LA BIENNALE DI VENEZIA DI ARCHITETTURA 2021. “HOW WILL WE LIVE TOGETHER?” LA CERIMONIA DI PREMIAZIONE

“Tutto ciò che mi circonda a Venezia è pieno di nobiltà, è l’opera grande e rispettabile d’una forza umana concorde, il monumento magnifico non già di un sovrano, ma d’un popolo”. Johann Wolfgang von Goethe

Cantata e celebrata dai poeti, la città dei Dogi è circondata da un’atmosfera incantata, che si percepisce tra le calle, i canali, i ponti, in ogni angolo, in ogni dove; romantica, coinvolgente forse un po’ nostalgica, quel tanto che serve a attribuirle ancor più fascino. Gli aggettivi per presentare Venezia sono molteplici e qualsiasi descrizione, anche la più esauriente, non ha la possibilità, tramite le parole, di renderle piena giustizia; perché Venezia va visitata e ammirata nel suo immenso splendore, una bellezza quasi lontana dal tempo.

E’ aperta al pubblico da sabato 22 maggio a domenica 21 novembre 2021, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera la 17. Mostra Internazionale di Architettura dal titolo “How will we live together?” a cura di Hashim Sarkis, organizzata dalla Biennale di Venezia.

Il tema della Biennale di Venezia 2021 si sviluppa attraverso una domanda quanto mai reale nei nostri giorni: “How will we live together?”

Perché un mondo sempre più attento ai cambiamenti climatici, alle sensibilità sociali e specialmente, sulla via della ripresa da una pandemia mondiale, ha tutto il bisogno di conoscere come vivremo su questo pianeta. La mostra descrive il mondo di un futuro prossimo, un viaggio pieno di interpretazioni, da quelle più emozionanti a quelle più concrete. Il programma, come spiega il suo curatore, l’architetto libanese Hashim Sarkis, è determinato da sette direzioni principali, un progetto che è stato portato avanti attraverso la guida all’avanguardia del nuovo Presidente Roberto Cicutto. Questa Biennale infatti si distacca dal programma classico: sono presenti eventi tematici, media diversi, che spaziano dalle pubblicazioni scritte ai film e svariate attività collaterali e mostre collettive. Nell’arco di quest’anno, la Biennale ha richiamato tutti a riconsiderare il futuro dell’architettura mediante un nuovo punto di vista causato dalla pandemia. Iniziando dal titolo del progetto, le domande da farsi sono: Come vivremo insieme? I moltissimi temi propri del curatore sono di tendenza e notevolmente complessi: dominante è la fragilità della terra, tra distopie apocalittiche e utopie tecnologiche. La terra delle risorse sempre più limitate, dei cambiamenti geografici demografici, dei flussi migratori, della pervasività delle reti, la pandemia, la terra del post-human, della ipertrofia delle promesse tecnologiche: molteplici gli argomenti, che sono all’interno della mostra, ma che tuttavia, attraverso modelli che riproducono i linguaggi dell’arte, con istallazioni, gli architetti non sono alquanto convincenti. Infatti i lavori degli artisti veri, ospitati nella mostra, sono molto più persuasivi e in sintonia con i temi. Le maggiori tematiche sociali sullo sfondo, dai cambiamenti della famiglia agli anziani, dai profughi ai migranti, danno vita a studi sull’autocostruzione, l’integrazione tra abitazione e ufficio, i servizi condivisi. Ma il timore fondamentale della Biennale è l’ambiente, sviluppato in maniera istituzionale al Padiglione Centrale ai Giardini. Si incrociano vita quotidiana, storia, architettura, ricerca universitaria, arte antica e contemporanea, artigianato per un numero di abitanti sempre più ridotto. E se la Biennale è il compendio dell’investimento pubblico, italiano o internazionale, nella sincronia di tutte le arti, la città è anche il luogo delle moltissime fondazioni dei magnati, eredi e collezionisti di antiche famiglie di industriali, dei grandi dirigenti d’azienda consacrati alla cultura. Con allestimenti ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera, la Biennale quest’anno va oltre la scala edilizia o di pura architettura, per includere appuntotemi sociali, variando fra mostre e allestimenti con argomenti di interesse residenziale, estendendosi sino alla città, a dimensioni regionali o di realtà nazionali.

La Mostra Internazionale contiene lavori artistici di 112 partecipanti, provenienti da 46 Paesi, partecipano per la prima volta: Grenada, Iraq e Uzbekistan e la selezione dei partecipanti ha ampliato la rappresentanza di Africa, America Latina e Asia, oltre a dare più spazio alle architette.

“Apriamo i Giardini e l’Arsenale con una consapevolezza ancora maggiore di quanto il lavoro della Biennale sia specchio del mondo contemporaneo, che viene qui interpretato e talvolta anticipato dalle proposte dei curatori e di quanti vi partecipano con le proprie opere. La domanda presente nel titolo How will we live together? È stata da tutti riconosciuta come profetica, ancora prima della pandemia. 126 anni di storia della Biennale dimostrano come la sua contemporaneità travalichi le stesse forme d’arte che rappresenta accogliendo l’insegnamento, il pensiero, la provocazione di artisti provenienti da tutto il mondo. ….. C’è chi non ritiene l’Architettura un’arte o al più la definisce “arte applicata”. Tuttavia l’Architettura, al pari delle altre espressioni artistiche, trova la sua ragion d’essere proprio nel profondo legame che ha con la vita e con la società, quando attraverso la sintesi creativa è capace di rappresentare tutti gli aspetti del vivere umano”, spiega il Presidente Roberto Cicutto.

Hashim Sarkis, il curatore della Mostra chiarisce: “La domanda: How will we live together? È antica e allo stesso tempo urgente. I babilonesi la posero nel costruire la loro torre. L’ha posta Aristotele quando scriveva di politica. La sua risposta è stata “la città”. La posero le rivoluzioni francese e americana. Sullo sfondo tumultuoso dei primi anni Settanta del secolo scorso, Timmy Thomas lo implorò nella sua canzone Why Can’t We Live Together? E’ senz’altro una questione tanto sociale e politica quanto spaziale. In tempi più recenti, con la rapida trasformazione delle norme sociali, la polarizzazione politica tra sinistra e destra, il cambiamento climatico e il crescente divario tra lavoro e capitale, la domanda diventa ancora più urgente e rilevante, e su scala diversa rispetto al passato. Parallelamente, la debolezza dei modelli politici proposti oggi ci costringe a mettere lo spazio al primo posto e, forse come Aristotele, a guardare al modo in cui l’architettura plasma l’abitazione per immaginare potenziali modelli di come potremmo vivere insieme”. ….. Poniamo questa domanda agli architetti perché non siano soddisfatti delle risposte oggi offerte dalla politica. Nel contesto della Biennale Architettura poniamo questa domanda agli architetti perché crediamo che abbiano la capacità di dare risposte più stimolanti di quelle che la politica ha finora offerto in gran parte del mondo. La poniamo agli architetti perché hanno la grande abilità di attirare diversi attori ed esperti nel processo di progettazione e costruzione. La poniamo agli architetti perché noi, come architetti, ci preoccupiamo di dare forma agli spazi in cui le persone vivono insieme e perché spesso immaginiamo questi ambienti in modo diverso dalle norme sociali che li dettano. ….. In un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme. Insieme come esseri umani che, nonostante l’individualità crescente, desiderano ardentemente connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale; insieme come nuovi nuclei familiari alla ricerca di nuovi spazi abitativi più diversificati e dignitosi”.

Hashim Sarkis Architetto, docente e ricercatore, nasce a Beirut nel 1964, titolare di Hashim Sarkis Studios (HSS), fondato nel 1998 e con sedi a Boston e Beirut, è presidente dal 2015 della School of Architecture and Planning del Massachussetts Institute of Technology (MIT). Prima di questo ruolo è stato Aga Khan Professor di Architettura del Paesaggio e Urbanistica alla Harvard University.

La Biennale che si articola fra l’Arsenale e il Padiglione Centrale dei Giardini è un avvicendarsi forse un poco disorientante per la sua pluralità di linguaggi, di istallazioni, immagini e modelli che evidenziano l’idea

dell’agire insieme, mettendo in ruolo primario l’architettura come materia visionaria in grado di ideare nuovi schemi di organizzazione sociale, ma anche come disciplina tecnica, che analizza e sperimenta tipologie, materiali e tecnologie relative ad una maggiore sostenibilità ambientale delle costruzioni.

La mostra è organizzata in cinque “scale”, o aree tematiche, tre allestite all’Arsenale: Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, e due al Padiglione Centrale: Across Borders e As One Planet; l’individuo, le abitazioni, le comunità, il territorio e il pianeta.

In ogni sala, i lavori dialogano fra loro in un’ulteriore ripartizione in sottosezioni. Sono presenti gli spazi riservati ai mari e alle foreste, altri al corpo e alle intelligenze collettive. Ogni composizione ha una storia da rivelare mediante le didascalie oppure, con il servizio di catalogo parlante, che vede in ogni spazio delle guide a cui chiedere informazioni sui progetti in esposizione.

Among Diverse Beings è caratterizzato da Designing for New Bodies che tratta i cambiamenti nella percezione e concezione del corpo umano mentre Living with Other Beings mette in primo piano l’empatia e l’impegno nei confronti di altri esseri.

As New Households è determinato da Catering to New Demographics che risponde ai cambiamenti della composizione delle famiglie e alla loro densità, da Inhabiting New Tectonics che esplora le tecnologie che consentono la costruzione di alloggi innovativi e da Living Apart Together che espande le potenzialità del condominio come una tipologia abitativa collettiva.

As Emerging Communities è suddiviso in: Appealing to Civicness che ricerca nuovi modi in cui le comunità si possono organizzare lo spazio, Reequipping Society che propone nuove forme di attrezzature sociali, da Coming Together in Venice che immagina il futuro di Venezia alla luce delle sfide causate dall’innalzamento del livello del mare, dalla pandemia e dal cambiamento demografico, da Co-Habitats che mostra come viviamo insieme… ad Addis Abeba, nel campo profughi di Azraq, a Beirut, a Hong Kong, nei corridoi India-Pakistan, in un insediamento abusivo a Lagos rispetto a uno al Cairo e un altro a Guadalajara, a New York, a Pristina, a Rio de Janeiro e nell’area di San Paolo.

Across Borders è ripartito in: Transcending the Urban-Rural Divide che mitiga le crescenti differenze sociali ed economiche tra le città globali e l’hinterland globale, Linking the Levant che negozia le forti divisioni politiche nella regione del Levante, Seeking Refuge che analizza le sfide spaziali del dislocamento forzato, Resourcing Resources che propone una migliore distribuzione delle nostre risorse comuni, Protecting Global Commons che porta l’immaginario architettonico a impegnarsi per il nostro patrimonio naturale in via di estinzione come i Poli, l’Amazzonia, gli Oceani, la regione Indo-Pacifica e l’aria.

As One Planet è contraddistinto da Making Worlds che anticipa e regola il futuro del pianeta, da Designing the Assembly of the Future che propone un futuro speculativo più che umano alle Nazioni Unite, da Changing Designs for Climate Change che presenta soluzioni per far fronte al degrado globale dell’ambiente e da Networking Space che crea collegamenti tra la Terra e lo Spazio.

Oltre alle Sezioni nelle “stanze” degli spazi del Padiglione Centrale e all’interno delle Corderie, i Giardini e gli spazi aperti dell’Arsenale ospitano svariate istallazioni concernenti ad una delle cinque scale. Poi, nella superficie del parco di Forte Marghera in terraferma cinque progetti rispondono al tema: How Will We Play Together? Si ha l’impressione che, soprattutto nella prima e nell’ultima scala, cioè nel micro e decisamente macro, dove è trattato il pianeta e l’universo, sia presente molta più arte che architettura. E’ subito evidente che nelle prime sale delle Corderie dell’Arsenale, sono situati progetti di social distancing ante-litteram, Social Contracts di Allan Wexler, architetture religiose indossabili, Silk Road Works di Azra

Aksamija, un baldacchino di nuvole sonore, Grove di Philip Beesley, paesaggio metafora della città aperta e senza barriere. Successiva la scienza, che ha un ruolo sempre più rilevante, con gli edifici probiotici, creati con pareti porose e organiche di David Benjamin di The Living, il paesaggio curato da un giardiniere robotico Magic Queen di Daniela Mitterberger e Tiziano Derme di MAEIS, le strutture architettoniche realizzate dall’intelligenza artificiale sulla base dei segnali neurologici del nostro cervello, Sense of Space di Refik Anodol con Gokhan S. Hotamishgil. Mentre nell’area macro, nel Padiglione Centrale dei Giardini, si mostra la tecnologia, presentata in modo deciso da molti lavori come unico strumento in grado di arginare la crisi ambientale che abbiamo determinato e seguitiamo ad alimentare.

A completare l’esposizione ai Giardini si aggiunge Future Assembly, una mostra pensata da Studio Other Spaces rappresentato dai suoi fondatori, l’artista Olafur Eliasson e l’architetto Sebastian Behman dove tutti i partecipanti della mostra sono chiamati a interpretare una assemblea sul modello delle Nazioni Unite dove rappresentare gli interessi della natura.

Contemporaneamente con la 17. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, I Giardini della Marinaressa accolgono Striatus Bridge, prototipo di ponte pedonale in calcestruzzo stampato in 3D. La costruzione di Striatus Bridge è impostata da Philippe Block del Block Research Group dell’ETH di Zurigo e determinata nei suoi calcoli parametrici da CODE, il Computational Design Group interno a Zaha Hadid Architects, rappresentato qui da Shajay Bhooshan. La start up austriaca incrementa il 3D e poi lo stampa con il calcestruzzo somministrato da Holcim, promotore e regista dell’intervento. Il ponte aperto al pubblico, che è in scala 1:1, è transitabile ma è collocato sulla terra ferma.

Dal 23 luglio al 1 agosto la Mostra Internazionale di Architettura ha incrociato il 15. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, accogliendo in Arsenale nella sezione “Among Diverse Beings”, le istallazioni e i danzatori-coreografi della Biennale College. Sotto la guida del Direttore Artistico della Biennale Danza, Wayne McGregor, essi hanno rappresentato frammenti coreografici, “istantanee” o “schizzi” ispirati da segni, materiali e temi della Mostra di Architettura. Il programma della Biennale è impreziosito inoltre dai Meetings on Architecture, incontri con architetti e studiosi del mondo intero. All’interno anche una partnership con il Victoria and Albert Museum di Londra, un processo cominciato con l’ex presidente Baratta e tutt’ora l’unico progetto speciale di Biennale con un museo internazionale. Insieme propongono il Progetto Speciale al Padiglione delle Arti Applicate (Arsenale, Sale d’Armi A) chiamato Three British Mosques. In collaborazione con l’architetto Shahed Saleem, la mostra ha come focus tre moschee britanniche e le loro comunità e si rivolge ai temi della migrazione, dell’”ibridità” e della multiculturalità.

Ma chi ha vinto il Leone d’Oro?

Lunedì 30 agosto a Cà Giustinian la giuria internazionale, con la presenza del Ministro della Cultura Dario Franceschini, con il Leone d’Oro ha premiato il Padiglione degli Emirati Arabi con “Wetland”, per la migliore partecipazione nazionale. Esperimento che ci spinge a riflettere alla tenue connessione tra spreco e produzione sia a una scala globale che locale, offrendo un modello costruttivo che lega artigianalità e tecnologie avanzate. Il progetto mostra un prototipo su larga scala, realizzato da un cemento innovativo composto da scarto industriale riciclato che limita sensibilmente l’impatto climatico, l’esperimento riporta al rapporto tra spreco e produzione.

Due menzioni speciali sono state attribuite alle Partecipazioni Nazionali di Russia, “Open!” e Filippine con “Structures of Mutual Support”.

Il Padiglione della Russia ai Giardini ha totalmente ricostruito se stesso mediante lo sviluppo di nuovi piani più solidi e inclusivi rispetto sia alla sua struttura fisica che istituzionale. Una ristrutturazione attenta che si innesta nello spazio esterno e guarda al futuro.

Il Padiglione delle Filippine è un ammirevole progetto comunitario che dà vita a un archivio ricco di esperienze e pratiche collaborative di costruzione. Un’esplorazione critica e una messa in atto del sostegno reciproco come metodo di prassi architettonica che implica criteri di resilienza, trasformazione cambiamento climatico e strutture forti e resistenti.

Ancora premiata “raumlaborberlin”Germania Berlino “Instances of Urban Practice”, per una proposta progettuale collaborativa di grande ispirazione che invita alla partecipazione e alla responsabilità collettiva presentando due interventi moderni per una rigenerazione civica visionaria

Il Leone d’Argento per un promettente giovane partecipazione “Foundation for Achieving Seamless Territory” (FAST), Amsterdam, The Netherlands; New York, USA; “Watermelons, Sardines, Crabs, Sands, and Sediments: Border Ecologies and the Gaza Strip”, per una proposta audace che ci rende consapevoli delle storie divise, le pratiche agricole, i rituali della vita quotidiana e la condizione dei nuovi insediamenti e dell’occupazione.

La giuria ha anche conferito una menzione speciale a “Cave Bureau”, Nairobi, Kenya: “The Anthropocene Museum: Exhibit 3.0 Obsidian Rain” per una esplorazione visionaria e creativa di uno degli ambienti più antichi abitati dall’uomo.

Descriviamo ora i padiglioni dei Giardini più belli, a mio avviso, della 17. Mostra di Architettura di Venezia.

Il Padiglione della Danimarca esterna esattamente il significato della Biennale, posizionando in primo piano del suo “Conect-ed-ness” proprio l’acqua, attraverso un percorso ispirato appunto dall’acqua piovana raccolta dal tetto, che si infiltra nel padiglione sino a formare un bacino da percorrere con una passerella sopraelevata. Curato da Marianne Krogh e allestito da Lundgaard & Tramberg Architects, il padiglione risponde alla domanda di Sarkis mediante infatti la simbologia dell’acqua, rammentandone la rilevanza per qualsiasi forma di vita e rilevando come il suo flusso ciclico e la mancanza di confini leghino passato, presente e futuro, dando origine a un legame imprescindibile fra tutti gli esseri viventi.

Nel Padiglione della Spagna il tema è al centro di Uncertainty, l’incertezza come fonte inesauribile di risorse e opportunità. L’opera dei curatori Domingo Jacobo Gonzales Galvan, Sofia Pinero Rivero, Andrzej Gwizdala e Fernando Herrera Perez si rivolge infatti all’incertezza interpretata come l’opportunità di creare processi di riflessione per generare una rivoluzione del nostro pensiero. Il padiglione si tramuta quindi in una macchina interattiva, una piattaforma incerta che induce il visitatore a porsi la domanda collettiva del come vivere insieme: “nuvola” di fogli che raccoglie idee e proposte di strategia di intervento.

Nel Padiglione del Giappone una casa vecchia in legno è stata smembrata nelle sue singole parti, dalle strutture agli arredi, per essere poi spostata e ricostruita a Venezia con l’aggiunta di materiali contemporanei. Curato da Kozo Kadowaki e allestito da Jo Nagasaka, Ryoko Iwase, Toshikatsu Kiuchi, Taichi Sunayama, Daisuke Motogi, Rikako Nagashima, è caratterizzato da un’istallazione che abbina materiali vecchi e nuovi che ha coinvolto la creatività artistica di diverse figure professionali: è infatti l’idea del vivere insieme, cioè architettura come catena di azioni molteplici ma collaborative.

Nel Padiglione degli Stati Uniti, il telaio ligneo, impiegato per la maggioranza degli edifici americani, circa il 90%, qui viene adoperato per realizzare la sua facciata con un’istallazione di quattro piani. Una nuova

struttura in scala reale che richiama il passato cioè il “ballon frame”, soluzione pragmatica che, a partire dai primi dell’Ottocento, dà inizio a un’edilizia domestica. Una struttura all’aperto accessibile ai visitatori, come anche la parte interna dove è ubicata una collezione di lavori.

Il concetto del Padiglione del Belgio si rifà alla domanda: “Come possono città e architettura prosperare insieme?” L’eventuale risposta, seppur parziale, è propria dell’allestimento scenografico di Bovenbouw architectuur, un plastico del paesaggio in cui modelli in scala 1:5 in legno e carta, posizionati ad altezza tavolo, individuano la relazione la relazione unica tra città e architettura, nelle Fiandre e a Bruxelles, presentando il caratteristico ambiente urbano fiammingo.

Il Padiglione Venezia riservato alla città lagunare pone centralmente nella sua esposizione la qualità dell’architettura per l’educazione delle future generazioni.

“Comunità Resilienti”, così si chiama il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini,in Arsenale, e mette in posizione primaria attraverso la sua totale drammaticità, la questione del cambiamento climatico e importanti sfide ad esse associate che richiamano l’architettura. Vuole infatti evidenziare come il cambiamento climatico stia mettendo a dura prova la resilienza del sistema urbano, produttivo e agricolo. Esso è sostenuto e promosso dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Creatività contemporanea ed è a cura di Alessandro Melis.

In occasione dell’inaugurazione della Biennale è stato anche assegnato il Leone d’Oro speciale alla memoria a Lina Bo Bardi, architetto designer, scenografa, artista e critica italiana naturalizzata brasiliana, la celebrazione di riconoscimento si è svolta sempre lunedì 30 agosto. Nata a Roma nel 1914, co-direttrice di Domus nel 1944, nel 1947 Lina Bo Bardi si trasferisce in Brasile dove edifica, fra il 1957 e il 1969 il Museu de Arte de Sao Paulo (MASP), la sua Casa de Vidro e il SESC – Fabrica da Pompeia, fra gli altri progetti.

“La sua carriera di progettista, editor, curatrice e attivista ci ricorda il ruolo dell’architetto come coordinatore (convener) nonché, aspetto importante, come creatore di visioni collettive. Lina Bo Bardi incarna inoltre la tenacia dell’architetto in tempi difficili, siano essi caratterizzati da guerre, conflitti politici o immigrazione e la sua capacità di conservare creatività, generosità e ottimismo in ogni circostanza”, ha asserito Hashim Sarkis.

Leone d’Oro alla carriera anche allo spagnolo Rafael Moneo, architetto, docente, teorico dell’architettura e critico; a lui il curatore Sarkis ha voluto riservare una mostra all’interno del Padiglione del Libro ai Giardini, con una serie di plastici e immagini dei suoi progetti, legata al tema della Biennale. Rafael Moneo è uno degli architetti più progressisti della sua epoca, come professionista e tramite l’ampia varietà di edifici da lui costruiti, come il Kursaal Auditorium , il Museo del Prado, la Atocha Train Station e la Cattedrale di Los Angeles, Moneo evidenzia in ogni suo progetto architettonico l’importanza delle condizioni distintive dei luoghi e di programma. Come docente ha formato varie generazioni di architetti verso un’architettura interpretata come vocazione, come studioso ha usato le sue capacità illustrative e la sua precisione analitica per rivisitare alcuni dei più classici edifici storici.

“Nell’arco della sua lunga carriera Rafael Moneo ha confermato la sua abilità poetica, rammentandoci la capacità propria della forma architettonica di esprimere, plasmare, ma anche di perdurare”, si legge nel comunicato stampa che annuncia il premio. “Ha inoltre dimostrato un impegno costante nei confronti di un’architettura intesa come atto del costruire”.

Nella città di Venezia presenti anche 17 eventi collaterali, tutti ammessi dal Curatore e promossi da enti e istituzioni nazionali e internazionali.

Ocean Space,spazio interdisciplinare riservato alla conoscenza degli oceani di Thyssen-Bornemisza Art Contemporary (TBA21) a campo San Lorenzo accoglie due mostre che chiedono “ragione e sentimento”. Nella chiesa sconsacrata si viene ospitati da “Territorial Agency: Oceans in Transformation”, un’istallazione prodotto di tre anni di studi sul rapporto tra le azioni dell’uomo e i cambiamenti degli oceani.

Palazzo Grimani, museo pubblico da poco ripristinato, è un capolavoro. Nell’unico edificio cinquecentesco di Venezia in stile romano, nei secoli privato di tutti i suoi arredi e opere d’arte, è presentata “Archinto” una mostra di Georg Baselitz, l’artista tedesco, che con la città ha una storia lunga.

Minuscola e raffinata la mostra di Bijoy Jain-Studio Mumbai e Luisa Lambri alla galleria Alma Zevi. E’ una stanza con due opere per ciascuno in rapporto tra loro e la città.

Alla Fondazione Bevilacqua La Masa Palazzetto Tito, “Pratiche di cura, o del cur(v)are”, l’incantevole esposizione di Elena Cologni, artista italiana di stanza a Cambridge, è una mostra fatta di disegni , sculture, installazioni e coreografie performative.

Presso San Marco, la sede veneziana della Fondation Louis Vuitton ospita l’esigua ma elegante rassegna, che raffronta le composizioni di Charlotte Perriand e la prima fase di ricerca di Frank Gehry con due progetti presentati per la prima volta: Tritrianon, 1937, di Perriand e Power Pack, 1969, di Gehry. Progetti di abitazioni a basso impatto ambientale, dalle abitazioni minime all’autonomia energetica degli edifici.

Nei Giardini Reali, è mostrata l’opera di Labinac, il collettivo fondato a Berlino dagli artisti Maria Thereza Alves e Jimmie Durham. L’esposizione si chiama: “Echoes of the Forest”, contiene anche trenta tavoli creati volutamente per i Giardini ispirati al pino endemico mediterraneo.

La Fondazione Giorgio Cini a San Giorgio, in Le stanze del vetro, rappresenta “L’Arca di vetro”. La collezione di animali di Pierre Rosenberg. Centinaia di animali compiuti a Murano, lo storico direttore del Louvre di Parigi infatti li ha collezionati lungo i suoi viaggi a Venezia.

Al Fondaco dei Tedeschi, il designer Maarten Baas in collaborazione con Theun Mosk, ha creato una grande istallazione, “Second Act” e sono esposti anche gli orologi Sweepers, parte della celebre serie Real-Time Clocks.

“Bruce Nauman. Contrapposto studies” è a Punta della Dogana. Mostrati lavori storici e odierni dell’importante artista americano che dagli anni Sessanta studia i molteplici linguaggi rivolgendosi verso la definizione di pratica artistica.

Mentre l’artista Peter Fischli ha realizzato una rassegna per la Fondazione Prada in cui rappresenta l’ipotetica morte della pittura, sino alla ricerca dei momenti di rottura che ne avrebbero compromesso la fertilità come linguaggio.

Ecco con la Biennale bellezza e garbo, dopo tanto buio, Venezia finalmente si riapre al mondo. L’apertura della 17. Mostra di Architettura è infatti un risultato insperato, un evento eccezionale, per il quale dobbiamo ringraziare la Biennale come istituzione, il suo Presidente Roberto Cicutto e il curatore, Hashim Sarkis. Ed è un sintomo di grande rilievo, essendo la prima grande manifestazione internazionale aperta al pubblico dopo la pandemia.

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