ALDILÀ DEL MURO. Giacometti e le infinite possibilità del vuoto

Dal 16 novembre 2019 al 5 aprile 2020, il Palazzo della Gran Guardia di Verona ospita la mostra Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght, a cura di Marco Goldin. La rassegna, organizzata da Linea d’Ombra, in collaborazione con la prestigiosa Fondazione Aimé e Marguerite Maeght di Saint-Paul-de-Vence (una delle più importanti collezioni d’arte del XX secolo a livello europeo), celebra la figura dello scultore, pittore e incisore svizzero Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 1901 – Coira, 1966), con una selezione di circa un centinaio opere, fra sculture, disegni e dipinti, che ne ripercorrono tutta la carriera, evidenziandone in particolare il rapporto con il contesto storico e culturale della Parigi del primo Novecento, strettamente legato alla sua vicenda biografica e artistica.

Alberto Giacometti nacque nel 1901, a Borgonovo di Stampa, nel Canton Grigioni (Svizzera), da Annetta Stampa, svizzera discendente di rifugiati protestanti italiani, e Giovanni Giacometti, noto pittore post-impressionista svizzero. Dotato, fin da bambino, di interesse e talento per il disegno, la pittura e la scultura, frequentò l’École des Beaux Arts e l’École des Arts et Metiers di Ginevra e, conseguito il diploma, nel 1921, si trasferì a Roma, per approfondire lo studio della pittura italiana rinascimentale. Iniziò, allora, a concepire l’idea di un’arte che affondasse le proprie radici nell’impulso primigenio della vita, espressa attraverso un linguaggio diretto ed essenziale, primitivo e, insieme, innovativo e accessibile al mondo moderno.

A. Giacometti, Grande donna, 1960.

Soddisfatto del soggiorno romano, si stabilì, nel 1922, a Parigi, per seguire i corsi del pittore Émile Antoine Bourdelle all’Accademia della Grande Chaumière. Qui, aprì, assieme al fratello Diego, uno studio e vi rimase fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, quando decise di rientrare a Ginevra. In questa prima fase parigina, il suo stile subì una costante e curiosa evoluzione, dalle prime prove, di evidente impronta cézanniana (di Cézanne aveva apprezzato l’opera appena due anni prima, nel 1920, in occasione della Biennale di Venezia) e picassiana, a opere scultoree d’ispirazione sempre più consapevolmente surrealista, per poi tornare a un’arte più realistica. Il successo giunse, intorno al 1927, con le prime composizioni plastiche, a carattere spesso erotico, di parti anatomiche deformate, spie di una intima vocazione surrealista, che Giacometti abbraccerà un anno più tardi, aderendo ufficialmente al Surrealismo. Per circa un decennio, partecipò alle mostre del gruppo e frequentò molti dei suoi massimi esponenti, come Hans Arp, Max Ernst, Joan Miró, Paul Éluard, Louis Aragon, Jacques Prévert, e, soprattutto, il poeta e critico, fondatore del movimento, André Breton, conducendo, tuttavia, la propria ricerca espressiva in maniera autonoma. Infatti, già a partire dalla metà degli anni ’30, aveva incominciato a manifestare il desiderio di recuperare il contatto con la realtà concreta, adottando un linguaggio più semplice e legato alla natura e un diverso approccio ai materiali e alle tecniche.

Trascorsi gli anni della guerra a Ginevra, nel 1946, tornò nuovamente a Parigi e intraprese la sua ultima e più nota fase creativa. A questo periodo risale l’incontro e il sodalizio, intenso e

proficuo per entrambi, con il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre, che ne colse e valorizzò i riferimenti all’inaccessibilità degli oggetti e della incolmabile distanza esistente tra gli uomini. Il tema della solitudine e dell’incomunicabilità attraversa un po’ tutta l’opera di Giacometti, ma trova la sua massima espressione nelle sculture filiformi. Esse rappresentano figure umane, erette o intente a camminare, talvolta disposte o, meglio, disperse su superfici squadrate, che evocano l’idea delle piazze, o busti di persone, con la testa (in senso longitudinale) e il busto (in senso trasversale) appiattiti. Le loro superfici sono increspate e consunte e creano l’illusione di un movimento, non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo. Dal 1947, riprese inoltre a dipingere e disegnare, soprattutto i famigliari, gli animali domestici, gli oggetti che lo circondano, paesaggi visti e vissuti. Così come nelle sculture, anche nei dipinti il filo conduttore è un paralizzante senso di isolamento e immobilità. Protagonisti sono anche qui sottili personaggi dai contorni corrosi, sciupati dall’esistenza, smarriti in uno spazio tetro e irreale, apparizioni fulminee di un tempo remoto e dimenticato.

Nel 1962 ricevette il Gran Premio della scultura alla Biennale di Venezia. Dedicò gli ultimi anni della sua vita al lavoro, esponendo con successo in tutta Europa. Pur gravemente malato, nel 1965, volò a New York per la sua mostra al Museum of Modern Art. Morì a Coira, nella natia Svizzera, nel 1966.

Come il titolo stesso suggerisce, la mostra non si limita a ricostruire le varie tappe dell’evoluzione stilistica del maestro svizzero, ma si propone anche di valorizzarne il ruolo di primo piano svolto nella scena artistica europea del XX secolo, per mezzo di uno stimolante confronto con l’attività di altri grandi artisti del suo tempo attivi, come lui, a Parigi, e, in ultima istanza, di illustrare la storia della Fondazione creata dai coniugi Aimé e Marguerite Maeght, inaugurata, a Saint Paul de Vence, nel 1964. Oltre alle circa settanta opere di Giacometti, fra cui spiccano i capolavori Grande donna (1960), L’uomo che cammina (1960) e Donna di Venezia (1956) – presentata alla Biennale veneziana del 1956 e di cui la collezione Maeght possiede ed espone per l’occasione tutte e nove le versioni –, è perciò possibile ammirare un’ulteriore ventina di dipinti, alcuni dei quali di grande formato, di Kandinsky, Derain, Léger, Braque, Miró, Chagall e altri. La rassegna offre dunque un’esperienza significativa non soltanto per la grande quantità di capolavori esposti, ma anche e soprattutto per la relazione che fra di essi e fra i loro autori si coglie, le emozioni e gli ideali condivisi da uomini vissuti per l’arte.

 

Box informazioni:

Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinskij. Capolavori dalla Fondazione Maeght

(16 novembre 2019 – 5 aprile 2020)

Palazzo della Gran Guardia

Piazza Bra 1, Verona

Martedì – giovedì 10.00 – 18.00

Venerdì – domenica 10.00 – 19.00

25 dicembre 15.00 – 19.00

Chiuso il lunedì e il 24 dicembre

APERTURE STRAORDINARIE:

dal 26 dicembre al 6 gennaio 10.00 – 19.00

31 dicembre 10.00 – 1.00 (notte)

24 febbraio 10.00 – 18.00

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