Homo digitalis

Una civiltà è sempre in movimento e si delinea quindi per transizioni ed evoluzioni continue. Oggi, senza tema di smentita, viviamo un passaggio transitorio dalla civiltà delle macchine a quella del digitale, ossia della rappresentazione matematica di un dato binario il cui nome deriva dal latino digitus, strumento primordiale per numerare.

Questo passaggio, che mette storicamente in connessione in nostro passato con il nostro futuro, è destinato a modellare in nuove forme i rapporti umani, siano essi sociali, politici, economici, locali, nazionali o internazionali.

Si tratta di una transizione ineluttabile.

Una delle dinamiche sulla quale prestare la massima attenzione è quella inerente la trasmissione del sapere; gli strumenti per la conoscenza sono passati dall’essere elitari e materiali, e quindi concentrati e protetti, ad essere virtuali e diffusi. Ma attenzione questa libertà di accesso non significa necessariamente democratizzazione della conoscenza attraverso la sua diffusione.

Questa è forse la sfida principale sulla quale prestare la massima attenzione in questa fase di transizione.

Certamente questo è un vantaggio consentendo di attingere alla conoscenza ad una platea pressoché teoricamente sterminata di persone; tuttavia, attenzione, poiché l’essere sempre connessi nell’agone digitale va creando una sorta di cittadinanza digitale, di consistenza che si trasforma in essenza. Questa condizione immersiva è già stata definita sciame digitale dal filosofo sudcoreano Byung-Chul che ne avverte i limiti ed i pericoli.

Con la nascita dell’homo digitalis l’essere umano potrebbe essere condannato all’irrilevanza allorquando non sia connesso allo sciame digitale.

Si svilupperanno quindi condizioni di scontro d’interessi concorrenti esasperate che definiranno il futuro dei rapporti di forza tra la componente umana e quella tecnologica. E, vista la parossistica evoluzione di quest’ultima in termini di autodeterminazione, di sviluppo ed autoapprendimento, grazie ai big data dell’intelligenza artificiale, non c’è da stare tranquilli.

Il dibattito è avviato, ma non ci sembra che ancora abbia raggiunto un grado di diffusione e consapevolezza tali da rassicurarci sul futuro digitale.

 

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