Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Come è stato più volte ricordato, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, adottò la data a ricordo del brutale assassinio delle sorelle Mirabal, avvenuto nel 1960, considerate simbolo dell’impegno delle Donne a cercare giustizia e libertà, avverso alla dittatura militare di Rafael L. Trujillo.
Ebbene, leggendo i fatti di cronaca, ogni giorno assistiamo inermi ad una mattanza: una guerra civile, indirizzata verso un genere, operata per mani private, spesso familiari. Una impunita, o troppo poco punita, faida personale ove la vittima spesso è anch’ella avviluppata in una incapacità di reagire e abbattere la gabbia che la reclude, in una subordinazione fino all’annientamento psicologico e fisico.
L’efferatezza e la reiterata violenza perpetrata sistematicamente sul corpo delle Donne, radica in pregiudizi mai estirpati, in sovrastrutture ideologiche di matrice patriarcale antiche, quanto brutali.
Relazioni malate, dove sentimenti di vita e di gioia, come l’amore e la genitorialità, vengono soffocati in un malcelato senso di possesso, di prevaricazione del maschio sulla compagna e sulla discendenza.
Questi archetipi, introiettati profondamente nel tessuto sociale, rielaborano una narrazione distorta della realtà, ammantando di giustificazioni romantiche o facendo appello a sentimenti che, nei fatti, di umano e di emozioni, hanno ben poco. O che additano la vittima quale causa della stessa violenza subìta, permettendo un alleggerimento del crimine che sopisca e allevii le coscienze, confinando nella casistica “raptus/follia-passione-gelosia” e nel “se l’è cercata”, fatti di cui l’intera società dovrebbe interrogarsi.
E non dobbiamo neppure cadere nell’equivoco che teatro di questi fatti siano realtà lontane, intangibili: la violenza, nelle sue infinite declinazioni, alberga molto più vicino di quanto si possa credere. È nei pensieri distorti, è nelle battute sguaiate, nella gogna mediatica o negli sguardi lascivi, nel sarcasmo sessuato o in piccoli atti quotidiani di ordinaria emarginazione sociale.
Per non citare le molestie e i soprusi nei luoghi di lavoro. Ebbene è arrivato il momento di opporci ed essere noi a spezzare la spirale di annientamento della persona sotto il giogo del predominio. Quando inizieremo a rispettare le persone per ciò che sono, senza pregiudizi, né preclusioni, potremo dire di essere veramente liberi!