All inclusive, o quasi…

Non trascorre giorno senza che mi arrivi un invito a partecipare a uno dei mille concorsi riservati ad artisti da ogni parte d’Italia e anche da oltre confine. Tutti promettono sale espositive fantasmagoriche, chi sul Canal Grande, chi a picco sulla Costiera, chi in Vaticano, chi nell’albergo a dieci stelle… Tutti o quasi prevedono, incluso nel prezzo, la presenza delle opere su un album che farà il giro del mondo, un dischetto sulla serata della premiazione, la presenza di una tv locale (o anche nazionale), un diploma di partecipazione su carta pergamena, una critica da parte di un illustre addetto ai lavori. Spesso, poi, sarà presente il classico specchietto per le allodole, il vip di turno che garantirà della bontà della manifestazione e del clamore mediatico. Se, poi, il vip è anche uomo di arte il successo è assicurato. Ovviamente tutto questo ha un prezzo, certo, scritto nelle condizioni di partecipazione al concorso. Il prezzo sarà tanto più alto quanto più è alto il lignaggio dell’ospite di riguardo. Mettiamoci, per un attimo, nei panni dell’artista medio, intendendo con questo né il giovane appena uscito dall’Accademia di Belle Arti e né l’artista pienamente affermato. Artista medio, spesso chiamato emergente, perché è la tipologia più sensibile a certi richiami. Che cosa cerca, generalmente, un artista dalla sua attività? Fama o… soldi, e sorvolate sull’immediatezza, forse brutale, delle mie parole. Quale fama potrebbe addurre la partecipazione a un concorso in cui il principale merito dell’artista è disporre dei soldi necessari all’iscrizione? Quale fama potrebbe portare (e a chi) la foto realizzata in compagnia dell’ospite illustre, anche se critico o storico d’arte, postata senza una motivazione profonda che non sia la casuale (e remunerata…) compresenza fisica? Quale fama potrebbe portare la menzione sul proprio curriculum della partecipazione ed eventuale premiazione a un concorso che accetta qualunque artista purché munito del portafoglio necessario? Cosa resterà, di tale partecipazione, ai posteri?

Passiamo ora all’aspetto economico. L’impegno dell’artista, in tal senso, è certo e ben quantificato sin dall’inizio. Tra le regole del contratto di concorso (che, poi, è un vero e proprio contratto spesso fornito della clausola capestro della caparra…), spesso appare una postilla nella quale l’organizzazione chiede l’indicazione del prezzo per l’eventuale vendita dell’opera. Eventuale ovviamente, perché nessuno può garantirne la vendita. Quindi assistiamo ad una asimmetricità evidente, da una parte un importo ben definito a titolo di iscrizione al concorso, dall’altra un prezzo per una eventuale, se non impossibile, soprattutto di questi tempi, vendita. Un miraggio, solo un miraggio, che non prevede, a mio parere, l’unico elemento che un domani potrebbe risolvere il problema: la condivisione del rischio (di impresa) tra gli organizzatori e gli artisti. Tale strategia aziendale, infatti, fungerebbe da stimolo per gli organizzatori a invitare pubblico interessato all’acquisto e contribuirebbe a calmierare il costo dell’iscrizione al concorso, abbassando così anche il prezzo dell’opera per aumentarne le probabilità di vendita. Ovviamente, ma qui non sarà trattato il tema, l’artista proposto dovrà meritare una tale attenzione, onde non comportare perdite generalizzate.

Quale indicazione trarre dalle considerazioni, non certo positive, precedenti? A mio parere non si può attribuire una responsabilità unica ad alcuno dei partecipanti al fenomeno concorso artistico. Ogni parte fa il proprio lavoro e cerca la massimizzazione del proprio profitto. Purtroppo questo obiettivo non è allineato con gli obiettivi artistici, dell’artista e dell’arte in generale. Come ridurre il disallineamento? Lo vedremo in una prossima chiacchierata.

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