La “democrazia del narcisismo” secondo Giovanni Orsina

Quando il professor Giovanni Orsina scrive, non c’è solo da aspettarsi che lo faccia con i dovuti criteri sintattici e lessicali; va anche preventivato che la sua analisi di turno sia lucida, sul pezzo e attinente al contesto. Un assioma che risulta vero tanto per la sua continua riflessione politica sull’attualità, affidata nel corso degli anni alle pagine del Mattino, del Giornale e della Stampa, quanto per le lezioni da lui tenute presso l’Università LUISS “Guido Carli”. E, ovviamente, tale assioma si estende a quel coacervo di lucidità e profondità d’analisi costituito dal suo ultimo libro, edito nel 2018 da Marsilio Editori: La democrazia del narcisismo: Breve storia dell’antipolitica.

La democrazia del narcisismo è un testo carico di valore simbolico tanto per il 2018 che per il 2020: ancora valido sotto ogni punto di vista, poiché legato non all’immediata e finita stagione politica, non a questa o quella parentesi governativa – elementi da cui i concetti illustrati nel volume pur partono a mo’ di esempio – bensì all’andazzo a lungo termine, cristallizzato, dell’intera cultura politica a partire dagli anni Sessanta.

Il narcisismo, l’antipolitica integrata nel dire comune, è quella politica che prescinde da ciò che della politica fece inizialmente la natura. La democrazia narcisista è, in sostanza, quella società che cerca di mantenere se stessa a scapito degli stessi motivi che ne garantiscono l’esistenza. Un gioco contorto e innaturale, un controsenso che pur caratterizza i nostri anni e i precedenti; un’aberrazione posta in essere dai nipoti della Seconda Guerra Mondiale, che quel conflitto non hanno vissuto e a malapena si ricordano.

L’abbandono dell’utilitarismo politico dell’immediato dopoguerra ha garantito il mantenimento – narcisista – di schemi politici, partitici e personali che resistono al tempo e che trovano la propria ragion d’essere in sempre nuovi nemici, sempre nuove e artificiose battaglie. Un po’ come quello schema totalitario che proprio la guerra fu necessaria ad abbattere.

I partiti sono così presi in un turbine senza fine che consuma loro e la società che li genera: la sindrome di Erisittone, come la chiama Orsina, a partire da quel re di Tessaglia che, secondo il mito, fu costretto a divorare se stesso. Un turbine, quindi, di ipocrisia e di macchine del fango che affermano tutto e il contrario di tutto; una politica che non fa bene a nulla, tranne che a se stessa, e che è destinata infine a fallire.

L’analisi politologica di Orsina fa un particolare spaccato esemplificativo su Tangentopoli, che proprio a questo poteva – pur non essendoci riuscita – metter fine. Il mare di nozioni e riferimenti colti, tra i quali appare forse privilegiato sul piano semantico Alexis de Tocqueville, lascia spazio all’incertezza per il futuro: come si risolverà l’attuale crisi della politica, in Italia e altrove? I sintomi sono chiari, ma la soluzione è ben lontana. Infine, si augura Orsina, occorrerà affidarsi al senso del limite del prossimo.

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