“EFFETTO NOTTE. NUOVO REALISMO AMERICANO”, L’ESPOSIZIONE PRESSO PALAZZO BARBERINI A ROMA.

Il graduale disfacimento del concetto di verità che ha caratterizzato la cultura americana negli ultimi anni corrisponde ad un ritorno della figurazione da parte di molteplici artisti contemporanei, concetti come alternative facts e post-truths si affermarono nell’opinione pubblica americana, e numerosi artisti iniziarono un’approfondita riflessione sul tema del realismo soprattutto nell’ambito della pittura.

“Effetto notte. Nuovo realismo americano”, è l’esposizione che mostra i lavori di maestri rilevanti accanto alle composizioni di celebri predecessori che si sono dedicati al verismo e alla sua rappresentazione.

Dal 14 aprile fino al 14 luglio 2024, le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, in collaborazione con Aishti Foundation di Beirut, una delle più importanti istituzioni di arte contemporanea sulla scena internazionale, presentano tale rassegna curata da Massimiliano Gioni e Flaminia Gennari Santori.

Più di 150, con 135 artisti statunitensi, le opere esposte. Tutte provenienti dalla collezione di Aishti Foundation, fondata 25 anni fa dall’imprenditore italo-libanese Tony Salamé e dalla moglie Elham.

L’esposizione prende il titolo da un’opera dell’artista newyorkese Lorna Simpson. Day For Night, in italiano, “Effetto notte”, è un trucco cinematografico che permette di filmare scene notturne durante il giorno, il titolo fu reso famoso da un film di Francois Truffaut del 1973.

In francese infatti l’effetto notte è denominato nuit américaine, la notte americana, rivolto alle immagini chiaroscurate degli artisti che hanno ritratto la realtà nella propria complessità.

Tali considerazioni sul realismo trovano un originale ed eccezionale ubicazione presso Palazzo Barberini in cui vi è la più vasta collezione al mondo di pittura caravaggesca.

La rivoluzione di Caravaggio è appunto nel suo marcato naturalismo, con un forte distacco da ogni idealizzazione, espresso nei soggetti dei suoi dipinti e nelle atmosfere in cui la plasticità delle figure è esaltata dalla particolare immaginazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena.

L’itinerario si articola attraverso le dodici sale dello Spazio Mostre al piano terra e continua in alcune sale monumentali del piano nobile: Atrio Bernini, Sala Ovale e Atrio Borromini, per terminare nel così chiamato Appartamento del Settecento, con un favoloso interno rococò, al secondo piano del Palazzo che per la rassegna sarà aperto per la prima volta ai visitatori in modo continuativo.

Nell’atrio Bernini, da cui si arriva dalla scala elicoidale progettata da Gian Lorenzo Bernini, è posto il Tagliaerba di Duane Hanson, scultura in bronzo policromo proprio del’iperrealismo americano degli anni Settanta.

L’artista è riconosciuto come uno degli scultori più significativi delle neo avanguardie, e il suo lavoro si è basilarmente concentrato nell’analisi e nella critica della common people, ridando al pubblico un’immagine estremamente stereotipata dell’americano medio. Egli ha attuato durante la sua attività un grande numero di statue con svariati materiali fra cui resina di poliestere, fibra di vetro e bronzo, ed è spesso associato al movimento della Pop Art.

La composizione esposta è relazionata con la Velata, l’insigne scultura settecentesca di Antonio Corradini, l’anti-eroe di Hanson.

Il realismo inquietante della figura di Hanson è amplificato dalla presenza dei Piccioni di Maurizio Cattelan. Al piano nobile, i Piccioni, appollaiati sulle lesene dell’atrio, ricordano gli uccelli del film del 1963 di Alfred Hitchcock.

Maurizio Cattelan è ritenuto uno dei più importanti e controversi artisti italiani della sua generazione. Le sue composizioni combinano la scultura con la performance, ma spesso includono eventi di tipo happening, azioni provocatorie, pezzi teatrali, testi-commento sui pannelli che accompagnano le sue opere d’arte.

C’è poi il Cavallo alieno di Urs Fischer, una scultura in alluminio e in acciaio galvanizzato che appare come un monumento equestre mutante (2013). Ma il cavallo non trasporta eroi e condottieri è invece un essere in cui organico e inorganico si legano per originare un robot che rammenta replicanti di film di fantascienza.

Le sue sculture partono da dicotomie, dallo studio delle combinazioni degli opposti: realtà e illusione, eternità e istantaneità; violenza e ironia, logica e assurdità.

Negli spazi spogli della Sala Ovale è collocato un’Arcangelo in fibra di vetro del famoso artista americano Charles Ray. La scultura di Ray, in verità, sembra più un surfista californiano che una creatura celeste, ma la finezza della posa e dei particolari e la superficie totalmente levigata determinano all’opera un distacco siderale, come se fosse un essere alieno.

Lo stile di Charles Ray è difficile da classificare perché i soggetti scelti, i materiali adoperati e le dimensioni delle sue composizioni sono variabili. In tutta la sua produzione è comunque sempre presente una forte influenza derivata dai suoi studi classici tanto da essere definito da molti critici d’arte come lo scultore di uno scultore.

Nella Sala Marmi sono situati oltre sessanta ritratti, in una moltitudine di effigi, ricostituendo l’ambiente di una quadreria seicentesca.

Nella seconda sala della esposizione si istaura un dialogo fra le opere di Nicole Eisenman, Dana Schutz e Salman Toor, artisti di generazione e formazione differente che però avevano in comune una propensione per l’estetica del grottesco.

Il senso del mostruoso, caratteristica della pittura di Schutz, con un’estetica carnevalesca spicca con forza nel ritratto di due gemelli, inquietanti come bambole e pupazzi senza vita.

Dana Schutz, originaria del Michigan è ora una forza creativa di Brooklyn, e dà vita a tele eruttive e figurative. Si muove mediante tavolozze di colori vivaci e narrazioni coinvolgenti, caricando i sui dipinti con pennellate vigorose, quasi caotiche, che rasentano l’astratto. Ogni suo lavoro pulsa di un’energia cruda e viscerale che invita gli spettatori in un mondo di intense emozioni e dinamismo.

I vibranti e imponenti quadri di Salman Toor ritraggono momenti intimi e quotidiani delle esistenze di giovani uomini e omosessuali, all’interno di una cultura cosmopolita contemporanea. Al centro del suo lavoro c’è l’essenza tragicomica di ogni identità, che nel suo caso si fa anche veicolo per riflettere sulla crescente xenofobia della società. In quanto omosessuale e musulmano, negli Stati Uniti Toor evidenzia le conseguenze del privilegio bianco.

Al centro di questa sala colpisce il maestoso quadro di Nicole Eisenman che regge una torcia elettrica per iluminare nella notte, il suo titolo è Dark Light o Luce Oscura e si identifica come un’idioma contemporaneo del ruolo dell’artista che, novello Diogene, si aggira per la città a caccia della verità.

Eisenman è sia una pittrice che una scultrice, oltre che una attivista queer-femminista. Nei suoi dipinti a olio figurativi ricorre spesso il tema della sessualità anche in forme caricaturali. Una caratteristica, quest’ultima, che si ritrova anche nelle sue sculture: i suoi busti infatti impressionano per le loro deformità e anomalie, disturbano e allo stesso tempo attirano il visitatore. Nelle sculture l’artista rappresenta tali forze mostruose, distorte e contorte, eviscerate e cancerogene.

L’immagine dell’opera presente trova anche una chiara simmetria con i quadri di Caravaggio e dei suoi seguaci, come già citato mostrati nel piano nobile di Palazzo Barberini.

Nella sala seguente vi sono lavori di Karen Kilimnik e Nicolas Party che, ognuno nella propria maniera, rivisitano le atmosfere del ritratto settecentesco: Party con l’utilizzo virtuosistico del pastello e Kilimnik con la sua pittura trasognata di memorie rococò nella quale attrici di Hollywood e starlet sono trasformate in personaggi da operetta.

Karen Kilimnik è un’artista americana, intreccia vividamente la pittura con l’istallazione artistica derivante dal suo profondo coinvolgimento nelle arti performative. Le sue composizioni, caratterizzate da un bizzarro plastiche di cultura popolare e riferimenti storici, sono eseguite con una tecnica impressionista che rasenta il fantastique. La sua arte cattura un senso di romanticismo nostalgico spesso evocando una risposta emotiva stravagante e onirica.

Nicolas Party è uno degli artisti giovani, i cui lavori negli ultimi anni hanno raggiunto quotazioni altissime, affermandosi come uno dei principali interpreti della storia dell’arte internazionale.

Nel cuore della sala si contorcono i corpi mutanti e di nuovo grotteschi di Louise Bonnet, sotto lo sguardo voyeur di Judith Eisler. Lo stile di Louise sembra quasi un momento di pausa in un cartone animato in cui l’azione si verifica e i corpi si deformano e si allungano tornando poi alla loro composizione originale.

La quarta sala mostra composizioni di pittrici che esplorano relazioni familiari e vita di coppia, solitudini domestiche e proteste di strada: è evidenziata una pittura di genere femminile. Parliamo delle tele della californiana Joan Brown che unisce folk, fumetto e l’estrema stilizzazione dei geroglifici egizi.

Brown è membro della seconda generazione dei Bay Area Figurative Movement, un gruppo di artisti che ha abbandonato lo stile dell’Espressionismo astratto per un ritorno all’arte figurativa negli anni Cinquanta e Sessanta.

Citiamo poi il ritratto dell’artista da giovane di Katja Seib, che realizza opere contemporaneamente familiari e stravaganti, unendo un sottile gioco di trama e immagini attraverso un’audace pennellata e una scrupolosa attenzione ai particolari.

Il carattere narrativo è fortemente presente nei suoi lavori, sulle cui superfici sembra si dispieghi una storia come sulle pagine di un romanzo di sapore autobiografico o molto spesso mediante un ritmo quasi cinematografico.

Il percorso prosegue nella sala successiva con la riproduzione del corpo nell’arte americana degli ultimi decenni.

Il fulcro di tale spazio sono i tre quadri di Joan Semmel, simbolo dell’arte femminista, emozionando ed appassionando i visitatori con le sue rappresentazioni rivoluzionarie della nudità e sensualità.

E’ stata testimone e una attivista del movimento femminista emergente, che ha portato alla ribalta le prospettive delle artiste donne spesso trascurate o marginalizzate dalla storia dell’arte tradizionale. I suoi autoritratti tramutano il corpo in ampie mappe e paesaggi, nello stesso tempo intimi e monumentali.

Le protagoniste di Janiva Ellis sono invece strane combinazioni meccaniche e organiche o arcani individui caricaturali all’interno dei dissidi razziali. Ella approfondisce le complessità della femminilità e dell’identità personale-afroamericana. Combina magistralmente surrealismo e attrazione per sfidare le percezioni impiegando una fluidità che deforma allo stesso tempo figure e paesaggi. I suoi dipinti evocano una tensione dinamica, infondendo negli spettatori emozioni crude e un provocatorio senso di disagio che accende l’autoriflessione.

Al centro della sala i busti di Andra Ursuta presentano sconosciute congiunzioni tra civiltà arcaiche e fantasie futuriste. Le sue sculture seducenti e inquietanti, di frequente eseguite iniziando da calchi del suo stesso corpo sono esseri ibridi radicali. Le sue opere celebrano la vulnerabilità della forma umana e la complessità del desiderio.

Richard Prince è uno dei maestri americani più influenti degli ultimi quarant’anni. Egli trasforma le sue Woman in figure distorte ed ectoplasmatiche. Parole, musica, scultura, fotografia, reprografia, disegno, pittura, grafica, non c’è attività estetica nella quale non si sia misurato, le sue opere, dalla fine degli anni Novanta in poi, sono delle vertiginose combinazioni di tecniche e materiali.

Nella sala accanto molti artisti reinventano la pittura di paesaggio. Il lavoro infatti di Nate Lowman è parte di una serie rivolta alle rappresentazioni di uragani, negli ultimi anni infatti è una componente dell’immaginario della cultura americana.

Mentre i paesaggi interiori di Sara Hughes e Josh Smith esprimono angoscianti analisi della psiche attraverso un neorealismo di stampo magico.

Nelle due sale seguenti vi sono composizioni con tematiche sulle tensioni razziali nell’America odierna e sulla sua storia secolare.

Nel primo ambiente è ubicata una delle note “repliche” di Sturtevant, conosciuta appunto per le sue particolari copie di lavori di celebri maestri contemporanei: Marcel Duchamp, Andy Warhol, e Keith Haring, opere che erano vere icone della sua generazione, differenziandosi dagli originali sono per alcuni dettagli che il maestro modificava.

Queste due sale trovano la loro conclusione con il grandioso trittico di Henry Taylor, creato intenzionalmente per la Biennale di Venezia del 2019. In esso egli celebra Toussaint Louverture, il leader che alla fine del Settecento fu a capo della ribellione degli schiavi e la sommessa haitiana contro la Francia.

Taylor rappresenta con sincerità la realtà dell’esperienza nera e i meccanismi spesso iniqui della vita americana. Malgrado la sua attenzione per le ingiustizie e il frequente inserimento di riferimenti alla storia dell’arte i suoi dipinti hanno forme e campi di colore immediati e ben definiti.

I grandi quadri di Davide Salle invece si riallacciano alla memoria del realismo degli anni trenta e del cinema noir. Le opere pittoriche dell’artista degli anni Ottanta rientrano nella corrente del postmodernismo e del

citazionismo, conciliando il mondo delle belle arti con le immagini dei mass media e della cultura di massa, e descrivono stereotipi sullo stile di vita americano.

E’ dalle medesime atmosfere oniriche di Salle che si impongono i mostri di Jimmie Durhan, uno degli scultori più innovativi odierni anche scrittore, saggista, poeta, performer e attivista.

E infine ricordiamo la composizione di Lorna Simpson che dà il titolo alla rassegna e le finestre di Ryanne Tanet oscurate con un filtro blu che copre la luce creando un effetto notte.

“Questo progetto invita il pubblico a immergersi in una mostra che vede nell’arte contemporanea uno strumento di conoscenza e scambio capace di collegare storie e culture diverse, testimoniando l’impegno a favore di un dialogo culturale che supera ogni confine”. Dichiara Tony Salamé, Presidente Aishti Foundation.

Tra i maestosi spazi barocchi ed eccentrici interni settecenteschi e attraverso le opere di una delle collezioni più autorevoli degli ultimi decenni, l’evento “Effetto notte” immerge lo spettatore negli sviluppi recenti della cultura americana in dialogo con l’arte e l’architettura di Palazzo Barberini.

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