JAGO a PALAZZO BONAPARTE

“Io non dico di cominciare dal nulla, in quanto ogni fatalità per prodursi, ogni creatura per nascere hanno bisogno di un seme il quale germina e si sviluppa dopo aver trovato il suo grembo, che è Spazio, che è Tempo, che è Dio.”

In queste poche righe di Arturo Martini del 1946, pubblicate su L’Illustrazione Italiana nel ‘48 con il titolo Il trucco di Michelangelo, ritroviamo l’essenza del pensiero artistico di Jago, la sua innata energia creativa, le sue potenti realizzazioni che si originano da tecniche tradizionali, la sua grande capacità comunicativa che riesce a metterlo in contatto con qualsiasi interlocutore.

Jacopo Cardillo, classe 1987, nasce a Frosinone, viaggia e lavora in Cina e in America, ma si stabilizza a Napoli dove risiede. Partecipa a numerose esposizioni tra cui la 54ª edizione della Biennale di Venezia, che gli è valsa la Medaglia Pontificia.

La mostra di Palazzo Bonaparte a Roma, dal 12 marzo scorso e prorogata fino al 28 agosto prossimo, curata da Maria Teresa Benedetti, riunisce una serie di opere, dodici, realizzate fino ad oggi in un lavoro sempre in fieri, capace di costante arricchimento. Passeggiando nelle sale dell’esposizione si rimane folgorati da opere come Figlio Velato (2019), Memoria di sé (2015), La pelle dentro (2012), First baby (2019) e dalla attualissima Pietà (2021), tutte realizzate in un abbacinante marmo bianco appartenente alla tradizione e realizzate con procedimenti esecutivi classici: dal disegno al modello, dal bozzetto d’argilla al calco in gesso. Ma allora cos’è che le rende così attuali se la tecnica ed i temi ispiratori sono antichi ed abusati?

Jago è un artista molto social, una vera e propria star dei media che, grazie a dirette streaming e minuziose documentazioni foto e video, coinvolge il suo pubblico, racconta il processo inventivo di ogni opera, condivide il percorso intrapreso, riesce a far partecipare attivamente ogni singolo followers. Per questo è così seguito e apprezzato e, in un costante gioco di rimandi, riesce a sensibilizzare il pubblico con la sua visione del mondo, tesa alle tematiche del presente, ma con un occhio alle tecniche artistiche del passato che gli consentono di ottenere levigate, scorrevoli superfici o pelli aspre e ruvide.

Dotato di una grande capacità persuasiva e dell’antico mestiere dello scultore, così come si intendeva nel Rinascimento, Jago compie operazioni dall’enorme potere mediatico, frutto certamente di una avveduta strategia personale, ma anche piuttosto convincenti.

Sono rimasta a lungo sorpresa davanti alla nudità di Papa Benedetto XVI. Il suo corpo denudato, il busto emaciato, la dolcezza dell’espressione fanno emergere l’umanità della persona, di chi è tornato ad essere uomo tra gli uomini. Habemus Hominem (2009/2016) è una scultura potente e realistica che contiene profondi significati simbolici. Come simbolica è l’immagine di Venere (2018) privata della giovinezza e della bellezza, ma che con estrema pudicizia, memore della posa e dell’atteggiamento della più nota Venere Capitolina, esibisce la propria pelle rugosa e flaccida come un monito che vuole ricordarci che dobbiamo resistere, nonostante tutto.

Jago è uno scultore realista di grande talento, che tenta l’impresa titanica di vincere il Tempo, stabilendo una perfetta simmetria tra passato e presente.

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