Il cammino comune dell’insegnante di sostegno

Questa mattina alle 11:50 ho concluso il turno lavorativo in classe durato quattro ore. Il monte ore di due giorni lavorativi (unitamente alle cinque ore di ieri) ha superato di molto il tempo che un docente curriculare, mediamente, passa in una sola aula in almeno due o tre settimane. Non voglio istituire un confronto tra i ruoli, inevitabilmente diversi, dell’insegnante curriculare e quello di sostegno, che necessariamente vanno pensati in stretta e sinergica complementarietà e collaborazione. Voglio soltanto limitarmi a rilevare che l’insegnante di sostegno, quando svolge in modo coscienzioso la sua missione educativa, vive il clima della classe in un modo così intenso da poter dire, alla fine dell’anno scolastico, di aver camminato insieme ai propri studenti, dall’inizio alla fine. In giornate lavorative come quella di ieri, iniziata alle 8:00 e terminata alle 12:40, ho avuto modo di osservare il passaggio di ben quattro insegnanti curriculari diversi nella stessa aula e monitorare le diverse risposte comportamentali degli studenti, il loro diverso modo di porsi, di interagire, di tollerare la stanchezza e lo stress. Ad ogni ora gli studenti e le studentesse assumono forme diverse, danno risposte diverse e mostrano una tolleranza diversa alle varie stimolazioni didattiche e relazionali. Le interazioni fra di loro cambiano e in alcune circostanze i ragazzi più problematici diventano più affabili e quelli che generalmente sono considerati i “buoni del gruppo” assumono atteggiamenti fortemente disfunzionali e disregolati. L’ecosistema classe cambia di ora in ora e i sottogruppi interagiscono diversamente fra di loro e con gli insegnanti e, cosa assai importante, interagiscono diversamente con gli stessi studenti con disabilità (nella mia classe, composta da 17 persone ci sono 3 studenti con disabilità accertata e 4 studenti potenzialmente bisognosi di un PDP). L’elevata presenza di studenti con disabilità entra di diritto nella valutazione dei comportamenti del gruppo classe che sempre, inevitabilmente, si confronta con disabilità di cui spesso non comprende bene la natura. Gli studenti con disabilità, in altri termini, non vivono un microecosistema separato rispetto a quelli costituiti dagli studenti normotipici. Al contrario, grazie alla mediazione dell’insegnante di sostegno (quando svolge bene il suo compito di mediatore) gli studenti con disabilità vivono spesso situazioni di confronto-incontro con il resto del gruppo classe, proprio perché tali situazioni vengono appositamente ricercate e consapevolmente fatte accadere. L’insegnante di sostegno ha dunque una prospettiva assai privilegiata rispetto a quella di tutti gli altri insegnanti che si avvicendano nella classe, giorno dopo giorno. Per me è stato assai prezioso aver incontrato colleghi così sensibili alle difficoltà di taluni studenti, da richiedere pareri sinceri prima di prendere decisioni disciplinari. Ogni scelta didattica viene discussa insieme, con franchezza e spirito di collaborazione e molto spesso, durante i CdC, gli insegnanti curriculari richiedono il nostro parere (mio, e quello degli altri insegnanti di sostegno presenti in classe) per disegnare un quadro generale del gruppo, proprio per il lungo tempo che quotidianamente trascorriamo con loro. In questo modo noi insegnanti di sostegno riusciamo ad avere un quadro abbastanza chiaro dei fattori barrieranti e dei facilitatori che a volte – ecco il punto – non riguardano soltanto lo studente con disabilità, ma l’intero gruppo-classe. È il caso, ad esempio, della collocazione dell’aula. Ricordo che all’inizio dell’anno la classe in cui lavoro era posizionata al piano primo e disponeva di un pericoloso balcone facilmente accessibile da tutti. Proprio questa accessibilità costituiva una potente attrattiva, poiché dal balcone era possibile avere uno sguardo totale sul cortile e osservare tutti i movimenti di studenti, studentesse e del personale scolastico. Il flusso continuo sul balcone determinava, oltre che un oggettivo pericolo per l’incolumità degli studenti, anche un sommovimento dell’intera classe che per uscire in massa creava scompiglio proprio vicino la postazione dello studente con disabilità a cui sono stato affidato. Le sue difficoltà attentive erano perciò peggiorate con un gruppo classe che, in quello specifico momento dell’anno, assumeva comportamenti barrieranti e distraenti che però erano elicitati da una particolare collocazione dell’aula. Dopo l’intervento di spostamento dell’ubicazione della classe il comportamento del gruppo è rapidamente cambiato, lasciando spazio ad atteggiamenti più sicuri e meno perturbanti. È soltanto un esempio, questo, ma assai importante per comprendere bene come la vita della classe si fonda in verità su delicati equilibri, fortunatamente modificabili. I concetti di facilitatore e barriera sono in verità troppo generali. Essi descrivono, cioè, fattori e dinamiche effettivamente esistenti ma nella realtà dei fatti l’insegnante di sostegno, durante le sue osservazioni, non deve attendersi di rinvenire nel contesto classe barriere e facilitatori di macroscopica rilevanza. Essi possono essere sì presenti (come il caso della collocazione dell’aula dimostra con assoluta evidenza) ma generalmente c’è un mare magnum di fattori che a fatica viene rintracciato da un’osservazione asettica e distaccata. C’è una microstoria della classe che soltanto un’osservazione interattiva, dialogica, partecipativa è in grado di restituire in tutta la sua estrema complessità, ed è a partire da questa microstoria che l’insegnate di sostegno può poi effettivamente intervenire con strategie efficaci di mediazione.

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