ancora per pochi. Per pochi critici, per pochi curiosi, per pochi artisti e spettatori. Pur essendo la patria dell’arte non esiste ancora un vero e proprio percorso strutturato che aiuti un’artista o un curioso con un supporto o una guida precisa. C’è poca voglia o possibilità di collaborare, di investire e rischiare su visioni non canoniche. Risulta complicato raggiungere personaggi o figure che potrebbero rappresentare un riferimento come galleristi, critici, produttori o semplicemente altri artisti. In America, hanno meno paura di sperimentare, di farsi entusiasmare e di rischiare. Ci vorrebbe una via di mezzo, la quantità di bellezza e arte che abbiamo qui con la sfrontatezza e forza sognatrice che hanno li. Avrò sentito almeno una dozzina di volte di progetti abortiti in Italia poi esplosi in America o Irlanda o Russia. D’altra parte però, in questo periodo storico sento che qualcosa sta cambiando riguardo la sperimentazione e il rischio. I social media hanno diminuito i passaggi per arrivare a comunicare direttamente con il pubblico, hanno dato la chance ai creativi di produrre in libertà, hanno scoperto nuovi settori artistici. I social hanno anche ridotto la quantità di preparazione e di gavetta che un’artista deve fare per tutelare la sua visione ed accettare nel modo giusto le critiche. A causa dei Social media, la qualità della produzione artistica è aumentata ma forse è meno brillante, l’individualità è stata potenziata e l’impulso semplice di comunicare è stato sostituito da un bisogno estremo di presenza fine a se stessa. Dovremmo ricercare un equilibrio stabile tra espressione e comunicazione.”

Per le tue creazioni ti sei ispirata a chi e a cosa?

Uno dei riferimenti più presenti penso sia Andrea Pazienza. Recentemente ho pubblicato la mia prima monografia che ho chiamato ‘PAZIENZA – Le atmosfere di Flaminia Bonfiglio’. Questo titolo è un omaggio ad A .Pazienza che è stato un grandissimo fumettista e narratore. La dote che mi ha più influenzato è sicuramente il suo potere di creare atmosfere e utilizzare tecniche diverse ottenendo una varietà di combinazioni di stili che non lo intrappolavano in una sola corrente artistica. Spesso, come artisti, ci si trova a mantenere uno stile fisso e riconoscibile. Io credo che sperimentare con lo stile, con le tecniche ed i soggetti, sia proprio il punto focale della comunicazione. Spesso ho abbandonato o mi sono forzata a cambiare stile per evitare di rimanere bloccata in un vicolo cieco. Apprezzo molto d’altronde chi non è costretto nel suo stile ma chi ha uno stile forte, definito e riconoscibile e credo che sia un ottimo modo per esternare la propria visione. Quando mi dicono: ‘Questo è tuo?’. Io rispondo: ‘Si’, sapendo che il quadro precedente era molto diverso mi aspetto sempre che quella domanda sia provocata dall’ incertezza che produce la mia arte. ‘Eh, lo immaginavo, l’atmosfera è proprio la tua’ invece questa è la risposta più comune che ricevo. Una delle mie osservazioni preferite. Amo raccontare attraverso i miei lavori, animazioni o immagini, una storia, una sensazione. Mi piace indagare sui momenti comuni a tutti noi, quei momenti che quando vedi nei film pensi : ‘Anche io faccio esattamente così’.

E come sarà il futuro della Flaminia artista?

“Sento l’urgenza di definire il mio punto di vista e di trovare un canale o creare un canale per tutti gli artisti che come me non hanno ancora trovato una posizione dove collocare i loro lavori. Io non faccio animazione ‘per bambini’ ma uso l’animazione per quello che è. Non è un genere come credono ancora in molti, è un filtro attraverso il quale ci immergiamo in una storia, come il cinema recitato. Mi piace creare cortometraggi di animazione e credo che questo sia un buon momento per definire l’esistenza di questa ‘corrente’. Ormai da molto tempo nel mondo esistono importantissimi Festival del cortometraggio ma non molti luoghi dove è possibile fruirne se non si è un conoscitore del settore. Nell’ultimo periodo però, l’animazione viene finalmente usata come

mezzo di narrazione in pubblicità, documentari, serie o film interamente animati di genere drammatico. Credo che si stia andando verso la giusta direzione. Continuerò anche a creare quadri in digitale e su tela e appena possibile, vorrei riprendere a fare qualche mostra, mi piace il confronto diretto. Nel frattempo cercherò di finalizzare il concept di una serie che definirei ‘ibrida’, una combinazione tra realtà e animazione, alla ricerca di un partner con cui condividerne la stesura, i dubbi e i punti di vista. Trovo che condividere, collaborare ed avere più punti di vista sia complicato e magari spaventoso ma anche necessario e importante per una crescita personale e il raggiungimento di un ottimo risultato.”

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