Il caso di Greta. Psicopatia del nostro tempo

Ciò che è accaduto alla giornalista Greta Beccaglia qualche settimana fa, dopo la partita Empoli-Fiorentina, non ha bisogno di essere nuovamente raccontato. La notizia, com’è giusto che sia un tempo iperconnesso come il nostro, ha immediatamente fatto il giro del web ponendosi sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Per poter intendere il significato ultimo di simili episodi ritengo che non bisogna leggerli isolatamente, ma collocarli in un’interpretazione generale della nostra contemporaneità. Utili criteri di riflessione e di analisi ci vengono offerti da un filosofo molto attento alle dinamiche, spesso assai oscure e contraddittorie, del nostro tempo: Umberto Galimberti. In un testo un po’ datato, ma pur sempre attuale per i suoi contenuti (La lampada di psiche, Feltrinelli, Milano, 2001) il filosofo dedica un capitolo agli adolescenti protagonisti di fatti di cronaca nera. Io ritengo che ciò che Galimberti abbia individuato come specifica rete di cause che spingono gli adolescenti ad uccidere (rete riassumibile dalla parola psicopatia) possa essere generalizzata fino a diventare criterio d’interpretazione generale utilizzabile per un’adeguata comprensione anche dei fatti come quelli che hanno visto protagonista Greta.

La psicopatia, prima di essere una condizione psichiatrica è, come dice la parola stessa, una patologia dell’anima (psyché), anzi letteralmente è una vera e propria assenza dell’anima. Tale assenza si può osservare, secondo Galimberti, in tutti quei casi in cui ad una coscienza lucida, volitiva e intenzionale non si associa (come invece dovrebbe essere) un sentire emotivo. Ecco dunque il motivo per cui la psicopatia, in un senso piuttosto filosofico che psichiatrico, può essere intesa come quella condizione delle anime (o delle interiorità, per chi lo preferisce) incapaci, soprattutto per ragioni di carattere educativo, di «pensare con la pancia». La vergogna, l’imbarazzo, il pudore, infatti, non sono parole poetiche vuote e prive di consistenza reale, ma dovrebbero essere condizioni emotive in grado di governare, secondo un preciso schema di valori introiettato per educazione, la condotta effettiva delle persone. Si potrebbe dire, dunque, che il deficit al quale si riferisce Galimberti è, in fondo, quello dell’intelligenza emotiva. Questi soggetti, cioè, non dispongono di una mappa emotiva in grado di definire i comportamenti corretti guidando la condotta su sentieri positivi, costruttivi e benefici ed evitando le condotte abominevoli, vergognose e lesive. Le persone psicopatiche (nel senso filosofico) non sono in grado, ritiene Galimberti, di registrare a livello emotivo le condotte assunte, che così possono essere attuate senza che ad esse conseguano sentimenti come la vergogna, l’imbarazzo o il senso di colpa. In senso ampio questo è sì un problema culturale ma, per essere più precisi, bisognerebbe dire che è un problema educativo laddove per educazione bisogna intendere una crescita del soggetto non soltanto sotto il profilo razionale ma anche sotto quello emotivo-sentimentale. I soggetti molestatori, nel caso di specie, oltre a non aver pensato all’azione lesiva che stavano mettendo in atto (peraltro in diretta televisiva) non hanno, con ogni probabilità, nemmeno sentito adeguatamente. Non hanno cioè sentito quell’insieme di emozioni che, se fossero state correttamente esperite, sicuramente avrebbero impedito la condotta immorale dei soggetti. Fatti come quello di Greta, in definitiva, ci spingono a riflettere criticamente sul nostro sistema educativo e ci invitano ad un’analisi profonda dei meccanismi pedagogici della nostra società.

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