De André vent’anni dopo. Il dramma del popolo

In occasione della recente ricorrenza, un mese fa, dei vent’anni dalla morte del celebre cantautore, si propone una breve riflessione sulla sua poetica. De André non cantava solo per se stesso. Cantava la strada, il passato, la vita borghese o selvaggia, il dramma e l’ironia delle vicende umane, mai cedendo a uno sterile intimismo. Questo è forse il carattere che più lo distacca da gran parte della musica italiana, soprattutto degli ultimi trenta o quaranta anni. L’io di Faber è forte e regge ogni interpretazione, ma proprio restando nascosto. Egli, come una maschera kierkegaardiana, è ora Don Giovanni, ora Padre di famiglia, ora carcerato, ora ladrone, ora Coda di lupo. È un interprete, dunque è di volta in volta un personaggio. E questo gli permettere di essere autenticamente popolare. Un poeta del popolo, come un aedo dei tempi post-moderni che come tutti i cantastorie di tutti i tempi racconta storie “essendone cantato”. Certo, l’epica omerica non si addice a un guascone come Faber, e forse avrebbe sogghignato a un paragone simile. Eppure nel cercare un filo conduttore della poesia occidentale sembra di poter individuare in fin dei conti due grandi dimensioni dell’arte di narrare e cantare le storie: le chiameremo l’epica e la moda. I classici veri, quelli eterni, sono epica, seppure con connotati di volta in volta diversi. Il resto, quando anche è pregevole, rimane moda, invecchia col passare dell’epoca. Non si dice niente di nuovo se si afferma che De André è un clasico, ma è bene riflettere in particolare sullo stretto legame fra il carattere ormai “canonico” e classico della sua poesia e il suo essere “popolare” in quanto epica. Certo, è un epica del mondo industrializzato, disincantata, tragica e ironica, ma proprio per questo il dramma che rappresenta riguarda tutti, e ciascuno, nella misura in cui si riconosce in quella sua rappresentazione un che di familiare, quasi un ricordo sbiadito di un albero genealogico, che dalle prostitute genovesi ai morti sulla collina passando per Gesù e per il suonatore Jones arriva agli studenti contestatori del Maggio.

In questo De André è popolare, in virtù del carattere evocativo della sua poetica, che è la sfumata reminiscenza di un mondo passato eppure presente nell’immaginario, che contribuisce a costruire e a far crescere. L’immaginario infatti è la linfa vitale e il tessuto connettivo del popolo, oggi, vent’anni fa, come ai tempi di Omero.

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